Allarme ocean-grabbing in Africa: la pesca illegale sta distruggendo il mare
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Allarme ocean-grabbing in Africa: la pesca illegale sta distruggendo il mare

700 mila tonnellate di pesce illecito in 5 anni, totale mancanza di controllo e licenze di pesca dubbie stanno minacciando la sicurezza alimentare nel continente

Pesca illegale
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29 Maggio 2017 - 14.40


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Sovra-sfruttamento, mancanza di controllo e depredazione delle risorse. È la triste parabola dei mari africani che sta mettendo in seria crisi la sicurezza alimentare di molte comunità del continente. Non esiste solo il land grabbing, ma sempre più spesso le acque africane sono vittime dell’ocean grabbing: la pesca illegale, non regolamentata e non segnalata.

A dirlo è l’ultimo report dell’organizzazione ecologista Greenpeace “Hope in West Africa ship tour, 2017” che analizza il fenomeno della pesca illegale in Africa occidentale. La nave “Hope” di Greenpeace è tornata in porto all’inizio di maggio dopo tre mesi di navigazione al largo delle coste dell’Africa occidentale.

Il problema riguarda sempre di più licenze di pesca concesse secondo dubbie modalità, la totale mancanza di controllo sulle attività in mare, mancanza di coordinamento tra i vari paesi. Un’attività che penalizza la pesca artigianale e sta svuotando il mare.

La nave ha monitorato le attività di pesca di sei paesi costieri: Capo Verde, Mauritania, Senegal, Guinea Bissau, Guinea Conakry e Sierra Leone. Il report sottolinea la mancanza di coordinamento e di gestione della pesca sia a livello nazionale che a livello regionale. Gli accordi speciali e le joint ventures firmate tra Stati e compagnie private non sono trasparenti e le attività di sorveglianza sono estremamente deboli. Non tutti i paesi, infatti, hanno le stesse regole d’accesso alla risorsa ittica e spesso i criteri di assegnazione delle licenze sono opachi. Secondo Greenpeace, inoltre, non esiste armonia sulle misure da adottare contro coloro che violano gli accordi di pesca.

Durante il periodo di monitoraggio “Hope” ha controllato 37 pescherecci industriali, 13 dei quali violavano le leggi sulla pesca. Si trattava di navi battenti bandiera cinese, in 7 casi, italiana, coreana, delle Comore e senegalese. Reti illegali, pesca di specie escluse dai contratti di licenza e lo sconfinamento in altre acque territoriali sono alcune delle infrazioni registrate durante le analisi di Greenpeace.

La maglia nera è andata a Guinea Bissau e Sierra Leone per il maggior numero di pescherecci illegali. La pesca monitorata, non solo viola le regole sulle modalità di recupero della materia prima, ma anche sulla quantità di pescato. Il sovra-sfruttamento della risorsa ittica, nell’analisi di Greenpeace, impatta anche i paesi confinanti e soprattutto le comunità che dipendono dalla pesca.

Secondo uno studio congiunto di alcuni ministeri e centri di ricerca africani, pubblicato su “Frontiers in Marine Science” nel mese di marzo, l’impatto della pesca illegale costerebbe circa 2 miliardi di dollari all’anno ai paesi dell’Africa occidentale. A pagarne le spese più di altri sarebbero i paesi usciti dall’epidemia di ebola come Guinea e Sierra Leone. E quasi il 40% del pesce catturato nelle acque dell’Atlantico sarebbe frutto di modalità illegali. La pesca industriale illecita, inoltre, avrebbe causato la perdita di 300 mila posti di lavoro tra i pescatori artigianali. Secondo la ricerca, tra il 2010 e il 2015 la quantità di pescato illecito si aggirava intorno alle 700 mila tonnellate all’anno e i paesi più sfruttati erano Mauritania e Senegal.

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