Jannacci e Gaber: quelli che non moriranno mai!
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Jannacci e Gaber: quelli che non moriranno mai!

In questo 2023 si sono celebrati contemporaneamente il ventennale della scomparsa di Giorgio Gaber e il decennale di quella di Enzo Jannacci, due grandi e poliedrici artisti, due vite vissute interamente a Milano,

Jannacci e Gaber: quelli che non moriranno mai!
Giorgio Gaber e Enzo Jannacci
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Michele Cecere Modifica articolo

14 Novembre 2023 - 01.08


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In questo 2023 si sono celebrati contemporaneamente il ventennale della scomparsa di Giorgio Gaber e il decennale di quella di Enzo Jannacci, due grandi e poliedrici artisti, due vite vissute interamente a Milano, due grandi amici che ci hanno divertito ma che hanno anche stimolato tante riflessioni dalla fine degli anni cinquanta all’inizio del terzo millennio.

Fra i tanti omaggi spiccano due film, due documentari basati entrambi sull’assemblaggio di registrazioni e testimonianze, ma dall’esito piuttosto diverso, a mio parere.

Perché se si esce divertiti e un po’ stralunati, nello spirito di Enzo Jannacci, dalla visione dei 97 minuti di “Vengo anch’io”, l’opera del regista Giorgio Verdelli, non altrettanto si può affermare dopo aver visto i 135 minuti di “Io, noi e Gaber” curato da Riccardo Milani.  Il film di Verdelli ha il merito di toccare le corde più profonde del cuore, mostrandoci la Milano dei servizi sociali ispirati al barbone di “El purtava i scarp del tennis”, il vecchio tram su cui Roberto Vecchioni dice che Enzo è stato il più grande innovatore della canzone italiana, il brano “Vincenzina e la fabbrica” eseguito con Monica Vitti seduta in terra commossa  accanto al pianoforte: sono solo alcuni dei frammenti che compongono il film dedicato al cantautore che del cuore aveva fatto la sua professione a tutto tondo, essendo medico cardiologo. E anche la testimonianza che potrebbe apparire agli antipodi del mondo di Jannacci, quella di Vasco Rossi che mostra la lettera realmente ricevuta da Enzo, colpisce anch’essa al cuore e ci ricorda uno dei suoi ultimi pezzi, “Lettera da lontano” dove canta “Lettera a Vasco Rossi, mi piace  sentirgli dire che oggi è spento”. 

Ma la passione che emergie in ogni fotogramma del film su Jannacci riviene sia dalla presenza continua e mai banalmente celebrativa del figlio Paolo, affermato musicista, nonché dei significativi stralci di una lunga intervista che lo stesso regista aveva ottenuto dall’artista milanese nel 2005, intervista finora del tutto inedita. Potrà sembrare banale il titolo di questo film, tratto dalla prima surreale canzone che consacrò al successo Jannacci nel 1968, ma resterà memorabile la toccante esecuzione strumentale al piano del figlio Paolo, che accompagna i momenti più commoventi dell’intenso lavoro di Verdelli, il cui merito è anche quello di scavare approfonditamente il tessuto socio culturale in cui si muoveva quella Milano fra gli anni sessanta e i settanta, con Dario Fo, Cochi e Renato, Paolo Rossi e tutti quelli del cabaret del Derby, fra i quali è bello ricordare Beppe Viola, il giornalista sportivo scomparso nel 1982 a soli 43 anni autore con Jannacci di brani straordinari come “Quelli che…”.

Altro discorso per “Io, noi e Gaber” il documentario di Riccardo Milani, dal titolo più originale ma dai contenuti eccessivamente didascalici e a tratti un pò scontati. Certo è anche vero che su Gaber si è scritto e detto tanto, di materiali inediti non ne spuntano più, ma si potrebbero ancora approfondire le zone meno battute del “Signor G”. Ad esempio, piuttosto che interagire banalmente e stucchevolmente con Pierluigi Bersani sul trito e ritrito “Qualcuno era comunista”, sarebbe stato meglio parlare di dischi poco conosciuti e particolari, come quel “Sexus et politica” del 1970, in cui  Gaber cantò 12 canzoni scritte da Virgilio Savona, del Quartetto Cetra, canzoni ispirate dai testi della letteratura latina. E perché non citare nessuno dei monologhi del bellissimo spettacolo del 1995 “E pensare che c’era il pensiero”, vero e proprio concentrato del pensiero del duo Gaber-Luporini, forse la traccia che resta più attuale del loro immenso lavoro? 

