di Antonio Salvati
Da decenni in Italia si legge poco. Ancor meno si legge di storia. La percentuale di saggistica storica venduta in Italia è assai bassa. Del resto, è opportuno sottolineare come la storia non sia mai stata un campo di eccellenza per la cultura italiana. Inoltre, gli storici di professione rappresentano un circolo ristretto, talvolta autoreferenziale, più propenso alla pubblicazione del saggio specialistico (quindi per pochi iniziati o per studenti universitari) che all’opera di larga divulgazione. E non poche volte i volumi di ampia divulgazione vengono trattati a livello accademico come una banalizzazione. Da tempo, chi si concede al largo pubblico viene guardato in maniera sospettosa, quasi con invidia, oppure sottilmente si tende a sottovalutare quei testi che tendono a rendere più accessibili argomenti magari ostici ai più.
Eppure la storia – direbbe Andrea Riccardi – «aiuta a vivere nel presente e ad essere consapevoli di esso, senza voltarsi indietro o avere nostalgia del passato, magari idealizzandolo. Una storia che va studiata e analizzata sotto i suoi profili diversi. Sì, il punto di partenza è nella storia. La storia che scorre è qualcosa di molto diverso da un presente piatto, ridotto a sé, senza profondità …».
Certo, la storia non è magistra vitae: non insegna come vivere, ma certamente aiuta a leggere il presente e a discernerlo nella sua complessità. È difficile e illusorio vivere da analfabeti della vita e della storia, soprattutto in tempi difficili come i nostri. Un vescovo siciliano, Cataldo Naro, uno storico degli inizi del xx secolo, ha espresso lucidamente questa intuizione: la storia è maestra «non nel senso che ci dà delle precise indicazioni per il nostro presente, ma perché ci rende sapienti per sempre». Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, aggiungerebbe che «senza storia viviamo fuori dal tempo, come perennemente schiacciati sul presente e quindi anche incapaci di comprenderlo». In un mondo sempre più complesso, sotto la forte spinta del presentismo, è invece sempre più necessario fare storia e leggere storia. In realtà in un mondo così articolato e spaesato, ci vuole più cultura e più cultura storica. E chiedersi, soprattutto, come divenire divulgatori efficaci della storia. Come trasmetterla ai giovani che avvertono sempre di più l’effetto grave della percezione dell’inutilità della storia, similmente a quanto accade alla politica.
Abbiamo comunque delle lodevoli eccezioni rappresentate non sempre da storici di professione. Come nel caso dello scrittore Antonio Scurati e del giornalista Aldo Cazzullo, noti al grande pubblico non specialistico, capaci di non sottomettersi alle logiche banalizzanti e agli stereotipi dei talk show o dei social network. Cazzullo ha ormai all’attivo diversi volumi di successo, programmi televisivi molto seguiti, grazie anche al suo stile particolarmente accattivante e comprensibile che aiuta a comprendere il presente in funzione di un passato che di esso è parte, ancora nella piena contemporaneità.
Proprio leggere in particolar modo la storia in base all’attualità è forse il suo maggior pregio, attestato dal numero di vendite del suo ultimo volume, Quando eravamo i padroni del mondo. Roma: l’impero infinito (HarperCollins 2023, pp. 263 € 19,00), che narra la storia di Roma e del suo impero.Un’epoca della storia umana, nessuna che ha sempre destato una forte impressione.Anche perché – ricorda Cazzullo – due eventi straordinari, come l’avvento dell’impero e quello di Gesù Cristo, sono accadute in quegli anni. Non a caso ciò ha suscitato la fantasia degli artisti del Novecento. Alcuni dei film di maggior successo hanno appunto incrociato le vicende dell’antica Roma con la storia di Gesù.
