Migranti, il disastro governativo dell'accoglienza: sindaci sul piede di guerra
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Migranti, il disastro governativo dell'accoglienza: sindaci sul piede di guerra

Tutti contro tutti. Sindaci del Nord, molti della Lega, contro il governo di Roma, opposizione contro maggioranza, e questo ci sta, ma ora anche frizioni al vetriolo tra quelli che dovrebbero essere alleati.

Migranti, il disastro governativo dell'accoglienza: sindaci sul piede di guerra
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

18 Agosto 2023 - 13.50


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Tutti contro tutti. Sindaci del Nord, molti della Lega, contro il governo di Roma, opposizione contro maggioranza, e questo ci sta, ma ora anche frizioni al vetriolo tra quelli che dovrebbero essere alleati.

Tutti contro tutti

Riassumono efficacemente il caos totale Francesca del Vecchio e Filippo Fiorini su La Stampa: “Mentre il governo si prepara per l’approvazione di un provvedimento sul modello dei decreti sicurezza voluti nel 2018 da Matteo Salvini, il tema immigrazione diventa materia di scontro, non solo tra maggioranza e opposizione e tra alleati di governo, ma anche tra Roma e il Nord. Con il fronte dei sindaci – leghisti in testa – che si sente abbandonato. A partire dalla Lombardia dove, mettendo in fila i dati, al 31 luglio 2023 si registrano 16.232 migranti: 2.156 in più rispetto al mese precedente e 5.481 in più rispetto al 31 luglio 2022. Secondo il piano di redistribuzione del Viminale, entro il 15 settembre la quota arriverà a 6.000. La fetta più grande, insomma, per cercare di ripartire gli oltre 50 mila richiedenti asilo. «I comuni sono diventati i centri di costo dell’immigrazione. La politica si ricorda di noi solo quando ci sono le elezioni e ha bisogno di voti. Poi, ci lascia le grane da risolvere». Roberto Di Stefano, sindaco leghista di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, parla di una situazione che «mette in ginocchio i bilanci: siamo costretti a distrarre fondi che potremmo spendere per gli anziani, per i disabili, per occuparci dell’accoglienza agli stranieri». A destare maggiore preoccupazione, spiega ancora Di Stefano, sono minori non accompagnati che vengono assegnati ai comuni direttamente dal Tribunale. «Ho l’impressione che il ruolo dei sindaci non sia capito. Non basta il rimpatrio di qualche centinaio di persone, perché gli arrivi sono molti di più. E il lavoro va fatto a monte: investendo in democrazia nei Paesi da cui queste persone scappano».

Nella provincia di Brescia, l’insoddisfazione è la medesima: il sindaco di Edolo, Luca Masneri (civico), dalla Valle Camonica ricorda di aver chiesto alla Prefettura «di iniziare a pensare a una exit strategy. Negli anni passati abbiamo avuto anche 200 migranti su una popolazione di 4.400 persone. Ora siamo a 70 e vogliamo arrivare a 40». Marco Togni, primo cittadino leghista di Montichiari (Brescia), non si pone proprio il problema: «Immigrati non ne voglio. Non ho posti in cui accoglierli e quindi non me ne preoccupo. Non posso impedire che strutture private nel mio comune partecipino ai bandi della Prefettura per l’accoglienza ma quando chiedono il mio parere dico sempre che sarebbe meglio non farlo». E in mancanza di strutture in cui ospitarli, Togni ribadisce la sua «indisponibilità a qualsiasi conversione di strutture di proprietà comunale». Anche Sebastian Nicoli, sindaco Pd di Romano di Lombardia, nella bergamasca, ha contestato l’arrivo di una trentina di richiedenti asilo nell’ex hotel La Rocca, struttura privata gestita da una cooperativa: «Ancora una volta affrontiamo un’emergenza calata dall’alto. La Prefettura mi ha avvisato solo informalmente dell’arrivo dei richiedenti asilo. Non mi è stato neanche comunicato il numero esatto».

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In terra lombarda il tema degli alloggi è stato anche materia di scontro tra alleati in giunta regionale: l’assessore alla Casa Paolo Franco (in quota Fdi) era stato costretto a un dietrofront sulla proposta di utilizzare le case popolari non occupate (e pronte all’uso) per allargare la rete dei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) come richiesto dal governo. Immediate le proteste da parte della Lega con tanto di precisazione del governatore Attilio Fontana.

