Strage di Crocus: Putin ammette la matrice islamica ma accusa ancora Kiev

Tre giorni dopo la strage Vladimir Putin è tornato a rivolgersi ai russi, e al mondo intero, per ammettere che l'attacco al Crocus City Hall è stato compiuto da «estremisti islamici».

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25 Marzo 2024 - 23.32


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Tre giorni dopo la strage Vladimir Putin è tornato a rivolgersi ai russi, e al mondo intero, per ammettere che l’attacco al Crocus City Hall è stato compiuto da «estremisti islamici». Ma allo stesso tempo ha rilanciato i sospetti su Kiev, affermando che l’inchiesta dovrà appurare «chi è il mandante» della strage.

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«Dobbiamo rispondere alla domanda perché i terroristi cercavano di andare in Ucraina e chi li aspettava là», ha affermato il presidente in un incontro con i suoi collaboratori sulle misure da adottare dopo l’attentato, il cui bilancio è salito a 139 morti, mentre un centinaio di feriti rimangono ricoverati in ospedale. L’attacco è stata «un’intimidazione alla Russia e sorge la domanda chi beneficia di questo», ha aggiunto, accusando gli Usa di «cercare di convincere tutti» che Kiev non ha avuto alcun ruolo nella strage. Per poi ordinare ai suoi di riferirgli costantemente di come procedono le indagini sui terroristi arrestati, ma anche sui loro «mandanti».

I quattro tagiki accusati di essere gli esecutori materiali sono apparsi con i visi gonfi, occhi tumefatti e uno addirittura in sedia a rotelle davanti alla Corte moscovita che ha tramutato il fermo in arresto. Immagini diffuse dalla televisione di Stato che confermano le voci di torture subite dai fermati. In un video circolato nei giorni scorsi, la cui autenticità non può essere confermata, a uno degli accusati viene tagliato un orecchio: uno dei quattro è apparso in aula con una vistosa benda bianca proprio su un lato della testa.

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Interrogato sulle denunce, il portavoce del Cremlino non ha voluto fare alcun commento. «Lascio questa domanda senza risposta», ha liquidato la questione Dmitry Peskov. Il quale non ha voluto esprimersi nemmeno sulle possibili responsabilità dell’Isis, la cui branca afghana ha rivendicato la strage.

«Non vi è alcuna prova che l’Ucraina sia in qualche modo collegata a questi attacchi», ha ribadito da parte sua il portavoce per la politica estera della Ue, Peter Stano, invitando il governo russo a «non utilizzare gli attacchi terroristici a Mosca come pretesto o motivazione per aumentare l’aggressione illegale contro l’Ucraina, né usarlo come pretesto per l’aumento delle repressioni interne». Dello stesso tenore le dichiarazioni di Antonio Tajani. «Putin – ha affermato il capo della Farnesina – non deve utilizzare l’attentato per alzare lo scontro e per colpire di più l’Ucraina. Lo ripeto, non abbiamo alcun indizio che ci sia l’Ucraina dietro l’attentato».

A Mosca chi non si è risparmiato nemmeno oggi nelle dichiarazioni infuocate è stato Dmitry Medvedev. «Dovrebbero essere uccisi?», si è chiesto l’ex presidente, per poi rispondersi senza tentennamenti: «È necessario. Ma è molto più importante uccidere tutte le persone coinvolte. Tutti. Chi ha pagato, chi ha simpatizzato, chi ha aiutato. Dobbiamo ucciderli tutti». Medvedev ha così aggiunto la sua voce a quanti in Parlamento e nella magistratura, sull’onda emotiva degli ultimi giorni, hanno proposto il ripristino della pena capitale. Ma il quotidiano Vedomosti fa presente che anche in tal caso gli attentatori del Crocus non potrebbero salire sul patibolo. E questo perché se anche passasse la riforma della Costituzione necessaria per tornare alla pena di morte, essa non potrà essere applicata in modo retroattivo.

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Sul fronte giudiziario, la Corte moscovita che si occupa del caso ha trasformato in arresto per almeno due mesi il fermo di altri tre sospetti, anch’essi di origine tagika, che non sono accusati di avere partecipato materialmente alla strage. Si tratta di Isroil Islomov e i suoi due figli: Aminchon e Dilovar. Quest’ultimo accusato di avere venduto agli attentatori l’auto con la quale sono arrivati alla sala concerti e con la quale sono poi fuggiti. Secondo il Comitato investigativo, Dilovar e il fratello Aminchon sarebbero stati coinvolti nelle attività del gruppo da uno degli accusati di essere gli autori dell’attacco, Shamsidin Fariduni, di 25 anni. Gli altri tre sono Muhammadsobir Fayzov, di 19, Dalerdzhon Mirzoyev, di 32, e Saidakrami Murodali Rachabalizoda, di 30. Tutti si sono dichiarati colpevoli.

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