Tommaso Ghidini, l'uomo spaziale
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Tommaso Ghidini, l'uomo spaziale

Capo della Divisione Strutture, Meccanismi e Materiale dell’Agenzia Spaziale Europea ha scritto Homo Caelestis – L’incredibile racconto di come saremo

Tommaso Ghidini, l'uomo spaziale
Tommaso Ghidini
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12 Agosto 2022 - 21.13


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di Rock Reynolds

Ha l’entusiasmo di un adolescente e la lucidità di uno scienziato, la curiosità di un esploratore e il senso per l’avventura di un eroe classico. Con i piedi saldamente piantati sul nostro pianeta e la mente pronta a librarsi nel firmamento della ricerca, Tommaso Ghidini rappresenta un’eccellenza tutta italiana al servizio di un progetto profondamente europeo.

Capo della Divisione Strutture, Meccanismi e Materiale dell’Agenzia Spaziale Europea, ha incarnato non il tipico italiano costretto a emigrare per trovare una giusta collocazione professionale, bensì, piuttosto, l’uomo contemporaneo, innamorato della storia dello Stivale ma fin da giovanissimo proiettato verso scenari internazionali, prima ancora che verso lo spazio.

Se volete sapere se e come si può deviare il corso di un meteorite in rotta di collisione con la Terra, quanto tempo passerà prima che il nostro pianeta scompaia così come miliardi di anni fa è nato, perché lo sviluppo di determinati materiali e congegni utilizzati nelle missioni spaziali sia importantissimo per l’umanità e come sopravvivrà l’uomo su Marte, Homo Caelestis – L’incredibile racconto di come saremo (Longanesi, pagg 224, euro 18) fa per voi. Almeno finché non avrete la fortuna di assistere di persona a una delle conferenze che Tommaso Ghidini tiene in giro per l’Europa e pure per il mondo.

Homo Caelestis è concepito e realizzato con il piglio dello scrittore vero. E non fatevi spaventare dai temi affrontati, che naturalmente sfiorano a più riprese i massimi sistemi: Ghidini ha la capacità rara di rendere semplici concetti apparentemente destinati a un pubblico di addetti ai lavori. Il tutto mettendo sempre in primo piano l’uomo, unico e autentico destinatario di ogni missione extraterrestre. Insomma, una sorta di rivisitazione dell’umanesimo che antichi greci e romani ci hanno tramandato. “Oggi, per la prima volta…, l’Homo sapiens si è costruito la possibilità concreta di portare la propria vita, la propria cultura, i propri ideali, perfino i propri amori, là dove la vita non esiste. Siamo noi gli alieni che possono pensare di diventare una specie multiplanetaria.”

Non si tratta di una citazione da Isaac Asimov o Jules Verne. D’altro canto, le parole che Ghidini ha voluto regalarci lo testimoniano chiaramente.

Nel suo libro, racconta di come Luca Parmitano a un certo punto metta quasi a rischio la sua vita pur di completare una missione. Non è un po’ l’archetipo dell’esploratore classico?

Ha centrato nel segno: come ha detto molto bene John Fitzgerald Kennedy, dando il via alla più straordinaria impresa dell’umanità, la missione Apollo, “Noi andiamo sulla Luna perché sta lì”. Perché siamo esploratori. Il che, poi, si declina in una moltitudine di definizioni, si traduce in ricercatori, in scienziati, addirittura in poeti. Siamo alla ricerca della verità dovunque essa sia, su un altro pianeta, nel vetrino di un laboratorio o in un risvolto della nostra anima.

Cosa si sente di dire riguardo al nuovo super-telescopio di cui si parla tanto in questi giorni?

Che finalmente si realizza il battesimo in volo del più grande e potente telescopio mai costruito, l’apice di una missione spaziale alla quale lavoriamo da più di vent’anni: il James Webb Space Telescope è un capolavoro tecnologico e ingegneristico, frutto della collaborazione tra ESA, NASA e Agenzia Spaziale Canadese. Il suo occhio potentissimo, al limite delle possibilità tecniche attuali, ci permetterà di studiare ogni momento della storia dell’universo dall’interno del Sistema Solare fino alle galassie e agli angoli più remoti e antichi del cosmo, rispondendo così alle domande rimaste insolute sulla storia del Tutto. E le sue prime immagini ci hanno già lasciati senza fiato: consiglio a tutti di cercarle in rete e di ammirare da una poltrona di prima fila i soggetti selezionati per dimostrare le capacità senza precedenti del telescopio. Vedrete la Nebulosa della Carena, uno degli oggetti più osservati in assoluto e tra i più grandi e brillanti del cielo, che ospita molte stelle ben più grandi del Sole e presenta molti fenomeni di formazione stellare; l’esopianeta WASP-96b, un gigante gassoso a 1150 anni luce da noi e la meravigliosa “piscina di luce” della Nebulosa Anello del Sud. Un capolavoro supremo e finale, creato da una stella in fin di vita. Vi emozionerete al cospetto della danza del Quintetto di Stephan, un gruppo di cinque galassie nella costellazione di Pegaso, che sembrano impegnate in una armonia senza fine. E poi, forse il vero capolavoro (finora): l’ammasso di galassie SMACS 0723, svelato l’11 Luglio in anteprima mondiale dal presidente Biden in persona. É una regione celeste che possiede una gravità talmente alta da distorcere la luce di galassie molto distanti, permettendoci di esplorare i confini dell’Universo.