Seconda solo alla Lombardia, l’Emilia-Romagna ha ospitato nei primi sette mesi di quest’anno il 9% dei migranti sbarcati in Italia. Poco meno di 12 mila al 15 luglio, se ne attendono altri 4.000 tra la fine di agosto e settembre. Principalmente maschi, giovani e adulti, provenienti da Costa D’Avorio, Guinea, Egitto, Bangladesh, Pakistan, Tunisia, Burkina Faso, Siria, Camerun e Mali. I minori non accompagnati sono il 10%, ma rilevante è anche la quota dei nuclei familiari, che il sistema d’accoglienza prevede di tenere uniti. Da mesi, la crisi degli alloggi viene denunciata da prefetti, sindaci, cooperative di settore che reclamano più sostegno da parte di Roma ma anche collaborazione nella ricerca di soluzioni rapide. L’hub di via Mattei a Bologna, per esempio, accoglie da settimane i richiedenti asilo in una tendopoli, non essendoci più camere disponibili. Una soluzione che il sindaco Matteo Lepore (centrosinistra) definisce «non dignitosa» e «preoccupante» , segno che al ministero dell’Interno «non c’è alcuna idea su come gestire l’emergenza». Proprio al Viminale, l’assessore al Welfare del comune di Reggio-Emilia Daniele Marchi (Pd), ha minacciato di portare i molti rifugiati assegnati al suo distretto: «Se il governo va avanti così, carico dei pullman e li porto tutti a dormire al ministero».

Il Veneto, che dai piani del Viminale dovrebbe accogliere 3.000 migranti entro settembre, arriverà a quota 200 mila, secondo il presidente Luca Zaia: «Di questo passo avremo presto le tendopoli». A Legnago, in provincia di Verona, il sindaco Graziano Lorenzetti ha riposto la fascia tricolore in protesta: «Tornerò a utilizzarla quando lo Stato metterà i sindaci e le forze dell’ordine nelle condizione di poter garantire la sicurezza ai propri cittadini». Il sindaco leghista di Chioggia Mauro Armelao è stato chiaro: «Non disponiamo di strutture pubbliche in cui accogliere i migranti, abbiamo già famiglie in attesa di un alloggio».

Una situazione drammatica

“2060 persone lasciate morire nel mare, tra cui bambini, donne e anziani, è una tragedia che sta diventando sempre più un massacro”, indica a Radio Vaticana – Vatican News monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Presidente della Commissione per le Migrazioni della Conferenza Episcopale Italiana e della Fondazione Migrantes. “È una situazione drammatica – sottolinea – che crescerà sempre di più, perché l’instabilità di diversi Paesi dell’Africa Subsahariana, a cui si sta aggiungendo anche il Niger, non farà altro che creare ulteriori movimenti e cammini”.

Le vittime così numerose possono essere paragonate a un popolo che viene lasciato morire, sottolinea ancora l’arcivescovo e “questo deve interpellare la nostra coscienza e la nostra responsabilità”. Per Perego non quindi il tempo “di sole parole”, ma piuttosto è il momento “di ripensare a un’operazione di soccorso nel Mediterraneo che interpelli tutta l’Europa”. La definisce una nuova operazione Mare Nostrum, che sia capace di intercettare e salvare le persone. Al tempo stesso, è fondamentale una riforma del sistema di asilo europeo e un piano di cooperazione internazionale nei confronti di tutti i Paesi impegnanti nell’accoglienza. “Questo, però – precisa – richiede molto tempo, nel frattempo c’è assolutamente bisogno che le persone non vengano lasciate morire”.

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I problemi dell’accoglienza

La situazione è preoccupante non solamente in mare, ma anche in un secondo momento, dopo gli sbarchi. Per il presidente di Migrantes c’è bisogno di un sistema che possa veramente aiutare le persone a inserirsi nel Paese di arrivo. Sono fondamentali i permessi di protezione umanitaria, grazie ai quali le persone potrebbero mettersi da subito a lavorare e costruirsi così una certa autonomia. “Purtroppo, il sistema di accoglienza in queste ore sta avendo una battuta d’arresto – sottolinea ancora Perego – perché molte persone sono costrette a lasciare i centri per fare posto ai nuovi migranti che stanno arrivando. Ognuno ha bisogno di essere tutelato nella sua dignità e questo è un impegno che noi stiamo portando avanti, aprendo nuove case e centri”.

Le possibili soluzioni

Secondo il presidente di Migrantes sono due i concetti fondamentali che aiuterebbero la situazione: la cooperazione allo sviluppo e il disarmo. “Bisogna dare più possibilità alle persone di poter vivere nella propria terra in pace e di poter avere quei mezzi che possono concedere loro di costruirsi una vita sul territorio”, chiarisce. “Anche il tema del debito estero – è quindi la sua conclusione – è  ancora una piaga che tante volte non permette ai Paesi più poveri di poter impegnare molte risorse in progetti scolastici, sanitari e di sviluppo”.

