In Camerun meglio morti che vedovi: i sadici riti per chi sopravvive al coniuge

Le donne costrette a dormire nude in terra, a correre con un masso in testa sotto i colpi di bastone dei suoceri

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Diego Minuti Modifica articolo

2 Settembre 2017 - 09.25


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Sostiene un proverbio che, nelle regioni del Sud d’Italia, viene recitato in diverse maniere, che a soffrire veramente è chi resta, lasciando intendere che chi ha lasciato questo mondo e si accinge – per chi ci crede – a varcare la soglie dell’aldilà ormai non ha nulla da perdere, mentre chi resta si deve fare carico di tutto quel che il defunto ha lasciato in sospeso. E’ saggezza popolare che in qualche modo ha una sua ragione se solo si pensa a tutte le incombenze che affrontano gli eredi in terra di chi è volato via.
E ci sarebbe da interrogarsi se, in qualcuno dei cento dialetti del Camerun, ci sia un proverbio equivalente perché lì sì che chi resta vorrebbe essere al posto di chi è morto. Sono le tradizioni che regolano la vita di chi da poco è rimasto vedovo o vedova (anche se per le donne le conseguenze sono ben più pesanti) e che potrebbero sembrare scritte da un pazzo o da un sadico. Una serie di obblighi che dovrebbero servire a perfezionare il rito della purificazione dei vedovi rispetto ai defunti per consentire a questi ultimi di essere felici, pur se trapassati. A dettare i tempi di questi riti è la famiglia del morto che raggiunge picchi cattiveria pura se a dovere essere purificata è una vedova nei cui confronti c’è sempre il sospetto che, alla morte del marito, abbia gioita pensando a come sfruttare il di lui patrimonio.
La donna, alla morte del marito, passa subito nella categoria delle vedove e non è un gran guadagno perché viene subito costretta a stare seduta o sdraiata per ore sul nudo pavimento, priva di vestiti. Quando cammina all’esterno della casa deve farlo con i pugni stretti ed il viso coperto di cenere o di caolino, perchè è il biaco il colore del lutto. Se la famiglia del morto lo impone, la vedova rimane chiusa in casa, nuda, senza cibo e senza la possibilità di lavarsi o ricevere la visita di qualcuno. Poi ci sono le ”chicche”, come quando la vedova viene costretta a correre all’esterno della casa, priva di abiti restando così esposta all’attacco delle zanzare (che in Camerun non sono leggere come farfalle), all’umidità del mattino ed alle spine delle ebe selvatiche. Per ironia della sorte, questa viene chiamata la corsa dell’antilope, un animale che a tutto può essere accostato meno che ad un rito crudele. Poi ci sono le varianti che farebbero felice il marchese de Sade, come quando la vedova è costretta a trascinare un tronco di banano intorno alla casa, con le cognate a ostacolarla e, se lei cade, ecco che arrivano i colpi inferti con bastoni. Ma l’acme viene raggiunta quando alla donna viene imposto di caricarsi un masso in testa e di danzare, gridando il nome del marito mentrre i suoceri la bastonano perché lei è, in ogni caso, responsabile della morte del marito.

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