Europee 2024: necessità di politiche lungimiranti per affrontare la crisi demografica
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Europee 2024: necessità di politiche lungimiranti per affrontare la crisi demografica

"Il declino dell'Italia: Politiche miopi e crisi demografica" di Mario Rossi: Analisi delle sfide italiane tra crisi demografica e politiche a breve termine.

Europee 2024: necessità di politiche lungimiranti per affrontare la crisi demografica
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21 Maggio 2024 - 01.04


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di Antonio Salvati

La campagna elettorale per le elezioni europee che si svolgeranno l’8 e il 9 giugno ha offerto fin qui un dibattito deprimente, decisamente povero – per non dire assente – sui temi europei, concentrato sulle misere turbolenze italiane, come se le competenze del Parlamento europeo fossero sovrapponibili a quello nazionale. Il voto d’opinione sembra scomparso e le elezioni diventano così una sorta di adesione “ideale” – più che programmatica – ad uno schieramento o all’altro, con profili sempre più vicini alla tifoseria. Si tratta di un chiaro segno dei tempi. Siamo concentrati e schiacciati, anzi prigionieri del presente, come ha più volte sostenuto Giuseppe De Rita. Un presente circondato da muri che dicono che il futuro non è possibile: bisogna allungare il presente, difenderlo. Il nostro è spesso l’orizzonte dell’eterno presente. L’effetto più grave è la percezione dell’inutilità della politica.

Quanti leader politici (e relativi partiti) hanno davvero a cuore il futuro e adottano una politica lungimirante, una prospettiva di lungo periodo? Tornano a mente le considerazioni di Alcide De Gasperi quando affermava che «un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alla prossima generazione». Assistiamo, infatti, da parte del mondo politico alla riproposizione di una serie di proposte o di ricette di corto respiro, pur di conquistarsi un facile consenso. Seppur consapevoli dell’insostenibilità, a medio e lungo termine, delle loro proposte. Quando ero giovane si ribadiva continuamente che vivevamo al di sopra delle nostre possibilità. Oggi continuiamo a realizzare e fare cose di cui è evidente che in futuro, a posteriori, ci dovremo pentire. Non a caso qualcuno ha parlato di logica perversa “breveterminista”. In fondo, il danno o i danni che paventiamo (dalla questione ambientale all’inverno demografico) sono per un tempo che non vedremo. Dovremmo cominciare oggi. Ad esempio a prendere di petto problemi come la scuola, la sanità. Ma preferiamo occuparci di oggi.

Non a caso alcuni mesi fa il Censis ha scelto – per sintetizzare i contenuti dell’ultimo rapporto annuale – l’aggettivo di sonnambuli, ossia «ciechi dinanzi ai presagi», per definire il profilo della maggioranza silenziosa degli italiani. Leggiamo nel Rapporto: «Alcuni processi economici e sociali largamente prevedibili nei loro effetti sembrano rimossi dall’agenda collettiva del Paese, o comunque sottovalutati. Benché il loro impatto sarà dirompente per la tenuta del sistema, l’insipienza di fronte ai cupi presagi si traduce in una colpevole irresolutezza». Impauriti, rassegnati, indolenti, insipienti e rassegnati ad aspirazioni minori, come ha sostenuto il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii. Apparentemente vigili, ma incapaci di vedere i grandi cambiamenti a cui stiamo andando incontro. Una sorta di insipienza diffusa, aggiunge Valerii. Dal rapporto il dato decisamente più inquietante è quello legato alla demografia: nel 2050 l’Italia perderà qualcosa come otto milioni di persone in età da lavoro. La crisi demografica italiana è la spia di una profonda incertezza sulle prospettive future. Le prime avvisaglie di questo fenomeno le stiamo già rilevando. E la variabile demografica – direbbe Lucio Caracciolo – è per definizione geopolitica, più strettamente correlata al peso economico e quindi politico sul piano internazionale.

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Nel Rapporto emerge un problema legato più all’emigrazione, piuttosto che all’immigrazione. Un tema non propriamente padroneggiato dall’immaginario collettivo. L’emigrazione è la grande questione del nostro Paese. Un’emigrazione che coinvolge in particolare i ragazzi tra i 18 e i 34 anni. Nel 2023 sono stati ben 36mila i giovani compresi in questa fascia d’età che, hanno scelto di espatriare. Ciò per l’Italia, in pieno inverno demografico, è ancora più impattante. I giovani vivono sempre di più una dimensione da esuli. Di qui al 2050 – ha spiegato Valerii – l’Italia avrà una riduzione della popolazione di 4 milioni e mezzo di abitanti: è come se Roma e Milano insieme scomparissero nel giro di pochissimo tempo.

