27 anni fa il Ruanda è stato teatro di uno dei massacri di pulizia etnica tra i più gravi nella storia.
In 100 giorni vennero massacrate più di 1 milione di persone a causa di una guerra fratricida in atto nel paese
Jean Paul Habimana, all’epoca era un bambino di 10 anni ed è scampato al genocidio, oggi attraverso il suo libro “Nonostante la paura” ha voluto raccontare, con gli occhi di un fanciullo innocente, quello che ha visto e che mai più potrà dimenticare.
A volte purtroppo le mostruosità del passato ritornano.
Ricompaiono in altre parti della Terra, con “motivazioni” e armi diverse ma sempre capaci di far dubitare del significato del termine “umanità”.
Leggere oggi “Nonostante la paura” fa tornare in mente “Se questo è un uomo”.
Il libro di Jean Paul Habimana, sopravvissuto al genocidio tutsi in Ruanda che iniziò il 6 aprile 1994, sembra un’edizione aggiornata dell’opera di Primo Levi, sopravvissuto a un campo di concentramento nazista.
Nel Paese africano ci furono un milione di morti in cento giorni di conflitto.
La storia
Chi ha almeno quarant’anni oggi non può non ricordarsi delle parole hutu e tutsi e del sangue che fu sparso in loro nome.
Le origini del conflitto sono molto complesse ma la miccia fu l’abbattimento dell’aereo dell’allora presidente Juvénal Habyarimana a Kigali.
Habyarimana era un hutu alla guida del Mouvement révolutionnaire national pour le développement che, per garantirsi anche l’appoggio francese, era intenzionato ad allargare l’arco democratico del Paese (lui che prese il potere con un colpo di stato nel 1973).
L’antagonista era il Fronte patriottico ruandese, organizzazione armata composta anche da esuli tutsi, ispirazione di movimenti politici locali.
L’attentato avvenne 6 aprile 1994. Ventiquattr’ore dopo qualunque maschio di etnia tutsi sul suolo ruandese era in pericolo di vita, la caccia all’uomo – nel vero senso della parola – era iniziata.
La caccia all’uomo
Di sicuro Habimana non è il primo a raccontare dal di dentro quella caccia all’uomo. Quella mattanza, con i suoi da 250mila stupri, pesa ancora sulla coscienza della comunità internazionale.
L’autore, oggi insegnante di religione a Milano, racconta quella fuga per la vita con una minuziosità di dettagli e sentimenti che catapultano chi legge indietro nel tempo.
Lo fa declinando la paura in ogni sua forma possibile: quella di finire sotto un machete, quella di morire di fame, di non sapere nulla della famiglia, di parlare con un coetaneo e scoprire che è una spia…
L’8 aprile 1994, a soli dieci anni, vede per l’ultima volta suo padre.
Nella città di Gisuma quell’otto di aprile arriva un passaparola drammaticamente chiaro: “Gli hutu stanno massacrando i tutsi”.
Da quel giorno Jean Paul Habimana diventa adulto e vive con la paura.
Da cattolico praticante cerca come prima zona franca la parrocchia di Shangi.
Per arrivarci bisogna camminare tanto e di nascosto per non incappare nei cacciatori di uomini, le milizie Interahamwe.
Da quel momento in poi l’umanità in “Nonostante la paura” scompare quasi del tutto. Non si possono definire tali soldati che di giorno sterminano uomini e donne asserragliati in una parrocchia vicina e di notte si fingono soccorritori per finire il lavoro, ammazzando chiunque chieda soccorso nascosto da ore sotto un cadavere.
Allo stesso modo non è definibile umano chi libera i cani in mezzo ai campi per stanare tutsi e abbatterli come selvaggina.
Lo stesso vale per chi gira con fucile e machete per uccidere e smembrare esseri umani uguali a lui ma “colpevoli” di appartenere a un gruppo etnico diverso (e la stessa sorte toccò ad hutu oppositori del regime sanguinario).
“Se ti chiamano esci e fatti uccidere”
“Nonostante la paura” è il racconto dettagliato di quei tre mesi vissuti dall’autore tra spostamenti in luoghi meno pericolosi e atrocità disumane (“in caso di rappresaglia noi maschi tutsi avevamo un tacito accordo: uscire allo scoperto e farci ammazzare quando i miliziani chiamavano il nostro nome, salvando la vita agli altri”).
Tra ricerca di parenti e amici ed espedienti per non morire di fame (“chiedevamo l’elemosina travestiti da femmine usando i vestiti delle bambine nelle fosse comuni, abiti macchiati di sangue e con brandelli di arti ancora dentro”).
Jean Paul Habimana è un superstite.
Lo è perché ha avuto fortuna, non nascondiamolo.
Lo è perché una famiglia hutu dissidente lo ha nascosto “nella fossa delle banane” dopo che un coetaneo l’aveva riconosciuto e denunciato.
Lo è perché è riuscito ad entrare col resto della sua famiglia in una campo profughi della Croce Rossa.
Un campo profughi che pareva un miraggio dove colera e malaria non facevano nemmeno paura, nonostante ottomila sfollati e quattro rubinetti d’acqua. E per l’acqua non c’era rispetto per nessuno, donne, bambini e anziani compresi.
Superstite tra orfani, vedove e fede – L’autore ha vissuto sulla propria pelle il massacro e quello che è venuto dopo.
Dopo cento giorni di omicidi e stupri ha visto hutu dar improvvisa importanza alla vita (la loro) quando fino a 24 ore prima toglievano quella del vicino di casa. Ha visto il suo quartiere trasformato in ricovero di vedove ed orfani, essendo generazioni di maschi passate al machete.
Poi la vita e la fede hanno preso il sopravvento e Jean Paul è entrato in seminario.
Ha studiato gomito a gomito con giovani hutu “che non attribuivano al loro padri le atrocità commesse bensì a zii e cugini”.
Jean Paul ha imparato a conoscere la sofferenza e la paura anche degli hutu, etnia ora cancellata (come quella tutsi) ma marchiata per sempre.
“Nonostante la paura” racconta tutto questo e molto altro.
Nel libro edito da Terre Di Mezzo ci sono altre fasi incredibili del conflitto e altre credibili della sua vita.
A partire dall’arrivo in Italia per studiare teologia e alla successivo dilemma interiore: sacerdote o laico? Jean Paul Habimana ce l’ha però fatta.
E’ scampato alla guerra, ha aiutato la sua famiglia rimasta in Africa e ha sposato una donna nata hutu.
Nonostante la paura, lui guarda sempre avanti affinché nessuno dimentichi i cento giorni e il milione di morti in Ruanda.
"Nonostante la paura": il libro sul genocidio del Ruanda, quei soldati che di notte si fingevano soccorritori per uccidere i feriti
Jean Paul Habimana all'epoca del massacro aveva 10 anni e con questo libro ha raccontato i 100 giorni di paura in cui persero la vita 1 milione di persone
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globalist Modifica articolo
6 Aprile 2021 - 07.32
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