Perché Terzani è ancora attuale nel 2025
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Perché Terzani è ancora attuale nel 2025

Piero Ambrosi rilegge Tiziano Terzani con "L'Asia dentro l'imbrunire". "Mi fa paura l'Occidente impaurito e schiacciato"

Piero Ambrosi - Tivoli - intervista di Alessia de Antoniis
Piero Ambrosi - Tivoli
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Alessia de Antoniis Modifica articolo

20 Dicembre 2025 - 15.22


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di Alessia de Antoniis

Terzani non è un autore da anniversario. Quando scrive che l’uomo rischia di diventare subalterno dell’economia, sta descrivendo anche il nostro presente e la nostra dipendenza da un progresso senza bussola.

Piero Ambrosi, già sindaco di Tivoli ed ex consigliere regionale del Lazio, torna oggi su quella traiettoria con Tiziano Terzani. L’Asia dentro l’imbrunire (Fuorilinea, collana “Ottante”, 130 pp.).

Un libro su Terzani, oggi, rischia due trappole: l’agiografia e la nostalgia. Ambrosi le evita entrambe. Nella sinossi, l’autore disegna il doppio movimento terzaniano: da Saigon a Phnom Penh, da Hanoi a Pechino; e poi la ricerca di “un’altra Asia”, fatta di riti, resistenze, civiltà devastate ma non spente. Sullo sfondo, una frase che non è aforisma: “La prima rivoluzione deve avvenire in noi stessi”.

 “L’Asia dentro l’imbrunire”: nel 2025 questo titolo suona come resa, pace o allarme?

Non è una resa. Se dovessi dirla in modo netto: il viaggio continua. “Imbrunire” rimanda anche all’idea dell’alba: l’Asia è il continente dove vive circa il 60% della popolazione mondiale e, nel bene e nel male, è destinata a pesare sempre di più. Terzani, soprattutto nell’ultima parte della sua vita, intuisce in Asia, in particolare in India, potenzialità che possono rinnovare il mondo: un approccio alla conoscenza di sé, alla ricerca del senso del vivere, che può diventare fondamento dell’umanità che verrà.

Perché scegliere Terzani adesso?

Perché il suo messaggio è di grandissima attualità. Terzani in Asia ha conosciuto illusioni e disillusioni: una politica, legata alle rivoluzioni e ai rivolgimenti che spesso sono degenerati in dittature e soppressione di libertà e diritti; e un’altra, parallela, più profonda: la paura dell’avanzata del modello occidentale fondato sul profitto e sulla sottomissione dell’uomo al capitale. E oggi quella sfida è ancora lì: non bloccare la crescita dell’era digitale, ma darle un volto e un’anima più umani.

Nel libro torna un’idea-cardine di Terzani: la prima rivoluzione deve avvenire in noi. Da uomo delle istituzioni: dove finisce l’etica e dove comincia la macchina? Dove sta quella rivoluzione?

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La rivoluzione, quando si impone sul piano storico e politico, è anche un movimento collettivo. Ma se non c’è prima consapevolezza di ciò che siamo, anche con le nostre contraddizioni, restiamo in superficie. Terzani ci dice che la ragione occidentale è forte, importante, ma non sufficiente. E allora la testimonianza personale diventa un seme: una fatica di Sisifo, se vuoi. La rivoluzione sta nell’iniettare nelle istituzioni la propria originalità, ma anche l’amore: quello che si coniuga con il bene comune e con scelte figlie di una visione culturale.

Nelle istituzioni l’etica si misura contro la macchina: procedure, compromessi, potere, privilegi. Le è mai capitato di accorgersi che, più che educare la macchina, è la macchina che ha finito per educare lei? E dove mette oggi il confine?


Il confine è nello smisurato senso di libertà che abbiamo e nella concezione relativa del potere: che è uno strumento formidabile, ma resta uno strumento. Più se ne acquisisce la transitorietà, più si può operare bene. Se invece si agisce per conservarlo, il potere diventa fine e si perde di vista perché lo si esercita. Io mi domando spesso: quando chi governa si sveglia, il primo pensiero è come rendersi utile agli altri o come rendere utile a sé stesso la giornata?

Se un giovane, dopo aver letto Terzani, le dicesse: “La politica è compromessa, l’unico gesto coerente è chiamarsene fuori”?


Non so se ho un argomento “veloce”, come richiede la comunicazione di oggi. Ci vuole pazienza: la saggezza del contadino che aspetta il tempo della semina. Oggi circolano infinite informazioni e non so quanto i giovani vengano educati a ritrovare le radici. Inviterei quel giovane a leggere Terzani a fondo per ritrovare la semplicità del pensiero, l’ascolto, la capacità di “fermare il tempo”: la circolarità del tempo, il “durante”, il collegamento tra il tempo che vivo e l’eterno. Possono arrivare questi concetti ai più giovani? Penso di sì. Sono ancora ottimista.

