Ne “Il Settimo Cielo” la Andromaca contemporanea di Francesca Merloni
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Ne “Il Settimo Cielo” la Andromaca contemporanea di Francesca Merloni

La mia Andromaca è una creatura urbana, contemporanea ed epica allo stesso tempo, che pervicacemente immagina un finale diverso

Francesca Merloni - Il Settimo Cielo - intervista
Francesca Merloni - Il Settimo Cielo
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24 Ottobre 2023 - 00.19


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di Alessia de Antoniis

“Il Settimo Cielo” di e con Francesca Merloni è stato ospitato il 10 Ottobre a Palazzo Zorzi a Venezia, in collaborazione tra la Fondazione La Biennale di Venezia e la rete italiana delle 13 Città Creative UNESCO, e l’11 Ottobre al LabOratorio San Filippo Neri a Bologna. Sul palco Francesca Merloni è stata accompagnata da Arturo Annecchino & Symphònia Band.

Il risultato è un caleidoscopio di atmosfere, sonorità narranti in una lingua immaginaria, attimi di un lungo viaggio che dialoga, come un omaggio e un tributo, con alcune fra le canzoni più significative del lungo percorso artistico di Franco Battiato.

“Dicono che il Settimo Cielo, nella cosmogonia tolemaica e poi dantesca, sia quello dedicato a Saturno, l’ultimo cielo accessibile agli umani – afferma la poetessa Francesca Merloni – Si contemplano il silenzio e la meditazione, e del silenzio e dell’eternità dell’istante tratta la nostra opera. È il Cielo che precede le Stelle Fisse, poi l’Empireo. È governato dai Troni, che chiamano la Giustizia. Vi regna quel silenzio palpabile che a volte gli umani odono, se riescono ad ascoltare la musica delle sfere, cioè gli armonici che i corpi celesti producono nello sfiorarsi. E nel Settimo Cielo i sorrisi e gli sguardi, i canti, si dissolvono per troppa luce. È questo che provano e ricordano i nostri protagonisti, immersi in un dialogo tra frammenti di memoria e ricostruzione. Tra amore e giudizio. Tra epica e assoluzione.”

L’autrice Francesca Merloni trova la sua voce nel sogno di Andromaca, compagna di Ettore, principe troiano protagonista dell’Iliade di Omero. Di fronte alle atrocità della guerra, Andromaca chiede al suo sposo di non abbandonarla, di non gettarsi nella mischia, di fermarsi. Ettore non la ascolta, affronta i Greci e viene ucciso, destinando la sua sposa e il figlio Astianatte ad una vita di schiavitù. Il destino di Andromaca ne traghetta il personaggio fino all’Eneide dove la troviamo, custode dei suoi ricordi, nella Città Nuova, nella nuova Ilio. Lo sguardo di Andromaca, lucido nell’analisi del presente e dell’inevitabile, si posa ad osservare una società ansiosa e febbrile, animata da speranze di soluzioni immediate e inespresse stanchezze di fronte al cambiamento.

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Con Francesca Merloni abbiamo parlato della sua Andromaca e del suo rapporto con una figura così controversa.

Andromaca viene raccontata in modi diversi nell’Iliade, nelle Troiane di Euripide e nell’Eneide. Perché ha scelto lei? E quale Andromaca è la sua Andromaca?

Dice bene, lei ha scelto me. È stata lei a presentarsi, in qualche modo, con la sua voce e il suo diritto alla parola. Ha delle cose da dire, si pone nitidamente come portatrice di un messaggio il cui nucleo è l’amore, declinato in molte forme. La poesia è misteriosa, le visioni sono delicate, ma quando arrivano lo fanno potentemente.

La mia Andromaca è una donna lucida nella analisi del presente, è una creatura urbana, contemporanea ed epica allo stesso tempo, e pervicacemente immagina una storia diversa nel finale. Continua a chiedere ad Ettore di non partire in guerra, lo sostiene nel dubbio, accoglie le sue fragilità, lo richiama al vero senso dell’esistenza al di là della gloria, del destino già segnato.

Come se davvero, al bivio, lui potesse imboccare una strada diversa, lei manda indietro l’immagine fino al momento della scelta.

