Tragedia di Roma: rischio ondata razzista se il crimine diventa etnico

L'analisi dell'associazione 21 luglio: molte testate danno più rilevanza all’origine etnica dei responsabili che al fatto, gravissimo in sé.

Tragedia di Roma: rischio ondata razzista se il crimine diventa etnico
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28 Maggio 2015 - 17.03


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“La tragedia avvenuta ieri a Roma in prossimità della fermata metro Battistini, addolora e sconvolge, ma ora temiamo un’ondata di odio indistinto verso i rom”. È quanto afferma Carlo Stasolla, presidente dell’associazione 21 luglio, in merito alla notizia dell’auto che a forte velocità ha investito diverse persone uccidendo una donna di 44 anni. Secondo le prime ricostruzioni, l’auto procedeva a velocità sostenuta e non si sarebbe fermata all’alt imposto dagli agenti di polizia terminando la corsa investendo i pedoni. Dei tre a bordo dell’auto, scappati a piedi per le vie di Roma, soltanto una persona è stata fermata: una ragazza di 17 anni che risulterebbe residente in un insediamento della capitale. “Per chi sarà chiamato ad indagare e per i giudici – spiega l’associazione -, nella ricostruzione dei fatti e nella successiva auspicabile condanna, poco importa l’origine etnica della persona colpevole, o la sua cittadinanza o il colore della sua pelle. Alla guida di quella macchina c’era una persona che va perseguita. Questo basta e avanza”.

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Secondo l’associazione, la notizia rimbalzata su tutti i media, nazionali e non, “rischia di sfociare in una pericolosa deriva etnica, in quanto ad essere sottolineata con forza è la presunta origine etnica dell’autista dell’autovettura che ha provocato la strage”. Per l’associazione, quindi, occorre accertare fatti e responsabili, senza far ricadere la colpa di tale gesto “sull’insieme di persone appartenenti alla stessa comunità degli autori della strage, a Roma e nel resto d’Italia. E gli organi di informazione dovrebbero prendere tutte le opportune precauzioni perché questo non accada, evitando per esempio titoli, articoli e servizi che diano rilevanza maggiore all’origine etnica dei responsabili piuttosto che al fatto – gravissimo – in sé”.

Per Stasolla, si tratta di “etnicizzazione” del crimine: “Si identifica un presunto colpevole individuale e si associa al dna di un popolo. Nel momento in cui noi associamo le due cose si cade nel razzismo ed è quello che sta succedendo su alcuni media. Pensiamo a cosa sarebbe potuto succedere se alla guida dell’aereo tedesco che si è schiantato in Francia ci fosse stato una persona di fede islamica. Allo stesso modo se in questo caso fosse stato un ragazzo napoletano a portare la macchina a Battistini, non è che si apriva un dibattito sulla comunità napoletana nella città di Roma”.

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Per Stasolla, ora a Roma c’è il rischio che da questo evento si scateni una vera e propria “ondata” razzista contro i rom. “Siamo agli sgoccioli della campagna elettorale – spiega -. Con un livello di tensione alto, una ingovernabilità del fenomeno dei campi da parte della città di Roma e un pressappochismo di un certo mondo mediatico è facile che diventi una scintilla per una caccia al rom nella città di Roma”. I fatti di ieri, aggiunge il presidente della 21 luglio, richiamano alla mente altre situazioni di intolleranza scatenate da notizie di cronaca. “A me questi episodi hanno subito portato alla mente i casi di Continassa a Torino e quello di Ponticelli a Napoli – spiega Stasolla -, dove in seguito alla diffusione di notizie poi rivelatesi infondate si è levata un’ondata di odio indistinto verso i rom”. In quei casi, ricorda l’associazione, ci sono state “derive fortemente violente” con “veri e propri raid incendiari”.

Ad oggi, però, nonostante Roma sia la città in cui il fenomeno dei campi sia più importante rispetto ad altre realtà italiane, di “rappresaglie” non ce ne sono state, se non “soltanto a voce”, aggiunge Stasolla. Ma il rischio che si possa passare dalle parole ai fatti non è poi così remoto. “L’ultima manifestazione è stata quella del comitato di quartiere di Ponte di Nona nei giorni scorsi – spiega -, ma il passaggio da un’azione verbale, da una manifestazione civile e legittima, a qualcuno che vada fuori dalle righe è molto labile e oggettivamente per me c’è un rischio per l’incolumità degli insediamenti, visto il clima che c’è”.

Chi potrebbe intervenire per prevenire l’ondata di razzismo sono le istituzioni che invece, all’interno dei campi della capitale, secondo Stasolla, sono praticamente sparite. “In questi casi sono le istituzioni nazionali e locali che dovrebbero prendere una posizione forte, chiara e potrebbero buttare acqua sul fuoco o cercare almeno di decodificare certi fenomeni e tranquillizzare la popolazione”. Tuttavia, la notizia di un potenziamento dei controlli nei campi riportata dai media dopo la tragedia di ieri, secondo Stasolla, va nella direzione opposta. “I campi, in quanto luoghi di marginalità e non in quanto luoghi abitati dai rom, sono luoghi dove la microcriminalità è più presente come nelle periferie o nelle favelas brasiliane o di Nairobi – spiega -. Questo a livello sociologico è chiaro, in quanto luoghi della marginalità, dell’esclusione sociale e della mancanza dello stato. I campi sono diventati zone franche dove lo Stato, inteso come scuola o la presenza delle istituzioni, è totalmente assente”.

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Nonostante gli annunci del dopo Alemanno, nella capitale il fenomeno campi continua a far discutere, senza mai imboccare la strada giusta verso una chiusura definitiva degli stessi. E lo stato dei campi non sembra essere migliorato, spiega Stasolla. “Negli ultimi anni nei campi sono stati tagliati molti servizi e c’è uno stato di totale abbandono istituzionale che dà modo a chi vive di criminalità di muoversi in maniera ancora più indisturbata – racconta -. Oggi siamo arrivati ad una situazione in cui non si è sostituito il giusto e adeguato smantellamento dei sistemi sicuritari in sistemi inclusivi, ma si è semplicemente tolto quell’impianto. Non rimpiangiamo assolutamente quello che c’era prima, ma è mancato il passaggio successivo. Non c’è stato un cambio di rotta significativo, né sappiamo di un piano o se quali e quanti campi verranno chiusi”.

Chiusura dei campi che, attraverso dei percorsi di integrazione ben pianificati, potrebbe anche smorzare i toni con cui si parla spesso dei rom sui media e non solo. “Darebbe un segnale di uno Stato che prende in mano la questione – conclude Stasolla -, ma oggi la gente sente che non è così e si sente legittimata a dare e proporre privatamente soluzioni che sconfinano nelle frasi peggiori che si trovano sui social o nei commenti sui giornali”. (ga)

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