Ad Atreju, il ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin ha dichiarato: “Garantisco l’impegno del governo italiano sull’ex Ilva e sull’obiettivo del miliardo necessario alla riconversione”. Un annuncio che tocca la vita di 10.500 dipendenti e di tutti quelli dell’indotto ma soprattutto una buona notizia per l’economia italiana.
Purtroppo, come spesso accade, le altre notizie o la sottovalutazione generale del problema hanno confinato la notizia nelle pagine di economia e solo di alcuni giornali. Con un’eccezione, la Gazzetta del Mezzogiorno, storico quotidiano pugliese che sottolinea come dalla cattiva gestione del problema acciaieria di Taranto dipenda la vita innanzitutto di 10.500 famiglie ma anche il futuro economico industriale della Puglia e dell’intera Italia.
Il quotidiano ospita un’interessante intervista ad uno dei tanti sindacalisti ma forse il più impegnato sul caso, Rocco Palombella, che dice: “Noi siamo contrari all’amministrazione ordinaria e crediamo non sia giusto che il governo continui ad assicurare le risorse, così come ha fatto in questi anni ad ArcelorMittal. Quello che chiediamo è che ci sia in questo momento il cambio di maggioranza. È il governo che deve dettare le condizioni e veicolare le scelte che bisogna realizzare”. Poi, incalzato dai giornalisti De Feudis e Rizzo, continua: “Mancano pochi giorni all’assemblea dei soci in cui si deciderà il destino non solo dello stabilimento, ma di Taranto e dell’intera siderurgia italiana. Noi pretendiamo che il governo dia delle risposte. Bisogna definire un piano industriale, La priorità in questo momento e fare in modo che lo stabilimento non si spenga”.
Insomma, un’apertura di giornale che meriterebbe una risposta pubblica dal Governo. Il ministro, fuori dalla festa di Fratelli d’Italia, dovrebbe dire cosa intende fare per garantire il futuro della più grande acciaieria d’Europa. Il Governo dica pubblicamente quale sarà il percorso che porterà l’azienda a completare l’iter di transizione energetica.
Abbiamo letto nei giorni scorsi che vi è un progetto di alimentare i forni con l’idrogeno ma che questa trasformazione necessiterebbe di un periodo di progettazione e costruzione di circa 10 anni. Ma in questi 10 anni quale sarà il destino produttivo di questa importantissima e vitale azienda per l’economia italiana? Il Governo faccia chiarezza su cosa accade nel frattempo e come pensa di tenere in vita l’azienda in questo periodo di transizione ecologica riuscendo a garantire produzione e compatibilità ambientale con il territorio circostante.
In questi mesi abbiamo letto di un progetto che prevede di replicare il sistema di alimentazione dei forni dell’acciaieria austriaca Voestalpine, azienda ampiamente citata per la particolarità di riuscire a coniugare produzione industriale di altissimo livello con rilascio in ambiente di basse emissioni inquinanti e addirittura di smaltire e chiudere il ciclo delle plastiche non riutilizzabili. Infatti una buona quota della alimentazione dei forni di questa acciaieria avviene tramite utilizzo di plastica derivante dalla raccolta differenziata.
Un processo industriale che viene definito dai tecnici dell’Unione Europea del settore una Bat (Best available technology). E proprio a Taranto è stato approvato un progetto del PNRR di ben 14 milioni di euro per realizzare una fabbrica per la trasformazione della plastica non riutilizzabile in combustibile adatto a sistemi come quello della acciaieria.
Il progetto è in fase avanzata e potrebbe addirittura entrare in funzione nella seconda metà del 2024. L’ex Ilva dal 2024 potrebbe alimentarsi praticamente a km zero, avere buona parte del combustibile necessario per il funzionamento dei forni dall’utilizzo di questa plastica riciclata, ma soprattutto si otterrebbe da subito una riduzione delle emissioni inquinanti del 30%! Potrebbe essere la soluzione migliore per permettere l’operatività dello stabilimento durante il percorso di decarbonizzazione, garantendo la salute, i lavoratori, le professionalità e la non perdita di quote mercato in un momento propizio per i produttori di acciaio.
Ma vi è anche un ulteriore risvolto ambientale da non sottovalutare: oggi l’Italia paga a Bruxelles una sanzione di 240 milioni annui per non riuscire a raggiungere le quote di riutilizzo della plastica raccolta prevista dalle normative Europee, cifra peraltro destinata a raddoppiare per il protrarsi dello stato di inadempimento. Occorre che il Governo convochi una serie di tavoli con sindacati, istituzioni interessate, tecnici, scienziati, giuristi, ambientalisti e alla fine tiri le somme e con trasparenza illustri un piano industriale che garantisca innanzitutto la salute di chi ci lavora e di chi vive in quell’area e un rilancio economico e industriale che è vitale per il centro sud ma anche per l’Italia intera.