Dopo il Rojava, dopo la Libia, come in macabro Risiko planetario, il “Sultano” di Ankara sposta le sue milizie di tagliagole nel Caucaso, diventato il nuovo terreno di scontro tra Turchia e Russia. I
l Caucaso torna ad infiammarsi. Da 2 giorni, infatti, sono ripresi, e su vasta scala, i combattimenti tra armeni e azeri attorno all’enclave del Nagorno-Karabakh, la regione a maggioranza armena ma inclusa nel territorio dell’Azerbaijan, di fatto controllata dall’Armenia dopo la guerra conclusasi nel 1994. In 48 ore si parla già, sebbene con toni di propaganda, di centinaia di caduti, cittadine bombardate, gravi perdite di materiali, ecc. Quando nel 1991 il gigante sovietico era collassato, Armenia e Azerbaijan erano divenute repubbliche indipendenti, ereditando assieme agli arsenali ex sovietici anche il conflitto per il controllo del Nagorno-Karabakh, spentosi nel 1994 con un cessate il fuoco e con la vittoria armena.
La Repubblica del Nagorno-Karabakh, non riconosciuta dall’Onu, è di fatto integrata – apparato militare compreso – nello Stato armeno, che gode del supporto di Mosca, che nella regione schiera basi militari e aeree, con 4.000 uomini. Baku, forte del suo status di potenza petrolifera, ha invece stretti legami con Occidente, soprattutto con l’Italia, prima destinataria dell’export petrolifero azero, Israele e Turchia: e in queste ore a gettare benzina sul fuoco c’è proprio il “presidente turco Recep Tayyp Erdogan, mentre la Russia ha una posizione più moderata, ma schierata con l’Armenia
Il Sultano e il disegno neo-ottomano
La Turchia ha forti legami culturali con l’Azerbaijan, nazione anch’essa a maggioranza islamica, oltre a condividere l’ostilità nei confronti degli armeni. Ankara infatti non ha mai voluto riconoscere il genocidio armeno perpetrate dall’Impero Ottomano tra il 1915 e il 1916. Nei giorni scorsi, Erdogan si è scagliato contro l’Armenia accusandola di “essere la più grande minaccia alla pace e alla tranquillità nella regione” e sottolineando che “la nazione turca sostiene i suoi fratelli azeri con tutti i suoi mezzi, come sempre”
“Non è solo l’Azerbaigian a dichiararci guerra, ma anche la Turchia”, tuona da Twitter il leader armeno di Karabakh Arayik Harutyunyan. Secondo l’ambasciatore armeno in Russia, la Turchia avrebbe trasferito circa 4.000 miliziani dai distretti settentrionali della Siria all’Azerbaigian. “Sono mercenari. L’intelligence militare ha ripetutamente dichiarato che sono arrivati all’aeroporto Naxcivan dell’Azerbaigian su voli charter“.
Alcuni giorni fa l’Osservatorio siriano per i diritti umani aveva dato notizia che almeno 300 mercenari, pagati dai 1200 e i 1500 dollari da Ankara, erano stati inviati dalla provincia di Aleppo in Azerbaigian.
La Divisione Hamza
Il quotidiano Greek City Times rimporta le affermazioni della giornalista Lindsey Snell che su Twitter denuncia che i combattenti della Divisione Hamza sono arrivati a Baku attraverso la Turchia.
All’inizio di quest’anno, la divisione Hamza è stata denunciata per aver tenuto in prigione donne, dopo averle denudare e averle usato violenza. Il gruppo è composto per lo più da arabi e turkmeni, e sono diventate una “forza mobile” del”Sultano”. Con l’intensificarsi della guerra in Libia all’inizio di quest’anno, la Divisione Hamza è stata uno dei principali gruppi di combattenti trasferiti dalla Turchia per combattere nel Paese nordafricano con il Governo di accordo nazionale guidato da Fayez al-Sarraj. . La promessa di uno stipendio mensile di 2.000 dollari era una tentazione per molti dei jihadisti siriani, tuttavia, come affermano a The National a giugno, leader della divisione di Hamza: “Ora rimpiangiamo di essere venuti. Il prezzo che abbiamo pagato è alto”.
