Afghanistan, un anno dopo: la memoria corta dell'Occidente, la sofferenza nell'Emirato talebano

E’ passato solo un anno dal Ferragosto del 2021 quando i talebani entrarono a Kabul come un coltello nel burro, mentre i militari della Nato si ritiravano nel caos, l’esercito afghano si dissolveva al passaggio degli insorti

Afghanistan, un anno dopo: la memoria corta dell'Occidente, la sofferenza nell'Emirato talebano
Donne in Afghanistan
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Agosto 2022 - 19.33


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Ha ragione l’ambasciatore Michele Valensise quando su HuffPost annota amaramente: “Abbiamo la memoria corta. E’ passato solo un anno dal Ferragosto del 2021 quando i talebani entrarono a Kabul come un coltello nel burro, mentre i militari della Nato si ritiravano nel caos, l’esercito afghano si dissolveva al passaggio degli insorti e il presidente Ashraf Ghani fuggiva rocambolescamente all’estero per salvarsi la pelle. Avveniva solo dodici mesi fa, eppure quel ripiegamento precipitoso, l’avanzata inarrestabile dei ribelli tra violenze e paure, la fuga disperata all’aeroporto di molti afghani terrorizzati dai nuovi governanti oggi sembrano fatti remoti, il ricordo è sbiadito e svogliato…”.

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Afghanistan, un anno dopo

Di grande interesse è il bilancio di un anno stilato da Claudia Annoni e Tiziano Marino per Ce.S.I. (Centro Studi Internazionali), l’autorevole think tank indipendente fondato nel 2004 da Andrea Margelletti, che da allora ne è il presidente. Annotano tra l’altro gli autori: “[…ˆ] Il 19 agosto 2021, quattro giorni dopo l’ingresso trionfale dei talebani a Kabul, il portavoce del movimento Zabiullah Mujahid annunciava la ricostituzione dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan. Dopo aver trascorso due decenni a guidare l’insorgenza contro il governo dell’allora Repubblica Islamica e contro le Forze internazionali, il Movimento talebano ha dovuto fare i conti con le difficoltà derivanti dal dover assumere effettivamente il controllo e, soprattutto, amministrare lo Stato. Il dossier securitario continua ad essere la priorità assoluta per il movimento, che, una volta conquistato il potere, sta ancora prendendo le misure per capire come mantenerlo. Ciò ha portato non solo al tentativo di garantire il controllo in modo capillare, dalla capitale alle periferie del Paese, ma anche a cercare di eliminare qualsiasi forma di opposizione, militare e civile, al proprio governo. Inoltre, l’indisponibilità del gruppo ad aprirsi al dialogo con le forze politiche afghane rimaste nel Paese, per dar vita ad un governo di larghe intese, e l’adozione di politiche di matrice confessionale radicale, in violazione dei diritti civili e delle libertà politiche di intere fasce di popolazione, hanno condannato l’Emirato all’isolamento internazionale.Senza una classe dirigente con sufficiente esperienza nel gestire l’apparato statale e il supporto della Comunità Internazionale, il nuovo Emirato talebano sta facendo fatica nel delineare un progetto politico che possa essere stabile nel medio-lungo periodo. Se nei primi mesi dalla riconquista del potere, la leadership talebana aveva sperato soprattutto nel rilancio dei rapporti con i vicini, ad oggi anche questo dialogo non sembra aver ancora sortito gli effetti desiderati. In un momento di profonda destabilizzazione del contesto internazionale, l’Afghanistan si trova così nuovamente ripiegato su sé stesso. Ad un anno dal ritorno al potere degli ex studenti coranici, infatti, il Paese rimane così in uno stato di grave instabilità politica, aggravata dal deterioramento delle condizioni di sicurezza e da una profonda crisi economica, che rischia di trasformarsi in una catastrofe umanitaria…”.

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La resistenza è donna

Le agenzie stampa hanno dato notizia che combattenti Talebani hanno sparato in aria oggi a Kabul per disperdere una protesta organizzata da donne: si tratta di una quarantina di persone che stava sfilando verso il ministero dell’istruzione. 

Le manifestanti portavano uno striscione su cui si leggeva: “Il 15 agosto è una giornata nera”, in riferimento alla data della caduta della capitale. E poi “Giustizia, giustizia, siamo stufi dell’ignoranza”, un altro slogan intonato dalle dimostranti in marcia. Prima di sparare in aria, secondo quanto riportano le agenzie internazionali, talebani in uniforme militare e armati di fucili d’assalto avevano bloccato un incrocio vicino al corteo. Poi uno di loro ha simulato uno sparo, mirando ai manifestanti – così il racconto di un cronista di France Presse. Alcune dimostranti si sono poi rifugiate nei negozi vicini, dove sono state inseguite e picchiate con il calcio dei fucili dai talebani, riporta l’agenzia.