Per Cazzullo gli italiani sono legati alla storia nazionale più di quanto si crede. Speriamo abbia ragione. Del resto lui stesso racconta quanto sia saltato il canale di trasmissione della memoria tra le generazioni. Cazzullo stesso spiega di aver scritto il volume per rendere gli italiani “consapevoli” del fatto che la cultura romana ha profondamente influito quella italiana (e non solo). Studiando la cultura romana possiamo infatti meglio conoscere molti aspetti delle nostre vite che altrimenti ci sfuggirebbero. Il mito dell’impero romano vive. Tanti termini della politica utilizzati in tutto il mondo vengono dal latino come popolo, re, Senato, Repubblica, pace, legge, giustizia. Kaiser e Zar – com’è noto – derivano da Cesare. I romani hanno dato i nomi ai giorni e ai mesi. Le vicissitudini dell’impero romano hanno ispirato poeti e artisti in ogni tempo, da Dante a Hollywood. Molte modalità e regole della guerra, dell’architettura, del diritto che vigono ancora oggi scaturiscono da quel periodo. Un tempo, quello dell’impero romano, in cui sono state affrontate questioni che sono ancora presenti anche nella nostra quotidianità: il razzismo e l’integrazione, la schiavitù e la cittadinanza.
Proprio in merito alla cittadinanza, si poteva diventare romani senza tenere conto del colore della pelle, al dio che si pregava, al posto da cui si veniva. Infatti, del mito fondativo di Roma fa parte anche l’idea dell’accoglienza, dell’integrazione, di un popolo che nasce da una commistione di sangue, fedi, etnia. Un mondo «dove certo, il potere e la ricchezza si tramandano di padre in figlio, ma anche un mondo dove gli schiavi liberati e i soldati di oscure origini possono diventare padroni, quando non imperatori. (…) All’inizio Roma è una città, poi diventa l’Italia e Giulio Cesare concede la cittadinanza a quelli che oggi chiameremmo “settentrionali”, ma che all’epoca non erano romani. E poi Caracalla concede la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero, quindi una città che diventa un mondo. Un sogno universale di un mondo in pace non perché imbelle, ma proprio perché forte e in cui tutti, indipendentemente dalla loro razza, possono convivere».
A Cazzullo è stato mosso il rilievo di aver subito una fascinazione dell’impero romano (soprattutto dell’elemento della forza, come si evince anche dal titolo del volume) e di aver manifestato una forte identificazione con diversi aspetti della cultura e della società romana, anche con quelli di cui oggi non possiamo affatto essere orgogliosi. A cominciare dalla pratica della schiavitù. In realtà, il volume tende a evidenziare la complessità della storia, soprattutto quando si ha a che fare con quella durata diversi secoli come quella dell’impero romano. E Cazzullo ha raccolto la sfida di formulare le vicende storiche come costituite da una molteplicità di dimensioni intrecciate fra loro. La sfida della complessità rivela il senso profondo del nostro tempo, come osservò Italo Calvino nel 1985: «…cercò per tutta la sua vita di rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinarlo». Quella dell’impero romano certamente fu una società violenta, segnata da profonde ingiustizie e da enormi disuguaglianze. Eppure – ci tiene a precisare Cazzullo – «una società percorsa da grandi tensioni morali, in cui l’ideale del governo universale e di una pace duratura ha messo radici destinate a restare nel cuore dell’uomo. È questo il vero motivo per cui ogni impero della storia si è presentato come l’erede dell’impero romano». Per questo Roma non è mai caduta. Roma, «almeno nella versione idealizzata da scrittori, artisti, poeti, è il più alto dei nostri pensieri. Soprattutto nella stagione breve e straordinaria in cui la classicità incontra la cristianità; e in fondo quell’incontro è la base della civiltà occidentale. Che ha causato molti guai, che è profondamente critica verso sé stessa, che forse si sta autodistruggendo. Ma che in fondo non era poi così male». È possibile che il sogno – aggiunge l’autore – che era Roma stia ormai svanendo: «un mondo globale, multiculturale, multietnico, prospero, in pace non perché imbelle ma proprio perché forte. Ma è possibile che un giorno, non così lontano, quel sogno che era Roma possa davvero realizzarsi».