Torino, curia e centri sociali uniscono le forze, in nome dell'accoglienza
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Torino, curia e centri sociali uniscono le forze, in nome dell'accoglienza

E’ stato formalizzato due giorni fa l’accordo che nei prossimi mesi unirà la curia, i profughi e gli "antagonisti" torinesi nella sperimentazione di un nuovo modello

Torino, curia e centri sociali uniscono le forze, in nome dell'accoglienza
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1 Gennaio 2015 - 17.38


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“La sventura crea strani compagni di letto”, scriveva William Shakespeare ne La Tempesta; e a Torino, in effetti, il 2015 si apre nel segno di un’alleanza quantomeno inedita. Una cordata di solidarietà che nei prossimi mesi riunirà la curia, i centri sociali e gran parte di quel variegato universo che nel capoluogo sabaudo si occupa di portare assistenza a profughi e immigrati: l’obiettivo è sperimentare un modello d’accoglienza alternativo, meno emergenziale e più strutturato, che restituisca ai rifugiati un ruolo più centrale nelle decisioni che li riguardano. Tutto è iniziato lo scorso febbraio, quando una settantina di profughi, trovatisi allo sbando allo scadere dei rispettivi progetti d’accoglienza, hanno occupato una palazzina in disuso di proprietà dell’ordine religioso dei Salettiani. Per evitare lo sgombero, il Comitato di solidarietà ai rifugiati, composto in larga parte da militanti dell’area antagonista, ha chiesto la mediazione dell’arcivescovo Cesare Nosiglia: il quale, oltre a non tirarsi indietro, ha accettato di fare da garante per il progetto di riutilizzo della struttura che il Comitato aveva in mente di proporre ai missionari.

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Così, due giorni fa, dopo una serie di incontri partiti in primavera, le parti si sono ritrovate nello stabile occupato di via Madonna delle Salette per la stipula di quello che Nosiglia ha definito un “patto di ferro”: i Salettiani concedono la struttura in comodato d’uso ai rifugiati, che si impegnano a ristrutturarla con la supervisione della Curia torinese. A finanziare i lavori sarà un parroco che ha voluto restare anonimo; e nel frattempo, grazie all’aiuto della cooperativa sociale l’Orsa e dell’associazione Seldonna, verranno attivati percorsi di inserimento lavorativo, in modo da restituire agli occupanti una maggiore indipendenza economica. “L’aspetto più importante di questo progetto – sottolineano dal Comitato – sta nel fatto che, a differenza della maggior parte dei programmi d’accoglienza, qui non c’è una ‘data di scadenza’. Gli occupanti se ne andranno quando avranno raggiunto un’autonomia sufficiente a non finire di nuovo in strada”. “Oggi – rincara la dose Nosiglia – l’accoglienza non ha un minimo di progettualità: si lavora solo sull’emergenza, finendo per creare situazioni difficili come quella dell’ex Villaggio Olimpico”.

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L’inizio dei lavori è previsto per marzo, “ma nessuno – precisa Sergio Durando della Pastorale migranti, supervisore del progetto – verrà sbattuto fuori. Ristruttureremo un piano per volta, e a nessuno sarà chiesto di andar via”. Al progetto lavoreranno due architetti specializzati in edilizia sociale, che con occupanti e responsabili cercheranno di immaginare delle soluzioni produttive che consentano di generare degli introiti per i rifugiati: “si pensava, ad esempio, a una mensa – spiegano dal Comitato – che potrebbe essere utilizzata anche per dei corsi di cucina e ristorazione. Nello stabile sono già stati creati un orto e una ciclofficina”.

Durante l’incontro di martedì, sotto l’albero di Natale allestito nella palazzina, i rifugiati hanno lasciato una serie di biglietti per Nosiglia: in molti lo hanno ringraziato per il suo intervento, ma qualcuno, dopo anni passati nella più sconfortanti precarietà, ha voluto anche esprimere la sua perplessità. “Di questo progetto – ha scritto uno di loro – non mi fido per niente. Ho visto tanti progetti come questo qui, ma non funzionano mai: si approfittano sempre degli stranieri”. Per quanto possibile, l’Arcivescovo ha voluto rassicurarli: “questo non è un progetto per voi, ma con voi: verrete coinvolti in tutto. Vedrete che col tempo guadagneremo la vostra fiducia” (ams)

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