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 Lunedì 15 agosto sarà il primo anniversario dell’ingresso dei Talebani a Kabul, che hanno ripreso il potere dopo che il loro primo regime era stato rovesciato nel 2001 dall’intervento anglo-americano: fu una avanzata nel paese fulminea, con l’esercito afghano che cedeva le posizioni senza la forza di contrattaccare, la fuga degli occidentali ed il caos, fino alla strage all’aeroporto di Kabul con più di 90 morti ed almeno 150 feriti. Un lungo anno dove il nuovo regime fondamentalista ha riportato indietro l’orologio di 20 anni, ripristinando il burqa per le donne e restringendo libertà civili e culturali.

Emergency: 23 milioni di afghani a rischio grave insicurezza alimentare
A distanza di un anno dall’abbandono delle forze internazionali ed all’instaurazione del governo talebano in Afghanistan, Emergency ha contato più di 16.000 ammissioni, con 3.000 ammissioni solo a Kabul, dove ancora per più del 90% si è trattato di vittime di guerra. Lo ha reso noto la stessa Emergency in un comunicato in cui afferma che il Paese si trova ora vicino al collasso con più di “23 milioni di afgani a rischio di grave insicurezza alimentare, una crisi economica devastante, l’aumento della povertà, del bisogno di servizi essenziali e della criminalità”. 
 Secondo l’associazione umanitaria, le cause in una crisi economica senza precedenti “che affama la popolazione a causa di oltre 40 anni di guerra, dei devastanti effetti del cambiamento climatico, dell’isolamento e delle sanzioni internazionali”.
Dopo l’agosto del 2021 sono continuati gli attentati nella capitale, in particolare attacchi terroristici ai danni di luoghi di culto e istruzione ad opera di gruppi armati. 

“Punto di rottura: la vita per i bambini a un anno dalla presa di controllo dei talebani”.

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Scrive Silvia Rocchi, in un report toccante quanto documentato per Rainews: “Era il 15 agosto del 2021, circa un anno fa, quando i talebani presero il controllo Afghanistan con il ritiro delle forze internazionali. Giornate seguite 24 ore su 24 da tutti i media del mondo e una compassione globale. Negli stessi giorni sono stati annullati miliardi di dollari in aiuti internazionali e le riserve di valuta estera del paese. Dopo i riflettori si sono spenti su un paese dove il sistema bancario è crollato, c’è stata la peggiore siccità degli ultimi 30 anni e a giungo un terremoto ha provocato, secondo le stime di Emergency oltre 1.000 morti e quasi 3.000 feriti. Tragedia che fatto riaccendere anche se per poco i riflettori.

A pagare il prezzo più alto del ritorno dei talebani e di un paese allo sbando sono stati le donne e i bambini. Il 97% delle famiglie cerca ogni giorno cibo, ma quasi l’80% dei bambini ha dichiarato di essere andato a letto affamato negli ultimi 30 giorni, una probabilità che, ad oggi, coinvolge il doppio delle ragazze rispetto ai coetanei maschi. A digiuno si fa fatica a lavorare ma i bambini lo fanno lo stesso nelle fabbriche di mattoni, raccogliendo immondizia e pulendo le case. Affamati è difficile studiare anche se i talebani hanno vietato alle ragazze di frequentare le classi della scuola secondaria. Condizioni, si legge nel report Save the Children, che ha come conseguenza la depressione per il 26% delle ragazze, per 16% dei ragazzi, il 27% mostra segni di ansia rispetto al 18% ai coetanei maschi. Un quadro a tinte fosche dove per sopravvivere sono aumentati i numeri dei matrimoni precoci. Nell’ultimo anno l’88% delle ragazze minorenni hanno detto di essere state “invitate a sposarsi” per migliorare e  sostenere economicamente la loro famiglia.

 “Questa è una crisi umanitaria – afferma Chris Nyamandi, direttore di Save the Children in Afghanistan- ma anche una catastrofe dei diritti dei bambini. La soluzione non può essere trovata solo in Afghanistan. la soluzione è nelle stanze del potere dei leader politici internazionali. Se non forniscono finanziamenti umanitari immediati- conclude Chris Nyamandi, trovando un modo efficace per rilanciare il sistema bancario e sostenere l’economia in caduta libera, la vita dei bambini andrà perduta e sempre più ragazzi e ragazze perderanno la loro infanzia a causa del lavoro, dei matrimoni precoci e delle continue violazioni dei loro diritti”.

