La storia di Roger Shuler, giornalista detenuto per aver fatto il suo dovere
Top

La storia di Roger Shuler, giornalista detenuto per aver fatto il suo dovere

La storia di Roger Shuler, giornalista e blogger dell'Alabama, detenuto per aver fatto il suo dovere, raccontata su Lsdi da Pino Rea.

Roger Shuler
Roger Shuler
Preroll

Desk Modifica articolo

26 Marzo 2014 - 12.05


ATF

L’ultima condanna per Roger Shuler, 57enne blogger-giornalista dell’Alabama, è del 15 marzo (90 giorni di reclusione) per resistenza a pubblico ufficiale: il 23 ottobre scorso, si era opposto ai poliziotti che erano giunti a prelevarlo a casa sua con l’ accusa di oltraggio alla Corte.

La sentenza è stata sospesa per due anni, ma Shuler – l’ unico giornalista che, secondo il CPJ (Committee to Protect Journalists) è in galera nel mondo occidentale solo per aver svolto la sua attività – dovrà pagare comunque le spese processuali e rimane in carcere per la precedente vicenda.

La vicenda

Tutto risale al suo mancato rispetto dell’ingiunzione di un giudice a rimuovere dei post dal suo blog (Legal Schnauzer) che accusavano Rob Riley, figlio dell’ex governatore dell’Alabama Bob Riley, di aver avuto un affaire extra-matrimoniale. Ingiunzione che secondo molte fonti è del tutto incostituzionale, essendo questo un chiaro caso di “free speech”, protetto dal Primo Emendamento.

Dopo il suo arresto, alcuni blog nazionali hanno parlato di un attacco politico mirato a imbavagliare una voce contraria in uno Stato conservatore. Altri lo hanno dipinto come un “bombarolo” a cui però sono stati negati i diritti costituzionali – tutto con la scusa della minaccia alla sicurezza nazionale.

Due organizzazioni, l’American Civil Liberties Union e il Committee to Protect Journalists, hanno pubblicamente espresso preoccupazione per le circostanze dell’arresto e della condanna.
Recentemente ne hanno scritto anche il New York Times e Salon.com, ribadendo come gli interventi di Shuler vadano protetti in base al Primo Emendamento alla Costituzione Usa.

Ma nel complesso i pezzi grossi dell’ambiente giornalistico – quelli che dirigono le varie associazioni del settore e insegnano nelle università – non hanno fatto praticamente nulla per aiutare Shuler ad ottenere la libertà o comunque per tutelarne i diritti civili violati.

Paura della violenza in carcere

In cinque mesi di reclusione il giornalista-blogger ha perso oltre sette chili e le sue condizioni “sono nettamente peggiorate”. Ha paura della violenza in carcere e teme di morire dietro le sbarre. E questo lo stato in cui versa oggi Roger Shuler, l’unico giornalista che, secondo il CPJ (Committee to Protect Journalists), è in galera nel mondo occidentale solo per aver svolto sua attività.

Lo racconta Andrew Kreig, giornalista di OpEdNews.com, che lo ha incontrato nel carcere di Jefferson, a Birmingham (Alabama) il 10 marzo scorso.

Qualche giorno fa per la prima volta gli Stati Uniti erano stati inseriti da RSF fra i “nemici di internet”, ma la vicenda di Schuler mostra che RSF avrebbe potuto censurare gli Usa non solo per i metodi di sorveglianza di massa denunciati da Snowden ma anche perché tiene in una cella un giornalista in maniera arbitraria e senza un giusto processo.

“Un trauma terribile”

«È un trauma terribile essere lontano dalla propria moglie e da casa, e non avere idea di quando mi faranno uscire da qui e come», racconta Shuler in una intervista.

Shuler quasi soffoca dal dolore quando racconta di non aver più rivisto la moglie, la quale ha paura di uscire di casa perché teme di essere arrestata per le cose scritte da lui. E mostra una foto che gli era stata scattata la notte in cui venne pestato da un poliziotto lo scorso ottobre, subito dopo l’arresto.

Il giorno dell’incontro, 10 marzo 2014, è stato scelto perché – spiega Kreig – cade nel 50° anniversario del più famoso caso giudiziario della storia Usa in tema di libertà di stampa, il New York Times v. Sullivan. Il giudice che ha mandato Schuler in carcere sembra aver chiaramente violato quel famoso pronunciamento della Corte Suprema visto che ne ha disposto l’arresto per un tempo indefinito e, soprattutto, prima si svolgesse alcun processo.

Con poche eccezioni, la maggior parte di questi leader e dei loro enti ignorano gli scandali oscuri che agitano il Paese e concentrano le loro energie solo nella retorica sul Primo Emendamento, prostrandosi davanti ai grandi nomi del governo o dei media, e promuovendo borse di studio e altre iniziative per incoraggiare i giovani a entrare in una professione che viene spesso ‘glamourizzata’, spiega il giornalista di OpEdNews.

Kreig è da tempo membro dei più importanti club e associazioni di giornalismo del Paese, e da ottobre ha ripetutamente scritto ai loro dirigenti senza successo per incoraggiare articoli, tavole rotonde o quantomeno lettere di protesta, in relazione al caso Shuler e ad altri analoghi.

In gran parte – prosegue il racconto – hanno ignorato i mei messaggi: «Alcuni mi hanno risposto adducendo lo scarso livello d’interesse delle loro associazioni per la vicenda, oppure la mancanza di fondi o di tempo».

Per rompere il clima di indifferenza, la settimana scorsa Kreig è volato da Washington per visitare Shuler il 10 marzo nel carcere di Birmingham, Alabama.

“Lettera dal carcere”

L’articolo porta il titolo “Lettera dal carcere di Birmingham”, riprendendo quello della famosa lettera dal carcere diffusa da Martin Luther King Jr. nel 1963 – in cui invitava tutti ad assumersi la responsabilità di combattere le ingiustizie. Visto il divieto a materiali per scrivere in carcere, King aveva annotato buona parte di quella “lettera” sui margini di un giornale e su altri frammenti di carta che era poi riuscito a far arrivare all’esterno.

Le note raccolte dal lungo intervento di OpEdNews offrono un quadro sconvolgente, che rivela altresì l’enorme fallimento del sistema mediatico del Paese, come aggiunge l’autore: «Sono rimasto sorpreso dall’assenza di proteste sulle testate nazionali in occasione della vicenda», mi diceva il direttore dell’ACLU dell’Alabama, Randall Marshall. L’ associazione ha poi presentato un parere critico ai giudici del caso (noto come “friend of the court brief”), ma non ha alcun potere di rappresentanza per Shuler a livello giudiziario.

(Fonte: Lsdi)

Native

Articoli correlati