A Palermo un giudice condanna i torturatori dei lager in Libia

Ad accusare gli imputati alcune delle vittime che hanno raccontato di essere stati picchiati e tenuti prigionieri per mesi. I carcerieri chiedevano poi ai familiari il pagamento del riscatto. 

A Palermo un giudice condanna i torturatori dei lager in Libia
Lager in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

4 Febbraio 2022 - 14.51


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Migranti, c’è un giudice a Palermo…

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Il gup di Palermo Clelia Maltese ha condannato a 20 anni di carcere Pazurl Sohel e Harun Md, bengalesi, accusati di essere i carcerieri del campo di prigionia di Zuhara in Libia dove venivano tenuti sotto sequestro e torturati i migranti prima di affrontare il viaggio in mare per l’Italia. Entrambi rispondevano del reato di tortura. 

Le indagini vennero svolte dal pm Gery Ferrara. 

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Ad accusare gli imputati alcune delle vittime che hanno raccontato di essere stati picchiati e tenuti prigionieri per mesi. I carcerieri chiedevano poi ai familiari il pagamento del riscatto. 

I due imputati arrivarono in Italia in uno dei tanti sbarchi sulle coste siciliane. Nel corso di un incidente probatorio i migranti, che avevano viaggiato insieme ai due bengalesi, li riconobbero piangendo e li accusarono di essere i torturatori del campo libico. La Procura dispose una consulenza medico legale che accertò i segni delle torture che erano anche state riprese dalle vittime con i cellulari. Su Fb poi gli inquirenti trovarono foto che ritraevano gli imputati con fucili Ak47, gli stessi con cui picchiavano i migranti in carcere.

E c’è un Memorandum della Vergogna

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Globalist ne ha scritto a più riprese. E continuerà a farlo, con interviste, inchieste e il contributo prezioso di giornaliste e giornalisti che la realtà del Mediterraneo la conoscono e la raccontano con serietà e coraggio. Come Annalisa Camilli di Internazionale. Che scrive: “Una donna, madre di due figli, è stata picchiata mentre era rinchiusa nel carcere di Ain Zara. È stata arrestata durante la retata che c’è stata nell’area di Gargarish. Chi gestisce la prigione controlla i rifugiati, compie abusi contro le donne. Siamo molto spaventati”: è un passaggio di una lettera inviata dai migranti rinchiusi nel carcere di Ain Zara, nella periferia meridionale di Tripoli, all’account Twitter Refugees in Libya, un account gestito da rifugiati e attivisti in Libia. 

Centinaia di persone sono incarcerate in seguito al blitz avvenuto tra l’8 e il 9 gennaio, compiuto mentre un gruppo di rifugiati protestava   davanti alla sede dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) chiedendo di essere trasferiti dalla Libia, un paese considerato non sicuro, in cui i migranti sono sottoposti ad abusi di ogni tipo, detenzione arbitraria e violazioni sistematiche dei diritti umani. Era il 2 febbraio 2017 quando l’allora presidente del consiglio italiano Paolo Gentiloni firmò il Memorandum di intesa (Mou) con Tripoli sui migranti che prevedeva di ripristinare l’accordo di amicizia Italia-Libia del 2008. Il giorno successivo i leader europei salutavano con favore il patto italo-libico sull’immigrazione in un vertice a Malta. 

L’accordo prevedeva la formazione e il sostegno alla cosiddetta guardia costiera libica – che avrebbe avuto il compito di pattugliare le coste per fermare le imbarcazioni di migranti – e il finanziamento dei centri di detenzione libici, chiamati dall’accordo “centri di accoglienza”. Nonostante le numerose denunce di violazioni dei diritti umani, di “inimmaginabili orrori” (documentati dall’Onu nel 2018) commessi nei centri di detenzione libici finanziati dal governo italiano “dai funzionari pubblici, dai miliziani che fanno parte di gruppi armati e dai trafficanti”, in un contesto di assoluta impunità, il governo italiano nel 2020 ha prorogato automaticamente l’accordo per altri tre anni (fino al 2023). Cinque anni dopo la firma del Memorandum, la guardia costiera libica ha fermato e riportato indietro nel paese 82mila persone. In un rapporto del 17 gennaio 2022, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha detto di provare una “grave preoccupazione” per le continue violazioni dei diritti umani contro rifugiati e migranti in Libia e ha confermato che “la Libia non è un porto di sbarco sicuro per rifugiati e migranti”. Il rapporto conferma inoltre che la cosiddetta guardia costiera libica ha continuato a operare in modi che mettono a grave rischio la vita e il benessere dei migranti e dei rifugiati che tentano di attraversare il mar Mediterraneo. Nonostante questo, un rapporto interno del comandante dell’operazione navale dell’Unione europea Eunavfor Med Irini, pubblicato dall’Associated Press  il 25 gennaio 2022, conferma che le autorità europee sono intenzionate a continuare la cooperazione con la guardia costiera libica. L’attuale accordo dell’Italia con la Libia scade nel febbraio del 2023, ma si rinnoverà automaticamente per altri tre anni se le autorità non lo annulleranno prima di novembre del 2022. In concomitanza con il quinto anniversario dell’accordo, centinaia di associazioni e di ong, italiane, libiche, africane ed europee, hanno chiesto che il governo italiano revochi il patto, presentando un’analisi degli effetti dell’accordo sulla vita degli stranieri nel paese nordafricano. “Il Memorandum Italia-Libia sta, nei fatti, agevolando la strutturazione di modelli di sfruttamento e riduzione in schiavitù all’interno dei quali sono perpetrate in maniera sistematica violenze tali da costituire crimini contro l’umanità”, denuncia il rapporto…”.