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Balzo indietro

Il 15 agosto 2021, sottolinea Amnesty International, l’Afghanistan è entrato in una nuova fase storica. I talebani hanno conquistato la sua capitale Kabul. Hanno rovesciato il governo civile. E hanno preso il controllo del Paese. Venti anni dopo esser stati estromessidagli Stati Uniti e dai loro alleati. Al contrario delle loro affermazioni sul rispetto dei diritti umani i talebani si sono subito macchiati di un lungo elenco di violazioni e di crimini di diritto internazionale. Come l’uccisione di civili e di soldati già arresisi. E il blocco degli aiuti umanitari nella valle del Panshir. Inoltre hanno nuovamente imposto limitazioni nei confronti delle donne. Della società civile. E dellalibertà d’espressione. “I talebani hanno mostrato che non sono affidabili quando parlano di rispetto dei diritti umani – annota l’organizzazione non governativa internazionale-. Abbiamo verificato numerosissime violazioni. Dalle rappresaglie agli attacchi alle donne. Fino alla repressione delle proteste. E ai giri di vite contro i giornalisti e la società civile”. Le donne sono state escluse dai loro posti di lavoro. E le ragazze (al di sopra della sesta classe) non sono state autorizzate a tornare a scuola. I talebani hanno introdotto listruzione divisa per genere nelle università. Con l’imposizione di indossare un velo. Un obbligo che deve essere rispettatoda studentesse, docenti e dipendenti degli atenei.

I finanziamenti internazionali all’Afghanistan sono stati sospesi e miliardi di dollari di beni del Paese che erano depositati all’estero, principalmente negli Stati Uniti, sono stati congelati. In particolare, nel sistema bancario statunitense sono stati congelati 7 miliardi di dollari di fondi afghani. Per essere chiari, soldi della Banca Centrale afghana depositati negli Stati Uniti dall’ex governo afghano”.

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Così parlò il mullah capo

“In Afghanistan occorre applicare ‘totalmente’ la sharia, tutte le persone responsabili devono essere uguali sotto la legge islamica”.

È quanto ha affermato il leader dei Talebani, il mullah Hebatulà Akhundzada, nel corso di un incontro con i governatori delle Province a Kandahar, nel sud del Paese, avvenuto il 29 luglio scorso.Akhundzada ha sottolineato “l’importanza del sistema islamico e della sua protezione”, rimarcando nel contempo che “il sistema islamico in Afghanistan è nato con la benedizione di molti sacrifici, esaurimento e martirio della popolazione. Abbiamo protetto la lotta del Jihad contro decine di Paesi occupanti”.

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Il mullah ha anche indicato che, “se l’occupazione fosse continuata 40 anni, la lotta sarebbe proseguita finché tutti gli invasori non fossero stati sconfitti e non avessero lasciato il Paese con la testa bassa”. Ha anche lamentato il fatto che “negli ultimi vent’anni c’è stata molta propaganda contro il sistema islamico e la sharia”, riferendosi al periodo tra la cacciata dei Talebani dal potere, nel 2001, e il loro ritorno a Kabul nell’agosto 2021.

 “Le leggi fatte dagli uomini – ha detto – non sono applicabili. Nell’emirato islamico, il comando spetta solo a Dio e la soluzione a tutti questi problemi è nella sharia. La sovranità dell’Emirato islamico è agli ordini di Dio e non si decide attraverso petizioni della gente secondo i vari stati d’animo, né si tratta di una repubblica”.

La settimana precedente lo stesso Akhundzada aveva emesso un decreto per vietare le critiche “infondate” alle autorità afghane, sostenendo che numerosi hadith, i precetti islamici, sottolineano che queste azioni meritano di essere punite. “Secondo le norme islamiche, non è permesso formulare accuse false contro le autorità, né criticarle con argomenti infondati”, ha detto. Akhundzada ha chiesto che “si diano alle donne tutti i diritti” previsti nell’ambito della sharia e ha sollecitato a non insultare i capi, perché “colui che insulta la sharia sarà insultato da Dio”. Il leader dei Talebani ha anche sollecitato i governatori affinchè “mantengano un buon rapporto con tribunali, soddisfino le loro necessità e collaborino totalmente con loro nel momento di applicare le sentenze”. In ultimo, ha invocato “l’eliminazione del nazionalismo e del razzismo”, aggiungendo che “gli eruditi e gli imam delle moschee devono far sì che le persone siano coscienti delle virtù del sistema islamico e devono attrarle a sé, per allontanarle dal regionalismo e dal nichilismo”.

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Questo è l’Afghanistan nell’Emirato islamico 2.0. Se possibile, peggio del primo. Dopo vent’anni di guerra e la fuga ignominiosa del 15 agosto 2021. 

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