Transbrasilian way, fuga dal Brasile omofobo

La fuga dal Paese più omofobo del mondo, dove ogni 2 giorni viene uccisa una persona omosessuale. E in Europa la trappola della prostituzione. [Claudileia Lemes Dias]

Transbrasilian way, fuga dal Brasile omofobo
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24 Novembre 2012 - 16.58


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Claudileia Lemes Dias

Scrittrice

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Le principali autostrade brasiliane iniziano con la parola “trans”, prefisso che sta per “transversal”. Ed ecco la Translitoranea con i suoi 4.772 chilometri e la Transbrasiliana, tortuosa e accidentata, un po’ meno lunga, ma pur sempre con 4.355 interminabili chilometri. Piste da capogiro, a ben guardare decisamente falliche, strumento di un pensiero dittatoriale radicato e in vigore in Brasile per oltre un cinquantennio. I “trans” hanno sempre un passato oltraggiato, come peraltro le autostrade brasiliane, che seppellirono centinaia di operai, morti a causa di una zanzara minuscola e silenziosa. Nel tentativo di fermare le motoseghe che spianavano senza sosta il cuore fangoso della foresta Amazonica, molte tribù indigene rimasero senza le loro terre, senza strumenti per impedire il defloramento della foresta ancora vergine. Per esportare la bramosia di “progresso” ai villaggi degli indios Yanomami, ai “selvaggi”, il governo brasiliano spese ciò che non aveva, impegnandosi con la Banca Mondiale per decenni. E così, indebitato proprio come un trans, schiavizzato e prostituito da un’orgia di dittatori militari durata fino al 1985, al Brasile viene riconosciuto il titolo di Paese più omofobo del mondo.

Ma a chi interessa la Translitoranea o la Transbrasiliana? Probabilmente più a nessuno ed io non posso disattendere il lettore, che forse sarà rimasto accattivato dal titolo di questo testo aspettandosi un altro argomento: il “fenomeno” dei trans brasiliani in Italia che sempre, quasi come un riflesso non condizionato, attiva l’immaginario che tanti hanno del Brasile. Il carnevale di Rio, i giocatori di calcio, i bambini di strada, le favelas, l’Amazzonia, le donne e i trans. Ecco il ritratto poco profondo del gigante latino, un Paese che si pensa sempre allegro, sempre tollerante, sempre accogliente e dove tutto è permesso. Sono in pochi a sapere che in Brasile l’aborto è vietato. Il topless pure. La vendita degli alcolici (anche quello contenuto nei cioccolatini) è vietata ai minori di diciotto anni. Per avere la carta di identità bisogna registrarsi lasciando le impronte digitali. Il voto è obbligatorio per legge (non votando non si può partecipare alle cariche pubbliche). Il razzismo omofobo ha ucciso 3.072 persone omosessuali e transessuali negli ultimi vent’anni (queste stime sono del Grupo Gay da Bahia, l’unica Organizzazione non governativa che si occupa delle morti violente in questa fetta di popolazione).

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Il Comitato contro la Tortura dell’Onu, riporta che nel ranking dell’omofobia il Brasile si trova al primo posto, seguito dal Messico e poi dagli Stati Uniti. I dati riportati dalla segreteria dei Diritti umani del governo brasiliano rivelano una situazione oramai alla deriva: 6.809 denunce di violazioni dei diritti umani di transessuali e omosessuali solamente nell’anno 2011. Spinto da questi avvenimenti, il governo brasiliano è stato costretto ad utilizzare la parola “barbarie” per definire le violenze perpetrate contro le vittime degli omicidi e delle aggressioni per motivi esclusivamente legati al “sesso”, creando un numero verde per le vittime dell’intolleranza. È da questa realtà che sono letteralmente scappati i e le transessuali brasiliani rimanendo, molte volte, intrappolati nella prostituzione. È stata la paura della morte a portare la maggior parte di loro a vendere i loro corpi all’estero. Paradossalmente, una volta approdati in Italia, sono entrati a far parte del complesso immaginario collettivo maschile nonostante avessero, inizialmente, corpi deformi gonfiati con silicone industriale. Grazie all’accessibilità dei prezzi della chirurgia estetica in Brasile (Paese inventore delle protesi sui glutei), i trans brasiliani hanno raggiunto la fama mondiale, confondendosi tra una moltitudine di uomini e donne incapaci di nascondere la loro perplessità di fronte a un fenomeno sociale enormemente amplificato dai talk show televisivi e da certi uomini di potere.

In un libro uscito di recente, un’autrice italiana affermava che molti padri di famiglia brasiliani venivano a fare i trans in Italia per un periodo determinato, per racimolare un po’ di soldi e poi tornare in Brasile nuovamente, da maschi. Qui in Italia, mi sono sentita chiedere se era vero che i bambini negli orfanotrofi brasiliani venivano imbottiti da ormoni femminili per poi essere venduti all’estero come bambole “di lusso”. Non ci sono statistiche per stabilire quanti siano gli uomini ad essere andati con un transessuale brasiliano alimentando un mercato in costante crescita. In rete i siti “specializzati” sono invasi dagli annunci di transessuali brasiliani disposti a vendere i loro corpi senza guardare l’orologio, senza fretta, con tanto di preliminari e massaggi erotici inclusi nella prestazione. Le ammiccanti espressioni “new entry” oppure “nuova in città” e “appena arrivata”, sono spesso utilizzate per sottolineare che quel che piace all’uomo moderno è innanzitutto la novità, il provare per forza ciò che non si conosce, indipendentemente dal sentire o meno piacere in ciò che si fa. L’ordine emanato anche dalle stanze del potere è quello di essere “curiosi” e “trasgressivi” nella ricerca disperata di una “felicità” artefatta perché impone la distruzione totale dei sentimenti più profondi e duraturi in cambio di un piacere momentaneo. L’amore è un’opera faraonica, come quella di una strada lunga e tortuosa, a volte a senso unico e senza scritte segnaletiche per dirci se la direzione è giusta o sbagliata. Ecco la vera trasgressione dell’uomo moderno: rischiare di amare qualcuno profondamente diverso da sé stesso.

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