Alla domanda su Twitter se la maggior parte dei combattenti che si recano in Azerbaigian provenga dalla Siria o dalla Libia, Snell ha rivelato che la maggior parte di essi proviene dalla Siria, ma che circa 70 militanti sono stati anche in Libia. Snell ha anche caricato una registrazione vocale di un militante secondo cui fino a 1.000 combattenti saranno trasferiti in Azerbaigian. Secondo Syriana Analysis, che cita fonti dell’opposizione siriana, ai jihadisti verrebbe offerto un ingaggio di 600 dollari al mese per combattere con l’Azerbaigian contro l’Armenia.
L’Azerbaijan ha smentito la notizia: “Le accuse sono infondate e completamente fuorvianti. Recentemente, abbiamo osservato in alcuni media stranieri una campagna calunniosa contro l’Azerbaigian, diffondendo informazioni assolutamente infondate e false a questo proposito”, ha dichiarato un portavoce azero al Greek City Times.
Per l’Armenia, la minaccia va presa in considerazione: “Come ha dichiarato il ministro degli Esteri Zohrab Mnatsakanyan durante la sua visita ufficiale in Egitto, stiamo ricevendo rapporti sull’uso di combattenti terroristi stranieri da trasferire in Azerbaigian o forse sono già stati trasferiti. Dati i precedenti dell’uso di estremisti da parte dell’Azerbaigian nel 1992-93 e l’esportazione di elementi terroristici in diverse regioni da parte della Turchia, prendiamo molto seriamente questa minaccia”. ha aggiunto un portavoce del ministero deli Esteri armeno.
Nella fase acuta del conflitto, iniziata il 12 luglio scorso, una folta delegazione della leadership militare azera si è recata in visita in Turchia. Il giorno successivo, un aereo da trasporto dell’aeronautica turca atterrava all’aeroporto di Baku con un carico militare segreto: secondo alcune fonti, a bordo c’erano armi moderne della Nato donate all’esercito azero. Secondo altre fonti, invece, trasportava diverse centinaia di miliziani filo-turchi dell’Esercito siriano libero provenienti dalla provincia siriana di Idlib, da impiegare per un’offensiva su larga scala contro le posizioni dell’esercito armeno, come accadde nell’aprile del 2016. All’epoca i miliziani vennero usati come “carne da macello” per
In base alle informazioni disponibili, nelle località siriane di Junderis, Raju e Afrin sono stati aperti centri per il reclutamento di mercenari. Secondo il quotidiano curdo Firat, i miliziani riceveranno 3500 dollari mensili sulla base di un contratto di lavoro semestrale. È interessante soffermarsi sulla durata del contratto, segno che l’Azerbaigian e la Turchia stanno pianificando una nuova aggressione contro l’Artsakh e contro l’Armenia.
“L’Armenia pagherà per quel che ha fatto”, aveva minacciato il ministro della Difesa della Turchia, Hulusi Akar, riferendosi agli scontri tra Armenia e Azerbaigian lungo il confine. Questo il 17 luglio. “Il dolore dei turchi di Azerbaigian è il nostro dolore. Siamo al fianco del valente popolo dell’Azerbaigian in ogni battaglia che deve affrontare”, aveva affermato il ministro, aggiungendo che Azerbaigian e Turchia sono “due paesi, una nazione” e condividono lingua, religione, storia, gioia, tristezza e orgoglio. La Turchia e l’esercito turco faranno “qualsiasi cosa sia necessaria, oggi e domani così come abbiamo fatto nel passato”.