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Così Camilli

La denuncia di Oxfam

Il nostro Paese continua a rendersi complice, finanziando la Guardia Costiera o altre autorità libiche palesemente conniventi con i trafficanti di esseri umani – rimarca Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia -. Dalla firma dell’accordo l’Italia ha speso la cifra record di 962 milioni euro per bloccare i flussi migratori in Libia e finanziare le missioni navali italiane ed europee. Una buona parte di questi soldi – più di 271 milioni di euro – sono stati spesi in missioni nel paese, contribuendo a determinare le condizioni per una sempre più lucrosa industria della detenzione, fatta di tratta di esseri umani, sequestri, abusi di ogni genere.  Su 32 mila migranti riportati indietro dalla Guardia Costiera libica solo l’anno scorso, al momento si ha notizia di 12 mila persone che si trovano in 27 centri di detenzione ufficiali, mentre degli altri 20 mila si sono perse le tracce”. 

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In Libia si assiste a una macroscopica e perdurante violazione dei diritti umani, che come denunciato dalle Nazioni Unite, non avviene solo ad opera di gruppi armati o trafficanti libici e internazionali, ma con la complicità di funzionari della Direzione per la lotta all’immigrazione illegale (DCIM) del Ministero dell’Interno libico. Episodi di gravissime violenze e di stupri sono stati recentemente documentati nella struttura carceraria di Mitiga, così come in altri centri di detenzione ufficiali gestiti a Zawiyah, Tripoli e dintorni.

“Chiediamo al Governo italiano e al Parlamento, come si possa ancora ritenere la Libia un porto sicuro per lo sbarco dei migranti. – conclude Pezzati – In totale 32,6 milioni di euro sono stati destinati alla Guardia Costiera libica dal 2017 dai Governi che si sono succeduti, di cui 10,5 milioni solo nel 2021 (con un aumento di mezzo milione). Facciamo appello perciò al Parlamento e al Governo affinché siano revocati gli stanziamenti per il 2022 diretti alla Guardia Costiera libica, che solo quest’anno ha intercettato e riportato in questo inferno il triplo dei migranti, rispetto allo scorso anno (5). Serve un’inversione di rotta, una gestione lungimirante dei flussi e non la mera chiusura delle frontiere delegata a paesi come la Libia o la Turchia”.

Nel frattempo, nonostante le promesse, non è stato fatto nessun progresso in materia di tutela dei diritti umani.

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“Nonostante le numerose visite in Libia dei Ministri Di Maio e Lamorgese ci saremmo aspettati significativi progressi riguardo nuove e solide garanzie sul rispetto dei diritti umani dei migranti detenuti illegalmente nel Paese, ma a quanto pare nessun passo è stato fatto nemmeno dal Governo Draghi. – continua Pezzati – Sarà importante capire se il segretario del Pd Enrico Letta, ad un anno dalla sua elezione, continuerà a seguire la linea Gentiloni-Minniti o sarà capace di superarla. Bisogna tener conto di quello che succede nei paesi di origine, generare, strutturare ed ampliare vie di accesso legali nel nostro territorio, promuovere politiche di accoglienza e integrazione. In questa direzione, il coinvolgimento anche del Movimento 5 Stelle, sarebbe essenziale per offrire un’alternativa alla vergognosa gestione dei flussi migratori dalla Libia”.

Amnesty International

Dal rapporto di AI: “Negli ultimi cinque anni sono state oltre 82.000 le persone intercettate in mare e riportate in Libia: uomini, donne e bambini andati incontro alla detenzione arbitraria, alla tortura, a trattamenti crudeli, inumani e degradanti, agli stupri e alle violenze sessuali, ai lavori forzati e alle uccisioni illegali.

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Sono intrappolati in un paese devastato dal conflitto, dove l’illegalità e l’impunità consentono alle bande criminali di prosperare. Molti, temendo per la propria vita e non avendo una via d’uscita sicura e legale dal paese, tentano di raggiungere l’Europa su fragili barche. Sempre più persone vengono fermate e riportate in Libia, a seguito delle misure messe in atto dai governi europei per chiudere la rotta marittima e contenere le persone in un paese non sicuro”.