Rileggendo Terzani oggi, da uomo delle istituzioni, cosa le ha fatto più male?

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La scoperta che molte utopie decadono perché chi capitalizza le rivoluzioni, con emblemi e simboli, ha bisogno di eliminare la vecchia cultura e, spesso anche fisicamente, le persone che la portano. Terzani dice: “la terra è un grande cimitero”, e non è solo l’ovvietà delle generazioni che si accavallano; è l’invito a tenere conto dei nostri avi, a salvaguardare storie e tradizioni. La tradizione è una consegna: non si ripete uguale, ma non può essere recisa. E questo tema, in Cina, per lui, è potentissimo: vede un’azione sistematica di cancellazione di radici, religioni, etnie, espressioni popolari, arti, e si chiede come si possa andare verso il nuovo troncando così nettamente ciò che si è stati.

Cosa le fa più paura: l’Asia raccontata da Terzani o l’Occidente che lui vede “al servizio dei mercati”?


Mi fa più paura l’Occidente. L’Occidente oggi appare impaurito, schiacciato. Forse l’Occidente, con i suoi 750 milioni di abitanti rispetto ai 5 miliardi dell’Asia, e non so quanti dell’Africa, dovrebbe riconsiderare la propria rotta; soprattutto in un’epoca in cui la Russia di Putin e l’America di Trump ci inducono a dire che nulla è più uguale rispetto a ieri. E io credo che l’Europa dovrebbe guardare di più a uno scambio non solo economico, ma soprattutto culturale con questi continenti e con questi popoli, verso i quali conserva ancora un grande debito storico.

L’Occidente ha colonizzato il resto del mondo per convertirlo. Terzani parte come giornalista per raccontare l’Asia e ne torna profondamente cambiato. Alla fine sarà l’Oriente a cambiare l’Occidente?


Buddismo e induismo sono stati determinanti nell’ultimo Terzani perché lui, pur avendo raccontato l’Asia per decenni, aveva evitato di misurarsi con un fondamento: il primato dello spirito. Quando Terzani insiste che l’uomo non può essere subalterno dell’economia, io, occidentale e credente, l’ho accostato alla Populorum Progressio di Paolo VI. Perché il linguaggio e le convinzioni dell’ultimo Terzani sui diritti e i doveri dell’uomo, le ritrovo nelle parole di quell’enciclica del ’67 che parla di sviluppo integrale: “promuovere ogni uomo e tutto l’uomo”.

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Nel suo sguardo su Terzani, la morte è paura o liberazione?

Terzani invita a rinunciare ai desideri, a considerare il corpo come mezzo e non come fine. Se mi libero da idoli come potere, successo e denaro, la morte non mi leva nulla. Terzani parla di una luce che si ricongiunge all’essere cosmico; è una via diversa dalla mia, ma trovo assonanze forti: la luce, l’amore, il sentimento stanno sopra la ragione, nel mistero.

Penso anche alla distinzione tra i medici statunitensi che lo operano per un cancro, e che lui chiama “aggiustatori”,  e gli amici indiani che gli fanno capire che si può star bene anche con un tumore e una malattia terminale nel corpo. È lo stesso concetto.

A proposito di “un’altra Asia”: Terzani la racconta viaggiando via terra. Ne nasce un libro potente come Un indovino mi disse (1995)…

È un anno decisivo: nel 1993 vive senza prendere aerei dopo la profezia di un indovino di Hong Kong (1976) che gli aveva detto di non volare. Terzani attraversa l’Asia via terra e mare, incontra indovini, stregoni, sciamani, ma soprattutto si avvicina a un’altra Asia: quella che aveva intravisto ai margini delle guerre e delle grandi lotte politiche e che spesso si cerca di nascondere agli occhi dell’opinione pubblica mondiale. Dopo quell’anno chiede a Der Spiegel di essere mandato in India: formalmente per capire come l’India si inserisca nella vicenda capitalistica mondiale; ma lui ci va anche per il motivo opposto, per capire come l’India possa essere una diga rispetto a quel modello di sviluppo. E la malattia diventa un’opportunità: rimettersi in viaggio con occhi nuovi, guardare diversamente cose viste mille volte.

La fine è il mio inizio, è il titolo del libro testamento di Terzani…

Qui Terzani ha introiettato profondamente quel modo di pensare: essere felici dove ti trovi, nel momento in cui sei. E in quel concetto di rivoluzione umana che parte da me, che parte dal basso e non dall’alto, c’è tanto di questo.

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