Appunti per un romanzo autobiografico in versi, è il nuovo libro di Peppo Delconte

Ci sono persone che hanno attraversato, da protagonisti, i momenti migliori del giornalismo musicale. Uno di questi è certamente Peppo Delconte. Lo abbiamo incontrato in occasione del suo ultimo libro “Casomai” edito da Ponti x L’Arte e ci siamo fatti rantontare quello che ha vissuto, cominciando da Fabrizio De André e Battiato…

Appunti per un romanzo autobiografico in versi, è il nuovo libro di Peppo Delconte
Peppo Delconte, foto Giordano Casiraghi
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16 Dicembre 2025 - 00.05


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di Giordano Casiraghi

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Dopo il libro sul jazz finalmente un libro autobiografico?

Questo volumetto, che s’intitola “Casomai”, inaugura la collana di poesia Euterpe, di cui dovrei fare anche il curatore: così almeno mi è stato chiesto dagli amici Eleonora e Stefano Bianchi, gli editori che gestiscono anche su web la rivista Coolmag dove collaboro da tempo. Come ricorderai, Stefano è stato mio collega al mensile “Tutto Musica e Spettacolo”. 

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Il mio libro è composto di 7 capitoli e ogni capitolo contiene 7 tracce di memoria: è una specie di poemetto, un romanzo in versi liberi. Il primo capitolo racconta l’infanzia e io sono Pepito, un bambino del dopoguerra, che forma una banda chiamata “i Rangers di Monteverde”, per giocare a biglie, tappi, fionde e cerbottane, ma soprattutto per esplorare il bosco dietro casa come se fosse la giungla amazzonica. Sono rimasto con lo stampo del ragazzo selvatico della Lunigiana, perché da piccolo ho vissuto più lì che a Spezia, e precisamente a Castelnuovo Magra, nella frazione di Molino del Piano, la stessa dove è nato il romanziere Maurizio Maggiani (di cui divoro ogni libro che pubblica). Poi viene il capitolo dell’adolescenza, piuttosto problematica e piena di grandi domande, quindi quello della “gioventù bruciacchiata”… In quel periodo provavo ingenuamente ad entrare in contatto con il mondo della cultura: allora si leggevano i poeti della beat generation (grazie alle traduzioni della Pivano), si scoprivano le avanguardie del primo Novecento, si ammirava Ezra Pound (i suoi versi, ma certo non le sue idee politiche). Eravamo un gruppo di ragazzi di provincia, un po’ matti, ma siamo arrivati perfino a realizzare due riviste, “Nuove dimensioni” e “Delta”, con le quali entrammo in contatto anche con il Gruppo 63. Poi è venuta la stagione matura e la nascita di mia figlia a Cardiff, nel Galles (dove insegnavo conversazione in italiano agli studenti universitari). Quindi il lavoro da giornalista a Milano e infine la pensione. Tra un periodo e l’altro affiorano fatti di cronaca, che mi permettono di intrecciare la mia storia personale con la Storia con la S maiuscola: Bartali che vince Tour de France nei giorni drammatici dopo l’attentato a Togliatti; le bombe a piazza Fontana o alla stazione di Bologna; la morte di Feltrinelli e quella di Demetrio Stratos. 

Nel 1969 arrivi a Milano in cerca di lavoro. Cosa trovi?

Beh, prima del lavoro ho trovato la “nera realtà”: andavo in giro per le vie di Milano quando ho sentito il boato, non ero molto lontano da piazza Fontana. Per me non erano giorni facili… Per fortuna ho trovato anche diverse persone disposte a darmi una mano. Il primo è stato un mio conterraneo spezzino, ritrovato per puro caso: Roberto Danè, che mi propone un posto da ufficio stampa alla Belldisc di Antonio Casetta, in via Turati. Era la casa discografica che aveva appena pubblicato “Tutti morimmo a stento” di Fabrizio De Andrè e si stava preparando il lancio del singolo “Il pescatore”, realizzato per la prima volta con la collaborazione della Premiata Forneria Marconi, che allora si chiamava ancora Quelli. 

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Hai conosciuto De André, com’era lavorarci insieme?

Di Faber possedevo tutti i dischi dei suoi esordi genovesi. Con lui e con Dané formavamo una squadra tutta ligure. Eravamo amici certo, ma il problema era che io non vivevo di notte: quando lui arrivava, io avevo finito la mia giornata. Era Roberto Dané che passava più tempo con lui: stavano preparando “La Buona Novella”. Quando è uscito il nuovo album, io ero già nella redazione italiana di Billboard.

Di ufficio stampa ancora te ne occuperai con la Bla Bla di Pino Massara. Lì hai conosciuto Battiato, vero?