Nulla nemmeno delle altre opere teatrali di Gaber, quelle estranee alla forma del teatro-canzone, come  “Il grigio”. E nessun accenno nemmeno ai 5 film in cui recitò. Insomma, si può anche non fruire di materiali inediti come l’intervista di Verdelli a Jannacci o quella di Salvatores a Morricone nel bellissimo documentario “Ennio” del 2021, ma in “Io,noi e Gaber” non appare convincente nè la scelta di alcuni personaggi intervistati, né la raccolta dei materiali di repertorio. E anche quando il regista affronta la spigolosa questione familiare causata dalla scelta della moglie Ombretta Colli di entrare in politica proprio in Forza Italia nel 1994, l’approccio appare superficiale e “buonista”.

Sarebbe bastato scavare nell’immensa discografia gaberiana per scoprire che nel 1991 il testo del brano “La strana famiglia” è firmato anche da Ombretta Colli ed è una satira feroce contro la TV e i suoi programmi, in particolare i giochi a quiz, tanto che si conclude così:  “Come ti chiami? Da dove chiami? Stiam diventando tutti scemi. Pronto? Pronto? Pronto? Stiam diventando tutti coglioni. Pronto? Pronto? Pronto? Con Berlusconi o con la Rai”.

Come in soli tre anni la critica al modello televisivo berlusconiano si sia tramutata in adesione convinta al credo di “Sua Emittenza” resterà un mistero.  Va dato atto però che il film ha il merito di farci entrare nei teatri più significativi calcati da Gaber, dove il regista raccoglie le significative testimonianze di Ivano Fossati, Gianni Morandi, Mario Capanna e Guido Harari. E poi di farci entrare nella mitica villa La Padula a Montemagno di Camaiore, dove Giorgio spirò nel primo pomeriggio del 2003, quella splendida villa in cui per tanti anni lui e Sandro Luporini, il pittore viareggino intimo collaboratore, si erano incontrati per parlare di ciò che avveniva nel mondo e per scrivere canzoni e monologhi dei loro spettacoli.

Al di là degli esiti alquanto diversi, i due film hanno però l’indubbio merito di riportare a galla l’attualità di Gaber e Jannacci in un mondo in cui guerre e ingiustizie prevalgono su tutto. Perché in questo 2023 abbiamo un disperato bisogno di recuperare l’umanità dei personaggi delle canzoni di Enzo Jannacci, dal barbone che portava le scarpe da tennis rincorrendo un sogno d’amore, a Giovanni Telegrafista, quello dal cuore urgente, dal ragazzo padre che dice  “non è peccato chieder la carità” a Vincenzina che vuol bene alla fabbrica, da Mario  che inciampa negli anni e affoga in un fiasco di vino al soldato Nencini analfabeta e per giunta terrone!

Così come abbiamo un urgente bisogno di recuperare gli stimoli delle provocatorie riflessioni, spesso paradossali e scomode, che Giorgio Gaber ci ha lasciato con i monologhi e le canzoni scritte col suo inseparabile amico Sandro Luporini.  Perché non è solo la sua generazione ma il mondo intero a rischiare di perdere ora se non si riesce a recuperare il pensiero, se non si è capaci di amare, se non si è consci di poter sentirsi vivi e felici solo se lo sono anche gli altri, se non si comprende che la più pura appartenenza è quella che fa sentire di avere gli altri dentro di sè. E poi che non serve insegnare ai bambini, ma che occorre coltivare in sé stessi il cuore e la mente. Giro girotondo..e chissà che non cambi il mondo!

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