Scende giù per Toledo: la tenerezza non richiesta

Rosalinda Sprint torna in scena. E con lei torna un rischio che, con Patroni Griffi, è più insidioso dello scandalo: l’addomesticamento

Scende giù per Toledo: la tenerezza non richiesta
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Alessia de Antoniis Modifica articolo

18 Dicembre 2025 - 09.44


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di Alessia de Antoniis

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Scende giù per Toledo (1975) è il romanzo in cui Giuseppe Patroni Griffi lascia correre Rosalinda Sprint dentro una Napoli anni Settanta fatta di bassi, barche a Posillipo, aggressioni e clienti occasionali e, soprattutto, di una speranza ostinata: l’inglese che un giorno tornerà a prenderla e portarla a Dover.

Rosalinda è una creatura che vive di maschere e di fame, che tiene in piedi la propria giornata con un’idea fissa: l’amore come passaporto, l’altrove come promessa. Napoli non è uno sfondo, ma luogo dove ogni incontro può diventare sfruttamento, ogni desiderio una trappola.

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Rosalinda “scende giù per Toledo e va di fretta“: non è un dettaglio di colore, è la misura del tempo che Patroni Griffi affida al corpo. Metronomo e condanna insieme, quel passo svelto descrive una corsa che non porta fuori, ma sempre più dentro: nel desiderio di essere amata, nel bisogno di inventarsi una maschera per non morire ogni sera, nella speranza spropositata che qualcuno la prenda davvero e la porti via.

All’OFF/OFF Theatre, venerdì 12 dicembre, Roberto Maria Azzurro ha chiuso Scende giù per Toledo tra applausi lunghi e commossi. Nel foyer, la parola che tornava era “tenero”. Un attore bravissimo, dicevano. Che bello vedere Patroni Griffi con questa delicatezza. Che emozione.

E qui sta il problema. Perché con Patroni Griffi la tenerezza non è una qualità: è un tradimento. Rosalinda Sprint non chiede carezze, chiede di essere guardata senza pietà. E quando uno spettacolo viene percepito come “tenero”, significa che ha protetto il pubblico invece di ferirlo.

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L’allestimento di Roberto Maria Azzurro (produzione Nouveau Theatre De Poche) sceglie una cornice che sposta subito l’asse emotivo: l’attore apre con un prologo autobiografico legato a un episodio di violenza subito anni fa (nel 2017 fu aggredito e accoltellato alla gola). L’apertura tra il pubblico, con l’attore che sembra non voler salire sul quel palco, è la porta tra Azzurro, e la brutale aggressione subita, e Rosalinda.

È un innesto delicato, perché immette nel materiale griffiano un secondo corpo ferito, reale, che rischia di diventare calamita dell’empatia. La scelta di Azzurro, però, può funzionare come dichiarazione di poetica: non si entra in Rosalinda per travestimento, ma per prossimità alla frattura.

Forse Azzurro non voleva essere tenero. Forse ha lavorato in sottrazione proprio per evitare il folklore. Ma il risultato è stato percepito come tenerezza da un pubblico che lo ha applaudito commosso. E questo solleva una questione: è possibile oggi mettere in scena Patroni Griffi senza che la distanza storica (sono passati 50 anni) trasformi automaticamente lo spietato in patetico?

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Azzurro ha scelto l’onestà: leggio, abito sobrio, pochi segni. Ma proprio quella sobrietà, in assenza di ferocia interpretativa, ha permesso al pubblico di leggere Rosalinda come “povera creatura” invece che come “corpo in guerra”. Patroni Griffi non lavora sulla pietà: semmai su una lingua impastata di confessione, invettiva, oscenità e lampi lirici; tra un inventario di maschere (capelli, tinture, stecche, fiori finti) e un archivio di ferite.

Scende giù per Toledo è un testo lucidissimo, spietato, realistico nel tratteggiare un sottosuolo umano della Napoli tra anni Sessanta e Settanta. La compassione, in Patroni Griffi, nasce perché i suoi personaggi, spesso femminielli, spesso gay, spesso creature sospese, conservano una purezza nell’illusione. Sono puri non perché innocenti, ma perché ostinati: credono all’amore come via d’uscita e, proprio per questo, vengono usati, sfruttati, respinti. La tenerezza sta nella sproporzione tra l’attesa e la realtà, non nella carezza interpretativa; non è una tinta da stendere sull’interpretazione: è un effetto ottico che nasce dalla purezza dell’illusione, dalla sproporzione tra ciò che Rosalinda desidera (un amore che la porti via) e ciò che il mondo le concede (uso, sfruttamento, umiliazione).

Con Patroni Griffi, la compassione nasce dalla crudeltà. Quando la messa in scena mantiene un taglio asciutto, quasi controllato, la parola griffiana brucia meglio: diventa partitura, non confessione; ferita, non lamento. È lì che Rosalinda smette di chiedere pietà e ottiene la cosa più rara: uno sguardo che non la riduce.

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Ma se si protegge Rosalinda, si sposta l’asse del realismo spietato di Patroni Griffi. La vicinanza dello spettatore a Rosalinda non deve arrivare perché l’attore è tenero, ma perché il testo è implacabile e, proprio per questo, umano.

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