Andromaca: nella radice del nome c’è la parola uomo. Andromaca è colei che combatte come un uomo. È  una combattente. Eppure, nell’Iliade è la vedova inconsolabile di Ettore, nelle Troiane di Euripide è la madre disperata per l’uccisione del figlio. In Baudelaire è simbolo della sofferenza del poeta che si sente esiliato nella sua stessa città. Forse, invece, nel caso di Andromaca dovremmo dire “nomen omen”?

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Sì, nomen omen: Andromaca è una figlia guerriera dei tanti modi di essere donna. La sua vita attraversa vicissitudini che ci commuovono e ci interrogano. Lei esplicita in modo sincero e aperto ciò che avviene davvero, nel cuore e nell’esistenza. E comunque resta fedele alla promessa e continua a pagare il sale amaro con l’amore. La troviamo infine mentre edifica una piccola Ilion, nonostante tutto, anche in terra straniera. Una piccola città dove portare solo l’essenziale, la forza non disintegrata della Vita.

Le figure tramandateci dalla tradizione greca sono sempre attuali perché archetipiche. Chi sono le Andromaca nel mondo contemporaneo?

Sono le creature “non di passaggio”, sono coloro che rinascono dalle proprie ceneri, coloro che hanno il coraggio della verità, anche se scomoda. Sono coloro che amano.

L’invito all’ascolto, al silenzio, è presente nel testo. Ubriachi di parole non sappiamo più ascoltare?

Mi colpisce sempre, direi mi ferisce, il rumore di fondo che dilaga ed è ovunque. Non esiste luogo senza frastuono. È una ferita, una offesa al dispiegarsi della coscienza di ciascuno, un approfittare della disponibilità interiore dell’altro. Credo tutto questo stia producendo gravi danni, interiori e collettivi.

Eppure tutto avviene in quell’intervallo tra i movimenti del respiro, negli spazi tra le note, nei silenzi delle partiture, nell’attimo esatto in cui qualcosa non è nato eppure già lo avvertiamo. Ecco, ci stiamo privando di questo, della capacità generativa dei silenzi, dell’ampiezza dell’attesa, del mistero. Del poter immaginare, e poi dire, una parola originale, non mediata, non indotta, perché frutto di un ascolto interiore e della sua elaborazione.

“Il Settimo Cielo” è testo scritto in pandemia, quando ci siamo dovuti fermare. Finita la pandemia nuove guerre stanno dilaniando l’Occidente. Continuiamo a dimenticare che “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”?

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Il testo assume oggi una attualità profondissima e sconcertante. Parla della guerra, con un cenno particolare ai Territori. Le parole suonano in ampiezza e profondità di significato, forse quello che spesso diamo per scontato a forza di ab-usarlo. Invece è lì, nella sua drammatica portanza.

E forse è questo ciò che Andromaca ha visto arrivare, riflesso nella confusione post-pandemica, nell’ansia febbrile, nella inconsapevolezza e nel disprezzo di quelle circostanze he avrebbero dovuto cambiarci, renderci migliori.

C’è stato un silenzio, c’è stato un tempo. Lo abbiamo avuto nelle mani. E di questo dobbiamo rendere conto.

Sul palco Andromaca dice: “Andiamo in guerra per fare la pace, per arcani che non comprendiamo. Adesso basta! Fermiamoci adesso!”. Andare in guerra per portare pace è un ossimoro, uno slogan che abbiamo imparato ad usare nel secolo scorso per ottenere l’appoggio dell’opinione pubblica a guerre insensate. Se i cuori delle persone che abitano in una terra sono pieni di odio, lo sarà anche la terra dove vivono. Le parole che lei fa dire ad Andromaca sembrano un appello all’umanità tutta in un momento di delirio. Il mondo femminile che dice basta, è destinato a rimanere inascoltato come Andromaca nell’Iliade?

È vero, quello di Andromaca è un appello. A chi si apre alla possibilità dell’ascolto. Io continuo ad avere fiducia, a credere fermamente, pervicacemente, nella virtù che alberga nell’Umano. Non potrei fare altro. Anche se è difficile, anche nell’insensatezza. Continuo a credere nelle piccole cose, nei gesti che tengono insieme, nei rammendi, nella cura. Anche nella visione, però. Che sia una visione alta, laterale, indisciplinata. Che apra mondi. Che cerchi luce.

Forse è questo il portato del Femminile, questa fantasia unita alla saggezza, questa importante misericordia.

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