Migrantes

La maggior parte dei rifugiati e dei migranti in Libia proviene dall’Africa subsahariana e settentrionale, mentre un numero minore proviene dall’Asia e dal Medio Oriente. I motivi per cui hanno lasciato i loro paesi d’origine sono vari. Alcuni sono fuggiti a causa di guerre, carestie o persecuzioni. Altri sono partiti in cerca di una migliore istruzione o opportunità di lavoro. Molti di loro intendono rimanere in Libia, mentre altri sognano di raggiungere l’Europa, o sono spinti a farlo dal peggioramento delle condizioni in Libia. Ciò che li accomuna tutti è il desiderio di vivere in sicurezza e dignità”.

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E’ quanto emerge anche dal Report 2021 sul diritto d’asiloche la Fondazione Migrantes ha presentato il 14 dicembre scorso, a Roma.

Nel 2021, fino al 6 novembre la Guardia costiera “libica” ha intercettato in mare e riportato in territorio libico 28.600 rifugiati e migranti, un dato senza precedenti (dal 2016, il totale supera ormai le 100 mila persone). Da inizio anno all’8 novembre, i rifugiati e migranti che sulla rotta del Mediterraneo centrale sono riusciti ad arrivare in Italia o a Malta sono circa 56.700: quindi, meno del doppio di quelli intercettati e riportati in Libia, spesso con metodi brutali. Il 2021 – mette in evidenza ancora l’indagine – ha visto una nuova escalation delle persone rinchiuse arbitrariamente nei centri di detenzione libici: i soli centri “ufficiali” della Direzione per il contrasto dell’immigrazione illegale ne stipavano ai primi di ottobre circa 10 mila fra uomini, donne e minori contro i 1.100 scarsi di gennaio.

“Al 17 ottobre risultano trattenute nei centri di detenzioni in Libia 7.055 persone, di cui almeno 2,500 ci riguardano direttamente come agenzia”, spiega a Today Caroline Gluck, alto funzionario addetto alle Relazioni esterne di Unhcr Libya Operation. “Tuttavia l’Unhcr e i suoi partner hanno solo un accesso limitato ad alcuni centri e nessun accesso a quelli creati recentemente nella parte occidentale della Libia. Riteniamo che altre migliaia di richiedenti asilo, rifugiati e migranti siano ancora tenuti prigionieri da diverse forze di sicurezza, contrabbandieri o trafficanti in luoghi imprecisati.”

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“Le condizioni nei centri di detenzione sono disastrose”, denuncia la funzionaria. “Spesso sovraffollati e privi di strutture igienico-sanitarie di base, sono luoghi in cui le violazioni dei diritti umani sono state ben documentate – più recentemente, ad esempio, dalla Missione d’inchiesta indipendente sulla Libia”. Ecco perché l’Unhcr chiede “il rilascio di tutti i rifugiati e richiedenti asilo trattenuti in stato di detenzione, la fine della detenzione arbitraria in Libia e la creazione di alternative alla detenzione”.

Orrore senza fine

Un team di Medici Senza Frontiere (Msf) ha curato 68 persone ferite durante l’arresto di massa avvenuto due giorni fa, in cui centinaia di migranti che chiedevano protezione sono state trasferite nel centro di Ain Zara. Per sette feriti è stato necessario provvedere a un trasferimento in ospedale, mentre a 190 persone è stato offerto supporto psicologico.

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“Più di 600 persone, che protestavano pacificamente per ottenere protezione e per chiedere di essere evacuate dalla Libia, sono state arrestate e trasferite nel centro di detenzione di Ain Zara al sud di Tripoli. In questa struttura sono già trattenute centinaia di migranti e rifugiati in celle sovraffollate” dichiara Gabriele Ganci, capomissione di MSF in Libia. “Durante la visita settimanale nel centro, dove offriamo cure mediche e supporto psicologico, il team di Msf ha curato persone con ferite da taglio, segni di percosse e persone traumatizzate dagli arresti forzati. Tra loro anche genitori che sono stati picchiati e separati dai loro figli durante l’evento”.

“Quanto accaduto dimostra, ancora una volta, come in Libia tutti i migranti siano soggetti a detenzioni casuali e arbitrarie, perfino chi chiede protezione e trattamenti in linea con il diritto umanitario”afferma Ellen van der Velden, direttore delle operazioni di Msf. “Ancora una volta, chiediamo alle autorità libiche di fermare gli arresti di massa e trovare alternative dignitose alla detenzione. Chiediamo anche all’UE di fermare ogni supporto al sistema senza fine di detenzione, abusi e violenze in Libia”.

La battaglia di civiltà continua. Per “restare umani” avrebbe detto Vittorio Arrigoni. 

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