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Sono stato io a proporre a Discografia Internazionale di assegnare il Premio Billboard a Franco Battiato per l’album di esordio “Fetus”. È così che ho conosciuto Pino Massara che per le uscite di “Sulle corde di Aries” e “Clic” di Battiato ha chiesto a me e a Giacomo Pellicciotti di occuparsi della stampa. Fino ad allora era stato lo studio grafico Al.Sa. di Albergoni e Sassi ad occuparsi della promozione. Ma il mio miglior lavoro per la Bla Bla è stata la promozione del disco “La finestra dentro” di Juri Camisasca. Ho puntato soprattutto sui testi che erano davvero folli e ho fatto breccia con i colleghi di Ciao 2001 (allora il settimanale di musica più letto), che hanno dedicato parecchio spazio a un giovane sconosciuto come Juri.

Arrivi poi a collaborare con l’appena nato Muzak, mensile con redazione a Roma, poco prima di fondare Gong?

Insieme a Pellicciotti avevamo iniziato a collaborare a Muzak, ma – nonostante la grande stima che avevamo per il direttore Giaime Pintor – tutto il gruppo milanese pensava a qualcosa di diverso. E lo abbiamo realizzato inventando Gong, diretto da Antonino Antonucci Ferrara (che era comunque un vecchio amico di Giame). Il gruppo base comprendeva, oltre a me e a Giacomo, Riccardo Bertoncelli, Marco Fumagalli, Roberto Masotti per la parte fotografica, Mario Convertino per la grafica. Ben presto si sono aggiunti altri collaboratori fondamentali, come Carlo Maria Cella per la classica o Enzo Ungari per il cinema. Tutti insieme abbiamo dato vita al sogno più bello, una rivista giovanile che ancora oggi viene riconosciuta tra le migliori mai realizzate, la più anticonformista. Inizialmente la redazione di Gong era a San Felice di Segrate, accanto alla redazione del settimanale ABC, poi ci siamo trasferiti in via Besana. Io e Antonino eravamo gli unici a stipendio fisso. Perciò io mi limitavo a scrivere articoli, per lasciare spazio a chi veniva ricompensato a pezzo. Tra le copertine più memorabili di Gong ricordo quella del numero 1, con uno “scandaloso” Frank Zappa, e quella di Battiato (foto di Masotti), per l’intervista realizzata prima del concerto al Teatro Fraschini di Pavia. Purtroppo la registrazione di quelle session, con molti musicisti ospiti, non furono mai pubblicate. 

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Finita l’esperienza di Gong approdi ai periodici Mondadori. Come ci arrivi?

Ho trovato una sistemazione, finalmente ben pagata, ancora grazie a Daniele Ionio che mi chiamò nella redazione di Telepiù, settimanale di piccolo formato in aggiunta a TV Sorrisi e Canzoni. Ionio ci è rimasto solo un annetto, mentre io sono stato chiamato da Gigi Vesigna a Sorrisi come capo servizi musica, al mio fianco Fabio Santini e Patrizia Ricci. Poi, essendo più interessato alla musica pop che alla tv, sono approdato a Tutto Musica e Spettacolo, mensile di Sorrisi inventato da Gherardo Gentili. Eravamo in corso Europa, gli uffici erano meravigliosi, al bar interno ti capitava di trovare Vasco Rossi o altri artisti di passaggio. In redazione con me c’erano Fausto Pirito e Stefano Bianchi; ma c’erano anche molti collaboratori di spicco e rubriche tenute da musicisti come Franz Di Cioccio o Pino Scotto.

Dunque hai chiuso l’esperienza lavorativa in corso Europa e sei andato in pensione. E cosa fai?

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La mia vita non è mai stata soltanto il lavoro da giornalista. Ho sempre continuato a interessarmi di musica e di letteratura al di fuori delle redazioni. E anche di sport: ho fatto molta canoa sulle rapide dei fiumi; e dopo i 70 anni continuo a pagaiare, ma solo al mare. A dire la verità, ho fatto anche altre follie… Mi sono lanciato due volte dal ponte di Paderno sull’Adda, per sperimentare l’ebbrezza del bungee jumping e capire dal vivo la legge di gravità: il corpo piomba giù veloce come un sasso. Poi sono sempre stato un camminatore: faccio ancora escursioni in montagna, ma solo nella bella stagione, perché sono freddoloso. E ancora leggo molto, scrivo (anche poesie), vedo qualche spettacolo e ascolto parecchia musica, preferibilmente improvvisata e live. Per me la vecchiaia è una conquista. L’ho scritto anche nel libro autobiografico, dove spesso riaffiorano – dall’infanzia all’età estrema – quelli che io chiamo “ritornelli”. Ad esempio, mi domando: è coraggio o paura? E alla fine decido che non c’è un confine netto, perché “siamo fatti tutti così, senza le ali”. Non siamo mica angeli.

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