Dobbiamo ammetterlo: l'Italia è un paese multietnico già adesso

Il sistema di accoglienza è al collasso, ma non possiamo bloccare le nostre frontiere a tutti

L'Italia è un paese multietnico
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Diego Minuti Modifica articolo

3 Luglio 2017 - 10.10


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Abdikadar. Bencosme, Zoghlami, Luxa, Hooper, Chigbolu, Pedroso, Derkach, Bani: basta dare un’occhiata veloce all’elenco dei classificati ai campionati assoluti di atletica leggera, di Trieste, per sorridere davanti all’offensiva portata avanti dai partigiani (antichi o nuovi di pacca, ma che già camminano spalla a spalla) dello stop all’immigrazione, non per motivi etici o economici, ma per quella che banalmente viene definita la salvaguardia della nostra civiltà, della nostra cultura.
In una sola definizione, del nostro essere e sentirci italiani.
Tutti gli atleti appena citati, e che tanto lustro danno alla nostra atletica leggera, hanno una caratteristica comune: sono, direttamente o meno, ‘non italiani’, almeno nella accezione che pure tanta presa fa nella gente, anche in quella i cui capi, dopo una non esaltante performance elettorale, dicono ora che non esiste più destra e sinistra (intese come ideologie politiche).
Questi ragazzi sono invece italiani per un motivo banale: loro o i loro genitori hanno scelto di vivere nel nostro Paese, senza cercare di imporre le loro tradizioni ed i loro convincimenti religiosi. C’è chi lo ha fatto sposando un italiano o una italiana; chi per motivazioni politico-sociali; chi, più banalmente, perché vi è nato ed era nelle condizioni per ottenere la nazionalità.
La strada dell’integrazione è lunga e difficile, come vediamo ogni giorno. Ma chiudere semplicemente all’immigrazione non basta, perché il fenomeno ha ormai valenza planetaria e nessuna nazione sembra esserne immune. Né quelli come l’Italia (Paese di destinazione, ma più spesso di transito), né quelli, ad esempio, come gli Stati dell’Africa equatoriale (da dove si fugge dalla povertà assoluta per cercare magari una povertà e basta).
In queste settimane si sentono analisi, ricette, proposte, minacce. Ma sino ad oggi tutto resta come prima e l’Italia continua ad accogliere, a cadenza quotidiana, migliaia di persone che spesso la considerano una tappa e non certo Xanadu, dove voglio arrivare.
Ma, ed è questo il senso del mio ragionamento, bisogna ammetterlo: l’Italia è ormai una società multietnica, non a livello di Francia e Gran Bretagna (tanto per restare in Europa), ma sicuramente lontana da Turchia ed alcuni regni del Golfo, che danno la loro nazionalità non per motivi umanitari, ma solo per vedere sventolare le loro bandiere sui pennoni più alti in occasione di eventi sportivi.
Il ‘sistema Italia’, inteso come modello di accoglienza, è al collasso, una cosa innegabile, come certificato dalle proteste di molti sindaci che non riescono più a farsi carico dei flussi di immigrati loro assegnati.
Ma potremmo mai decidere di bloccare le nostre frontiere a tutti, anche a coloro che invece hanno dimostrato di volere vivere nel nostro Paese, accettandone regole, leggi e consuetudini? O, veramente (nel dubbio che dietro ogni immigrato si nasconda, potenzialmente, un tagliagole jihadista) si vuole perseguire la politica della cannoniere, bloccando i barconi in mare e ricacciandone indietro gli occupanti, nelle mani dei trafficanti di esseri umani, verso un domani che odora di inferno?
I ragazzi dalla pelle scura o ambrata, dai cognomi nordafricani o slavi, che vestono la maglia azzurra e cantano l’inno scritto da Goffredo Mameli (uno che, giovane nobile sardo, inseguì l’ideale di una Italia unita e per esso sacrificò la sua vita) non sono certo diversi da quelli che l’accezione di una destra che nulla ha dell’idea liberale indica come i soli italiani.
O dobbiamo considerarli italiani solo se fanno onore al nostro Paese?

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