Le navi salvavita

Ne dà conto, su fanpage, Luca Pons: “Geo Barents, la nave della Ong Medici senza frontiere, ha svolto un intervento di soccorso in mare che ha portato in salvo 55 persone migranti: tra queste c’erano due donne e ben 43 minori non accompagnati. “Durante le operazioni di soccorso, la Geo Barents è stata avvicinata dalla Guardia costiera libica che ci ha intimato di lasciare l’area”, ha poi raccontato l’equipaggio. A quanto pare, i libici stavano utilizzando “la motovedetta numero 662, donata dall’Italia”. L’imbarcazione avrebbe poi “continuato per un po’ a seguire la Geo Barents, spaventando le persone soccorse a bordo”. Dopo un po’ di tempo la motovedetta avrebbe poi cambiato rotta.

La nave della Ong andrà a Bari, indicata dalle autorità italiane come porto di sbarco. Non è il primo episodio di tensione tra una nave di Ong che pratica soccorso in mare e la cosiddetta Guardia costiera libica. Solo il mese scorso, la Ocean Viking di Sos Mediterranee aveva ricevuto degli spari ed era stata costretta a tornare indietro.

Intanto, a Lampedusa il numero di persone accolte nell’hotspot di contrada Imbriacola ha superato soglia 2mila, e oggi sono attesi nuovi trasferimenti. Questa mattina, a circa sei miglia dall’isolotto di Lampione, è stato recuperato il corpo di una persona migrante, probabilmente vittima di uno dei numerosi naufragi avvenuti nelle ultime settimane.

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Una giovane donna ivoriana, invece, ha partorito sua figlia dopo solo sette ore dallo sbarco al molo Favaloro di Lampedusa. La donna, visibilmente incinta, era stata immediatamente trasportata al Poliambulatorio dell’Asp di Palermo, attivo sull’isola. L’approdo era avvenuto verso le ore 22 di ieri sera, insieme altre 44 persone. L’equipe medica al suo arrivo ha immediatamente attivato la saletta chirurgica perché “la donna era in pieno travaglio”, come ha spiegato il ginecologo Amedeo Catanese che guidava l’equipe. “Insieme con il collega rianimatore e con quello del Pte (Punto territoriale di emergenza, ndr), si è valutata l’opportunità di far partorire la donna al Poliambulatorio. Alle 5:23 è avvenuto il parto spontaneo di una bambina di 3,2 chili, che gode di buona salute. Anche la donna, sia pure provata dalla lunga traversata, sta bene”. Dopo la visita del pediatra e stabilizzata la situazione, mamma e figlia sono state trasferite con l’elisoccorso in ospedale ad Agrigento.

Solo 12 giorni fa, la stessa saletta era stata utilizzata per un’altra nascita, quella di un bambino chiamato Eli. “Sono già due i parti precipitosi e non trasferibili effettuati dai nostri medici nel Poliambulatorio di Lampedusa” in poche settimane, ha detto la commissaria straordinaria dell’Asp di Palermo, Daniela Faraoni. “Gli sbarchi sempre più numerosi impongono un impegno continuo e costante da parte di tutti i professionisti presenti nell’isola”. Stamattina anche altre due donne sono state trasferite in elisoccorso: erano rispettivamente alla 33esima e alla 34esima settimana di gravidanza, e si trovavano sulla stessa imbarcazione della donna che ha partorito”.

Si temono quasi 60 morti al largo di Capo Verde

Sarebbero 56 le persone morte in un naufragio avvenuto a nord dell’isola di Sal, nell’arcipelago di Capo Verde, sulla costa occidentale del continente africano. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, un peschereccio spagnolo avrebbe riportato la situazione alla polizia locale dopo aver avvistato una barca. A bordo c’erano 38 persone sopravvissute, con sette cadaveri. L’imbarcazione era una grossa piroga, una nave di legno lunga e stretta solitamente usata per la pesca; era stata avvistata lunedì da una nave da pesca spagnola che aveva allertato le autorità marittime mentre si trovava a circa 300 chilometri dall’isola di Sal, una delle più note dell’arcipelago di Capo Verde. Il ministero degli Esteri senegalese, citando le testimonianze delle persone a bordo, ha detto  che la piroga era partita dal villaggio di Fasse Boye nel nord del paese lo scorso 10 luglio e trasportava 101 migranti. Al momento non è chiaro per quali motivi abbia cominciato ad andare alla deriva e quando. Si ritiene che quasi tutte le persone a bordo fossero senegalesi.

La rotta con cui le persone migranti lasciano l’Africa occidentale per provare a raggiungere arcipelaghi come quello di Capo Verde o molto più spesso le Canarie, che fanno parte della Spagna, è una delle più pericolose. Nonostante i rischi, continua a essere tra le più frequentate. Sempre a luglio almeno 300 persone  che erano partite dal Senegal sono risultate disperse proprio al largo delle Canarie.

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