Cartoline o Racconti dalla California?

Donne, vita e libertà, nel film “Shayda”

Cartoline o Racconti dalla California?
Shayda
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Tiziana Buccico Modifica articolo

31 Marzo 2024 - 01.31


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A Corona del Mar, Newport Beach, un pomeriggio a cinema per celebrare Nowrooz (Capodanno persiano), per sentirsi più vicini ad un Paese che porto nel cuore e che ho imparato ad amare come se fosse il mio. In un angolo di mondo dove la bellezza e la perfezione della vita quotidiana sono sorprendenti, tra le palme, l’Oceano, le spiagge e case singolarmente belle e curate, al Newport Theater ci ritroviamo catapultati in una tragedia iraniana sul grande schermo. Il cinema è di quelli con poltrone di pelle, divani e tanti comfort, un ambiente in grande contrasto con quello che stiamo per vedere. Due sono le lingue che si parlano in sala inglese/americano e persiano. Qui dove la comunità persiana è numerosa e ben radicata va sullo schermo un film intenso, doloroso, bello, un film che merita di essere raccontato, un film da vedere e di cui far tesoro. Per aggiungere un dettaglio e far comprendere meglio il contesto, va detto che gli iraniani sono arrivati a Westwood Blv a Los Angeles negli anni’60, poi con la Rivoluzione del ’79, la diaspora iraniana ha radicato le sue radici a Los Angeles, definita in una zona in particolare Tehranangeles. L’ area di L.A. ed Orange County (Irvine, Hungtington Beach etc.) ospitano dagli annni’70, la più grande comunità persiana fuori dall’Iran.

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 Si spengono le luci e ci siamo …E’ Il film d’esordio della sceneggiatrice e regista iraniana Noora Niasari: “Shayda” ; è una meta-fiction biografica basata sulla sua infanzia, segnata da una dinamica genitoriale tesa e da un’incertezza infinita, ma anche da un amore materno feroce, incrollabile e rigenerante. Produttrice esecutiva la due volte premio Oscar, Cate Blanchett.

Il personaggio principale è Shayda, interpretata magistralmente da Zar Amir Ebrahimi, una giovane donna iraniana, in fuga dal marito violento, Melbourne come approdo per lei e sua figlia Mona (Selina Zahednia).  Ospitata in un rifugio per donne da proteggere, gestito dalla compassionevole e protettiva Joyce (Leah Purcell), ogni giorno Shayda cerca stabilità e sicurezza nel timore che suo marito Hossein (Osamah Sami) possa trovarle. Shayda scappa e soffre, ma cerca sempre e comunque di dare a sua figlia una vita il più normale possibile.Il racconto si dipana nei giorni dei preparativi del Capodanno persiano, Nowrooz. Per chi come me ha vissuto in Iran, sa bene che cosa rappresenta, una sacralità e una liturgia che inizia molti giorni prima, un periodo dell’anno in cui le città e le persone affrontano anche le cose più terribili, con speranza e sorrisi. Rituali che animano tutte le case e tutte le famiglie, un momento dell’anno in cui la disperazione cede il passo alle tradizioni e alle mille aspettative di un popolo antico e fiero. La protagonista, nonostante viva in una casa-famiglia, non fa mancare a se stessa e a sua figlia, le tradizioni, il cibo, i racconti e la gioia del Nowrooz, le poesie di Hafez e i pesciolini rossi. La sera, Shayda, balla con sua figlia con la leggerezza e l’eleganza tipica di una donna persiana. Quelle danze tradizionali che amo tanto, che ho imparato a ballare e che accompagnavano le mie sere a Tehran, ed i miei pomeriggi ballando con mia figlia. Danze che nel corso della pellicola coinvolgeranno tutte le ospiti della casa, per regalare a donne impaurite e prede di violenza e minacce, momenti di serenità e allegria, attimi impagabili di felicità. Tra le inquadrature più intense sono protagoniste le mani dell’attrice Zar Amir Ebrahimi, le mani di una donna persiana, mani che danzano, mani che si muovono con raffinatezza e che descrivono i tratti di una donna, sono il centro dei sensi e l’intensità di un corpo che è abituato ad essere celato. E poi i suoi occhi tristi e spenti a cui basta il sorriso di sua figlia, uno sguardo di ammirazione, per far riaccendere la luce di occhi mediorientali, occhi profondi, che raccontano storie leggendarie. Nei giorni della paura, nei giorni chiusa a spiare davanti ad una finestra che il marito non la ritrovi, decide di tagliare i capelli, condivide la decisione con la sua bambina, quelle forbici che tagliano ricordano i capelli al vento, liberi di tante ragazze, donne che in questi anni hanno sfidato la morte e il potere per poterli lasciare sciolti e svelati. Quei capelli che oggi sono lasciati senza velo per le strade di Tehran, quei capelli considerati fonte di peccato e tentazione che fanno tanto paura al Governo iraniano.

