Papa Francesco e la fraternità globale: un appello per la pace e l'umanità

Il Papa invoca la fraternità globale come risposta alla guerra e all'indifferenza, promuovendo la pace e l'umanità con passione.

Papa Francesco e la fraternità globale: un appello per la pace e l'umanità
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1 Aprile 2024 - 02.20


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di Antonio Salvati

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Gesù fa rotolare la pietra di tutto quello che ci schiaccia il cuore, i «macigni della morte», ha detto Papa Francesco durante l’omelia della Veglia Pasquale. “Macigni della morte” che incontriamo soprattutto in «tutte le chiusure che frenano i nostri slanci di generosità e non ci permettono di aprirci all’amore; i muri di gomma dell’egoismo e dell’indifferenza, che respingono l’impegno a costruire città e società più giuste e a misura d’uomo; tutti gli aneliti di pace spezzati dalla crudeltà dell’odio e dalla ferocia della guerra».

La guerra – ha più volte sostenuto il Papa – non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante. È il presente: rischia di essere il futuro. La bruciante contemporaneità della guerra è evidente ovunque. Ma i “pezzi” di guerra si saldano tra loro, creando un clima esplosivo, debordando e coinvolgendo chiunque. È illusorio, nel mondo globale, pensare di isolare un conflitto. Eppure si vive come se fosse possibile. Il Papa con ragionevolezza ha espresso l’esperienza di umanità della Chiesa: «Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come l’ha trovato». Sfigura il volto dell’umanità. Ce lo ricordano due guerre mondiali. Lo testimoniano i conflitti in corso. Mai la guerra rende il mondo migliore. Abbiamo creduto, ci eravamo illusi che il mondo avesse imparato da tante guerre e fallimenti. Abbiamo creduto agli entusiasmi di un mondo di pace dopo l’89. Invece si è arretrati rispetto alle conquiste di pace e a forme d’integrazione tra Stati. Si tende – sostiene Andrea Riccardi – «a screditare le strutture di dialogo che prevengono i conflitti. Così il mondo diventa incapace di prevenire la guerra e poi lascia protrarsi, incancrenirsi, i conflitti per anni, se non decenni, rivelando l’impotenza della comunità internazionale».

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Papa Francesco instancabilmente continua a proporre veri sogni al mondo globale, che ha spento i fari delle grandi parole e dei grandi ideali. In un tempo dov’è diffusa la “perdita del senso della storia” che provoca ulteriore disgregazione. Se ne smarrisce la memoria nel presentismo egocentrico o in contrapposizione esacerbate. Nazionalismo, populismo, esaltano il valore del gruppo particolare contro altri. Papa Francesco, invece, ci invita a ridare forza e concretezza alla fraternità. Nel mondo attuale i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità si indeboliscono, mentre il sogno di costruire insieme la giustizia e la pace sembra un’utopia di altri tempi. Domina – sostiene Papa Francesco – un’indifferenza di comodo, «fredda e globalizzata, figlia di una profonda disillusione che si cela dietro l’inganno di una illusione: credere che possiamo essere onnipotenti e dimenticare che siamo tutti sulla stessa barca». Questo disinganno, che lascia indietro i grandi valori fraterni, conduce «a una sorta di cinismo. Questa è la tentazione che noi abbiamo davanti, se andiamo per questa strada della disillusione o della delusione. […] L’isolamento e la chiusura in se stessi o nei propri interessi non sono mai la via per ridare speranza e operare un rinnovamento, ma è la vicinanza, è la cultura dell’incontro».

Occorre una “resistenza culturale” – direbbe Andrea Riccardi – in un tempo in cui la fraternità è negata, tanto da apparire anacronistica. Non sembra essere – questo – il tempo della fraternità. Tutt’altro. In tempo di guerra, infatti, prevalgono le semplificazioni: amico/nemico, poi cittadino/ straniero, voi/noi. Il nostro tempo di guerra ha espulso la fraternità dai rapporti umani, sociali e tra i popoli.

Dello stesso avviso, partendo da un approccio meramente laico, è Edgar Morin, filosofo francese, che nel 2020 ha pubblicato un libricino, La fraternità perché?, con un sottotitolo significativo: “resistere alla crudeltà del mondo”. Anche per Morin la fraternità viene intesa come fatto di resistenza culturale a un mondo diviso e conflittuale. E avverte: «la fraternità deve diventare scopo senza smettere di essere mezzo. Lo scopo non può essere un termine, deve diventare un cammino, il nostro cammino, quello dell’avventura umana». In un mondo che spesso manifesta il suo lato più individualistico e antagonistico, la fraternità appare sempre più come lo scopo e al tempo stesso il mezzo per superare rivalità e conflitti, diseguaglianze e crudeltà. La fraternità conviene, non è solo un buon sentimento. Rappresenta un modello di vita che ha una dimensione anche politica – nel senso ampio del temine – che genera società vivibili e pacifiche.

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Alla luce della visione “fraterna” del mondo globale, realista e preveggente, proposta da Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti, cogliamo come centrale il dramma della guerra con il suo seguito di sofferenze: distruzione dell’ambiente umano e naturale, morte, rifugiati, eredità di dolori e odi, terrorismo, armi di ogni tipo, crudeltà. Non sono propositi di anime belle. Ma la consapevolezza dell’urgenza di rispondere all’assuefazione collettiva alle logiche del conflitto.

Nota Andrea Riccardi che l’enciclica mostra «che ciascuno è custode della pace. C’è un compito delle istituzioni nell’”architettura di pace” da rivitalizzare. Ma anche noi, gente qualunque, non possiamo essere spettatori. L’artigianato della pace è compito di tutti: si deve osare di più contro la guerra con una rivolta quotidiana e creativa. Se tanti possono fare la guerra, tutti possono lavorare come artigiani di pace».

La pace potrà essere raggiunta solo se trasmetteremo ai nostri figli le armi del dialogo, se insegneremo a lottare per l’incontro, per il negoziato, «così daremo – sostenne Zygmunt Bauman nel 2016 – loro una cultura per creare una strategia per la vita, una strategia volta all’inclusione e non all’esclusione. Il nostro futuro dipenderà dall’intelligenza e dall’audacia di allargare le frontiere del “noi” all’intera umanità, sostituendo la cultura dell’ostilità con una cultura dell’interdipendenza e della fraternità, avente il bene comune al centro. Così nel mondo ci sarà davvero posto per tutti».

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Sulla follia della guerra scrisse Carl Gustav Jung: «Ma che cosa vuoi ancora conquistare? Di più della terra non puoi conquistare. E cos’è poi la terra? E’ tutta tonda, una goccia sospesa nell’universo. Al sole non puoi arrivare, e neppure alla desolata luna basta il tuo potere; non puoi assoggettare il mare, la neve dei poli o la sabbia del deserto, ma alla fin fine soltanto qualche lembo di terra verde. E le tue conquiste non sono nemmeno di lunga durata. Domani la tua sovranità sarà ridotta in cenere, perché dovresti soprattutto – e perlomeno – assoggettare la morte. Dunque, non essere folle e metti via le armi. Dio stesso ha fatto in mille pezzi la tua arma. L’armatura ti sia sufficiente a proteggerti dai folli che pensano ancora alle conquiste» (Il Libro Rosso, Liber Secundus, cap IX).

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