Il coronavirus ha dimostrato che siamo arrivati al capolinea dello sviluppo senza progresso

Sono anni che dibattiamo di sviluppo sostenibile, Greta e gli altri avevano provato a dare la sveglia al mondo. La pandemia ci dovrà far riflettere su molte cose

Inquinamento
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Michele Cecere Modifica articolo

7 Aprile 2020 - 17.34


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La pandemia che ha colpito il pianeta ha tuttavia mostrato anche indubbie positività. Quelle legate all’ambiente e all’inquinamento sono sotto gli occhi, le narici e le orecchie di tutti.
L’aria delle nostre città è pulita, non c’è più traccia nemmeno di inquinamento acustico, non si spreca più cibo, gli italiani hanno imparato a fare le code ordinatamente quasi come gli svizzeri e per consumi essenziali (non certo per le sale giochi e le scommesse!), i migranti hanno paura di arrivare e così Salvini non sa più cosa dire per dare voce ai suoi “leoni da tastiera”, le grandi aziende hanno finalmente capito quanto potrebbero risparmiare col tele lavoro ma anche quanto siamo indietro rispetto agli altri paesi.
Il crollo del mercato dei carburanti ci fa persino immaginare come potrebbe essere una civiltà non più fondata sul petrolio ma sulle fonti energetiche rinnovabili, una società meno in volo e in generale meno mobile, con maggiore consumo di prodotti a chilometro zero, perché non è più sostenibile un Tir che trasporti un carico di acqua minerale dalle Dolomiti alla Sicilia né il convegno di medici che viaggiano da un capo all’altro del mondo per svolgere un incontro che potrebbe tranquillamente tenersi su una economica piattaforma telematica, come le conferenze stampa del premier Conte in questi giorni dimostrano.
Sono anni che dibattiamo di sviluppo sostenibile, Greta e gli altri avevano provato a dare la sveglia al mondo, siamo forse arrivati al capolinea di questo sviluppo senza un vero progresso? E’ vero sviluppo quello che sta portando solo una piccolissima fetta degli oltre sette miliardi e mezzo di abitanti del pianeta a detenere oltre l’80% delle risorse economiche? Non c’è vero sviluppo senza progresso, lo diceva Pasolini.
Prima ancora di Greta ci aveva provato il sociologo francese Serge Latouche con la teoria della decrescita felice”, che ipotizza la diminuzione del Pil in favore di un aumento di quel benessere che considera i beni immateriali, come la cultura, il tempo libero, le relazioni umane.

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L’arretramento teorizzato non ha nulla di nostalgico ma necessita di cambiamenti qualitativi, grazie a tecnologie innovative caratterizzate da equità ecologica e sociale. La limitazione dei nostri livelli di consumo e produzione non porterebbe a una vita di privazioni e fatiche, ma alla riscoperta di socialità e convivialità creativa, per condurre una vita meno stressante di quella attuale.
Il pensiero corre alla creatività messa in gioco in questi giorni e di cui sulla rete e in Tv possiamo godere, ma anche a quei balconi su cui la gente ha scoperto la gioia di cantare. Latouche propone le sue “otto erre”: rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare.  Qui mi limito alla prima, rivalutare vuol dire riscoprire valori nuovi e nuovi stili di vita andando incontro a una diversa visione del mondo e della società.
Pur non godendo di questi “arresti domiciliari” imposti dalla lotta al Covid19, constato quanto sia pulita l’aria delle nostre grandi città in questi giorni di coprifuoco, e ricordo che misure di limitazione al traffico sono state adottate a più riprese dalle grandi città negli ultimi anni, molto prima di questa pandemia.
Se penso poi a quello che è diventato l’epicentro della crisi, ovvero la zona di Bergamo, ricordo che l’aeroporto di Orio al Serio è a soli tre chilometri dalla città ed è il primo scalo italiano per i voli low-cost, terzo scalo italiano per numero di passeggeri, ben 14milioni nel 2019. A nord di Orio parte proprio quella zona della val Seriana dove il virus ha fatto più vittime, oltre cento le fabbriche di quella valle che hanno continuato la loro attività fino a pochi giorni fa. Uno studio dell’ingegnere ambientale trentino Alberto Venuto, diffuso pochi giorni fa ma ignorato dai media, ipotizza la correlazione fra inquinamento e diffusione del virus, le province più colpite infatti, Bergamo, Brescia, Piacenza e Cremona, sono anche quelle in cui nel mese di febbraio si sarebbero superati i livelli massimi possibili di polveri sottili, da 10 a 17 volte, a differenza di Firenze, Roma e Bari che sono a zero!
Poi c’è la concentrazione di tante persone, le zone in cui si sviluppa il contagio al nord sono anche quelle più dense di popolazione e dove si è maggiormente consumato il suolo, non solo con insediamenti industriali.
Ci sarà un po’ da ragionare anche di politiche demografiche oltre che di ambiente nei prossimi giorni, è allarmante il continuo spopolamento di tante aree interne, con oltre un migliaio di borghi con meno di 2000 abitanti che rischiano di scomparire nei prossimi 20 anni, soprattutto se i giovani continueranno a migrare verso le grandi aree metropolitane e le piccole città.
Nel rapporto di Legambiente del maggio 2019, dedicato all’analisi sui piccoli comuni, si legge che “In Italia quasi due terzi del totale (69,46%) dei comuni sono definiti piccoli e interessano più della metà della superficie territoriale complessiva del Paese (54,1%). Si addensano in particolare in Piemonte, Lombardia e Veneto e nelle aree montane, soprattutto alpine e appenniniche, dove raggiungono il numero di 3.106, ben l’88% dei 3.427 comuni montani.” Sarà un caso ma le zone più popolate di queste tre regioni sono state proprio fra le più colpite dalla pandemia.
Insomma il Covid19 non sarà un castigo divino, ma simboleggia probabilmente la rivolta del pianeta Terra contro i suoi incivili abitanti umani. Chissà se sapremo coglierne la lezione ed evitare di precipitare in una “infelice decrescita”!

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