Interessi petroliferi
WSe l’impegno sul versante della Siria e dell’Iraq settentrionale punta innanzitutto alla creazione di una fascia di sicurezza ai propri confini da cui sia assente la presenza curda sotto forma di Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) e Unità di protezione popolare (Ypg), interessi di natura prettamente economico-energetica guidano l’azione di Ankara nel Mediterraneo orientale, in Libia e sul fronte più recente del Nagorno-Karabakh – rimarca un documentato report di Agenzia Nova– La ferma condanna turca delle azioni militari armene contro l’Azerbaigian sulla linea di contatto certo si inserisce nell’alleanza con Baku fondata su comunanze culturali e linguistiche, ma non può prescindere da considerazioni maggiormente legate a una politica realista. A rendere più chiaro il quadro contribuiscono gli ultimi dati sulle importazioni turche di gas naturale, relative al mese di luglio. Queste confermano come il processo di diversificazione dei fornitori di energia coinvolga – oltre, ovviamente, alle prospezioni nel Mediterraneo e nel mar Morto – anche l’ex repubblica sovietica. Lo scorso luglio, infatti, le maggiori importazioni sono provenute proprio dall’Azerbaigian (1,09 miliardi di metri cubi, per un aumento del 21,5 per cento su base annua), seguito da Russia (843 milioni, diminuzione del 28,4 per cento) e Iran (644 milioni, aumento del 9,5 per cento). Quando afferma quindi che “la Turchia sosterrà l’Azerbaigian con tutti i suoi mezzi”, Erdogan certo non trascura di considerare la bolletta energetica turca. In questo scambio di favori tra Ankara e Baku, si possono inserire anche le recentissime dichiarazioni dell’ambasciatore azerbaigiano in Turchia, Khazar Ibrahim, il quale ha apertamente accusato l’Armenia di avere armato e dispiegato nel Nagorno-Karabakh proprio combattenti del Pkk inviso ad Ankara…. In conclusione, prosegue indefessa la linea della politica estera erdoganiana secondo cui un interventismo muscolare all’insegna di uno slogan che unisca nazionalismo e neo-ottomanesimo serva due obiettivi contemporaneamente: da una parte, distrae l’opinione pubblica dalla crisi interna (economica ma anche sanitaria, con oltre 300 mila contagi da coronavirus); dall’altra, cerca di rafforzare il piano di espansione economico-energetica del paese. Non mancano tuttavia le ipoteche su questa macchina tesa tra propaganda e utilitarismo. Per citarne solo un paio, la sostenibilità economica della stessa e la necessità di non sfociare in un conflitto aperto con Mosca, con la quale Ankara si confronta su versanti opposti tanto in Libia quanto in Siria e ultimamente lungo la frattura armeno-azerbaigiana”.
Alla guerra sul campo si accompagna, immancabilmente, quella mediatica. E anche in questo campo, il Sultano è protagonista assoluto. Erdogan, ha dichiarato oggi che è arrivato il momento di mettere fine all’occupazione dei territori azeri da parte dell’Armenia.
“E’ giunta l’ora di mettere fine all’occupazione dell’Armenia, è giunta l’ora di fare i conti. Altrimenti l’Armenia continuerà ancora a fare come vuole. Deve andarsene dai territori occupati. Lo sanno tutti che sono territori dell’Azerbaigian”, ha incalzato il leader turco nel corso di una diretta su Twitter. Erdogan ha quindi accusato il Gruppo di Minsk di essere stato incapace di risolvere la questione del Nagorno-Karabakh: “In 30 anni non sono riusciti a risolvere questa questione. E hanno fatto di tutto, affinché non si risolvesse: Ora ci vogliono dare delle lezioni, e a volte ci minacciano. Ci domandano: lì [in Karabakh, ndr] ci sono militari turchi? La Turchia porta armi lì? Le persone che fanno queste domande sono le stesse che hanno portato migliaia di furgoni pieni di armi nel Nord della Siria”, ha continuato Erdogan facendo riferimento al supporto fornito dagli Stati Uniti alle forze dei curdi siriani, considerati da Ankara alla stregua di un’organizzazione terroristica.
Una cosa è certa, proclama Erdogan “La Turchia resterà con ogni mezzo accanto all’amico e fratello Azerbaigian”.
Ogni mezzo, a cominciare dai miliziani tagliagole, gli squadroni della morte al servizio del Sultano.