Fin dall’inizio, la smentita di Tulsi Gabbard al recente report Reuters sulle ambizioni di Putin in Ucraina appare una manovra politica forzata, imposta dall’amministrazione Trump per minimizzare il reale pericolo rappresentato dalla Russia.
Gabbard ha dichiarato che il report fosse “propaganda” e una “bugia”, ma fonti dell’intelligence già citate da Reuters confermano che Putin mantiene obiettivi massimalisti, incluso conquistare tutta l’Ucraina e potenzialmente estendere la sua influenza a ex territori sovietici.
La direttrice dell’Intelligence Nazionale Usa – una ex democratica passata armi e bagagli con Trump e ricompensata con un ruolo superiore alle sue possibilità – ha così dovuto smentire dati concreti sugli obiettivi russi, apparendo più come un’emanazione della narrativa presidenziale che come un’analisi autonoma. Del resto Trump ha imposto ai suoi di legare l’asino dove vuole il padrone, ossia dove vuole lui.
L’amministrazione Trump vuole chiudere rapidamente i negoziati di pace, ridimensionando le minacce russe, mentre i fatti sul campo e le valutazioni degli 007 confermano che la Russia resta determinata a perseguire ambizioni territoriali di ampio raggio.
La smentita di Gabbard mette in luce la frattura tra l’establishment dell’intelligence e la Casa Bianca, e come la politica presidenziale possa dettare anche le valutazioni della sicurezza nazionale. Già durante la prima presidenza l’intelligence Usa aveva denunciato come Trump avesse condiviso con la Russia informazioni segrete, tra l’altro bruciando una rete informativa.
Nonostante le parole ufficiali, la realtà mostra un rafforzamento militare russo costante e una chiara volontà di espansione, confermando che la “smentita” non riflette i rischi effettivi, ma serve esclusivamente a sostenere la strategia politica di Trump.