Questo avrà un impatto negativo sulla nostra capacità produttiva di generare valore, di redistribuire ricchezza, di sostenere il debito pubblico, di reggere finanziariamente la spesa sociale, ovvero pensioni, sanità, assistenza. Per questo la questione demografica, o meglio quella della denatalità, è quella principale alla quale è appeso il nostro futuro. Siamo scesi sotto la soglia delle 400mila nascite. Negli anni Sessanta nascevano oltre un milione di bambini. Una transizione demografica che si coniuga con l’innalzamento dell’invecchiamento della popolazione. Si vive più a lungo, grazie ai progressi della medicina, degli stili di vita.

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Nello stesso tempo si sviluppa il rimpicciolimento demografico del paese. Un fenomeno inedito, iniziato nel 2014. Diminuisce il numero dei residenti. Il numero dei decessi supera di gran lunga quello esiguo delle nascite. Dal 2014 abbiamo perso più di un milione e mezzo di residenti. Come se ogni anno scomparisse una città di medie dimensioni. Le proiezioni demografiche, solitamente assai attendibili (a differenza di quelle economiche) perché si basano sul numero delle donne fertili, ci dicono da qui al 2050 perderemo più di 4 milioni e mezzo di persone. Come se scomparissero Roma e Milano insieme. Con conseguenze importanti sul numero della popolazione attiva, sulla capacità di finanziare la spesa sociale, sul debito pubblico. A fronte dell’ineluttabilità del problema legato al tasso di fertilità del nostro paese, al numero crescente di anziani, serve una serie di politiche pubbliche che richiedono una prospettiva lungimirante. Serviranno generazioni per vedere l’inversione del problema. Servirà prendere di petto il problema delle migrazioni, senza sminuire il problema e prendendo in considerazione i due bacini delle donne e dei giovani. Siamo al primo posto in Europa per il numero di donne che non lavorano. E siamo al primo posto per il numero di giovani al di sotto dei 35 anni inattivi.

Queste succinte considerazioni sull’inverno demografico per dire che – tornando alle prossime elezioni europee – serve non solo responsabilmente recarsi a votare, ma individuare quei candidati, che ci sono, capaci di non inseguire il becero consenso immediato. Capaci di avanzare una prospettiva che vada oltre la durata delle nostre vite, di promuovere una sorta solidarietà intergenerazionale. Magari impegnandosi sulla promozione di percorsi, di politiche a favore della pace. La pace è scivolata via dai dibattiti internazionali, ha osservato recentemente Andrea Riccardi. In primo piano c’è la guerra. Si considera spesso la pace «come un’aspirazione da “anime belle”, a volte apprezzate per l’ingenuità, a volte disprezzate o accusate di complicità con chi invade, fa la guerra e via dicendo. In qualche anno, si è formato questo pensiero prevalente dal sapore amaro, ma che si vuole realista». La guerra è un ingranaggio diabolico che si perpetua. Non risolve le crisi ma le rinfocola preparando nuovi conflitti. Occorre ricostruire l’ordine internazionale. Non è semplice compiere tale operazione in un mondo così multipolare, tra soggetti spesso dotati di forza economica e militare. Ma è necessario. È la grande politica di cui c’è necessità. Nella società civile è forte e crescente la domanda di una politica “altra”’ e soprattutto “alta”. Abbiamo bisogno di politici lungimiranti che non cerchino solo di aver ragione oggi, ma trovino le chiavi della convivenza futura.

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Per questo guardo con interesse e favore alla candidatura di Marco Tarquinio che ho molto apprezzato quando era direttore del quotidiano Avvenire. Un sincero cattolico e assertore della pace, convinto che nel Dna del cristiano convive la preoccupazione per l’altro, sia in senso fisico che temporale, e conseguentemente la promozione di processi di pace. Per questo, Papa Francesco nel 2020 aveva indicato la figura di Enea come modello, in quanto capace di preservare il passato e il presente e di tendere una mano ai fragili, facendosi carico del loro futuro. Mario Giro ha scritto che questo nostro tempo è abitato da “trame di guerra”, ma anche da “intrecci di pace”, per cui «la guerra non è mai ineluttabile, ma è sempre una scelta politica dei leader, che può essere invertita». La storia è piena di sorprese. E la più grande sorpresa è la pace. Il XXI secolo non può e non deve essere destinato alla guerra.

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