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Shayda li taglia e si compiace di poter essere diversa, di poter avere la libertà di scegliere chi essere e come essere. Il marito la ritroverà, la offenderà, la umilierà, la minaccerà di morte, le farà paura, la spaventerà, ma come avviene oggi in Iran, non la avrà vinta, non vincerà, con le donne iraniane, fatte di roccia e acciaio, la sfida è persa, la loro determinazione, la loro intelligenza non ha rivali. La loro fierezza, determinazione e coraggio non si ferma di fronte a nulla, e anche quando sembrano abbassare la testa lo fanno, pronte a rialzarla con vigore e solo per recuperare le forze per lottare senza risparmiarsi. Shayda, non mollerà e permetterà a sua figlia di avere un padre, nonostante tutto, seppur a costo di patire il terrore, mangiata dall’ansia e pronta alla violenza di chi per retaggio ed abitudine considera la moglie un oggetto, una proprietà. Hossein rappresenta per lei una paranoia, un incubo, lo vede anche dove non c’è, percepisce in ogni momento il senso di oppressione. Cerca conforto nella madre lontana a Tehran, al telefono sua madre non la sostiene, teme che sia inutile lottare contro il destino e, le dice per convincerla a cedere: “almeno è un buon padre”. La stessa mamma e nonna, che sul finire del film, saprà comprendere le ragioni di quella fuga e della battaglia condotta, magari quella che non ha avuto l’occasione di combattere anche per se stessa. 

Il film è recitato in inglese e persiano, la melodia di una lingua antica, importante, una lingua che ha reso l’Iran un unicum tra i paesi dell’area. La lingua di grandi poeti e letterati, una lingua indoeuropea, musicale e colta.

 Zahra Amir Ebrahimi (persiano: زهرا اميرابراهيمی; nata il 9 luglio 1981), conosciuta professionalmente come Zar Amir Ebrahimi (زر امیرابراهیمی), è un’attrice, produttrice e regista iraniano-francese.  È diventata famosa a livello internazionale per la sua interpretazione della giornalista Arezoo Rahimi nel thriller “Holy Spider” (2022), per il quale ha vinto il Premio del Festival di Cannes come migliore attrice e il Premio Robert sempre come migliore attrice. Il film è stato presentato in anteprima mondiale al Sundance Film Festival del 2023 e ha vinto il premio del pubblico per il concorso World Cinema Dramatic.   Il critico del “The Hollywood Reporter”, Sheri Linden, ha scritto “è silenziosamente avvincente, incarnando il rifiuto di ritirarsi in ruoli prescritti”; su “Variety”, Tomris Laffly, ha scritto “Zahra Amir Ebrahimi offre una performance silenziosamente imponente nei panni di una coraggiosa sopravvissuta alla violenza domestica che esige una vita alle sue condizioni”. 

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La protagonista, ormai una stella del cinema internazionale dopo la grande notorietà in Iran tra cinema e televisione, ha rischiato l’arresto ed è fuggita in Francia dalla collega e amica Golshifteh Farahani. Ha guidato una manifestazione a sostegno dell’attrice Taraneh Alidoosti e del popolo iraniano, è da sempre attiva nel sostegno alla lotta di “Donna, Vita e Libertà”. In Italia, in questo momento, è nelle sale con “Tatami”, un film in cui ha recitato e co-diretto un thriller politico, con il regista israeliano, premio Oscar Guy Nattiv, la prima collaborazione tra una regista iraniana e uno israeliano.  “Tatami” è stato presentato in anteprima mondiale all’ 80ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Tra i suoi ultimi lavori la versione cinematografica del famoso romanzo di Azar Nafisi “Leggere Lolita a Tehran”

Ci sono così tanti momenti nel film che mostrano un coraggio profondo, che in seguito alla morte di Mahsa Amini nel 2022 per mano della “polizia morale”, assurgono ad una dimensione politica, il loro peso e il loro significato diventano una bandiera e un manifesto per ciò che sta accadendo in Iran. Shayda è davvero il simbolo delle donne che ho incontrato, che amo, che rispetto, che mi scaldano il cuore con la loro amicizia e che mi hanno insegnato che le libertà ed i diritti sono beni preziosi che non si devono mai considerare scontati e che devono essere il faro da seguire nella vita. Essere libera è un problema di noi tutte, i condizionamenti e la violenza emotiva e fisica sono dell’Occidente come dell’Oriente, ovunque in maniera diversa si deve continuare a lottare per la libertà di scegliere, di essere, di sentirsi uguali, di avere le stesse opportunità e di poter vivere in democrazia, con diritti sacrosanti e intoccabili.

“Jin, Jiyan, Azadi” in onore a tutte le donne iraniane che ho conosciuto e che conoscerò.

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