Ora i rischi sono tanti: la variante inglese del coronavirus “è presente sia in Italia e almeno in un’altra quarantina di Paesi: il laboratorio di virologia dello Spallanzani l’ha identificata e sequenziata. Ciò che non possiamo sapere è quanto questa variante attualmente influenzi l’andamento dell’epidemia”.
Lo ha spiegato Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani di Roma.
“Per poter fare delle ipotesi fondate su dati solidi – continua lo scienziato – dovremmo notevolmente incrementare la produzione di sequenziamenti virali, in modo da capire quali sono i ceppi virali prevalenti. Si tratta di una attività che richiede ingenti risorse umane, tecnologiche e finanziarie, ed è auspicabile che anche il nostro Paese, che sino ad oggi ha prodotto relativamente pochi sequenziamenti, si metta al passo con altre nazioni come gli Usa, la Germania o la Gran Bretagna”.
Ippolito ricorda che le mutazioni sono un fenomeno noto, “quando si replicano all’interno delle cellule umane, i virus possono ‘mutare’ – spiega – possono cioè verificarsi degli errori nella trascrizione del genoma virale che avviene dentro la cellula umana. Questo processo avviene continuamente, ed il virus Sars-Cov-2 non fa eccezione. In tutto il mondo gli scienziati stanno lavorando per conoscere meglio queste varianti, per capire quanto facilmente possono essere trasmesse, e se i vaccini attualmente autorizzati ci proteggeranno anche da queste varianti. Attualmente, non ci sono prove che queste varianti causino malattie più gravi o un aumento del rischio di morte”.
Ma “l’analisi filogenetica del virus, oltre a darci preziose informazioni sulla cronologia del virus, ci fornisce anche informazioni fondamentali che ci permettono di immaginare la sua evoluzione futura, oltre a fornire i dati necessari per la messa a punto di farmaci e vaccini meglio tarati per rispondere alla possibile evoluzione del virus”, conclude Ippolito.
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