Quando si parla di missioni spaziali, una delle obiezioni primarie è: perché spendere tanti soldi per mandare gente nello spazio quando li si potrebbe reinvestire per migliorare la condizione di vita di chi sulla terra è in grave difficoltà. Immagino se la senta fare costantemente. Come risponde?

Se ancora oggi sorgono dubbi come questo nelle persone che sono chiamate a contribuire alla spesa per sostenere la meravigliosa avventura dell’uomo nel cosmo, penso sia un mio preciso obbligo morale rispondere alla loro domanda, facendolo però con la pacatezza e la metodicità che la scienza ci insegna. All’ESA (e insieme alla EU) abbiamo creato una serie di missioni satellitari che ci permettono di monitorare su scala globale e nel lungo termine tutte le cinquanta variabili fondamentali che governano il “climate change” . Prendiamo il polso della Terra e forniamo dati incontrovertibili ai governi di tutto il mondo per permettere loro di agire nel modo più incisivo possibile sulla più grande sfida che l’umanità sta affrontando. Abbiamo occhi sintetici puntati sulle opere dell’uomo, le dighe, i ponti, le scuole dei nostri figli per monitorarne l’integrità e la sicurezza strutturale, così come gli stessi occhi guidano i soccorsi in caso di calamità naturale. Ed è grazie a sistemi di telecomunicazioni spaziali se siamo riusciti ad attraversare la pandemia mantenendo la nostra forza lavoro al sicuro e permettendole di continuare a produrre per favorire la ripresa economica, se abbiamo potuto mantenere l’istruzione dei nostri figli, salvaguardando l’avvenire delle prossime generazioni, se siamo riusciti a ricevere beni di prima necessità direttamente nelle nostre case e a eseguire analisi mediche a distanza. Solo nell’ultimo anno, gli effetti combinati di cambiamento climatico, conflitti nei paesi del terzo mondo e pandemia hanno spinto 270 milioni di persone ad affrontare problemi di disponibilità di cibo e risorse, ma i satelliti hanno continuato incessantemente ad aiutarci, monitorando la pandemia su scala mondiale, comprendendone gli spostamenti, analizzando la trasformazione dell’attività economica, degli scambi e dei trasporti, monitorando e ottimizzando la crescita delle colture e la massimizzazione dei raccolti. Oltre al valore inestimabile di questi dati per la preservazione del nostro pianeta e della nostra vita su di esso, essi costituiscono la base di quella che chiamiamo “space economy”, e cioè l’intera gamma di tutte quelle attività capaci di creare valore aggiunto e benefici per i cittadini attraverso l’utilizzo di risorse spaziali. E c’è un’altra missione che ci fa capire quanto lo spazio sia cruciale per garantire la nostra sicurezza sulla Terra: stiamo creando la più grande missione di protezione planetaria mai concepita. Con le sonde DART della NASA e HERA dell’ESA, ci stiamo costruendo l’arma che ci permetterà di deflettere gli asteroidi che potrebbero mettere la nostra specie a rischio di estinzione, salvandoci per sempre dal destino che toccò ai dinosauri, cancellati dalla faccia della Terra proprio dall’impatto con un asteroide. E pensare che tutto quello di cui parliamo, insieme ai nuovi sistemi di navigazione satellitare, allo sviluppo dei razzi per accedere allo spazio, all’esplorazione umana del cosmo e all’investigazione scientifica del nostro sistema solare e dell’universo, costa annualmente ad ogni cittadino europeo quanto un biglietto del cinema!

Che sensazione provi quando, per esempio, un materiale da voi concepito e testato viene sfruttato a scopi militari?

Premetto che sono molto orgoglioso del fatto che l’ESA abbia come obiettivo quello dell’esplorazione spaziale per soli fini pacifici. Detto questo, moltissimi materiali di impiego spaziale, grazie alle loro performances straordinarie, trovano altre applicazioni, non soltanto belliche, ma anche sulle nostre automobili, sugli aeroplani, sugli strumenti medici. Del resto, un mattone può essere utilizzato come arma o per costruirci una casa e la scienza ci regala sì il potere del fare, ma non ci spiega come usarlo. Dovremo essere noi a educare le future generazioni a dedicare il proprio sapere alla protezione della vita “del” nostro pianeta e della vita “sul” nostro pianeta e su tutti quelli che riusciremo a visitare. L’esplorazione del cosmo e l’insediamento umano su altri pianeti non possono che avvenire in pace.

Che succede se, durante una missione, la tecnologia fa un balzo in avanti?

Una volta che una missione ha lasciato la Terra, è molto difficile intervenire per cambiarla, a meno che non si tratti del software. Purtroppo noi non abbiamo il lusso che sperimentano altri settori industriali, come quello automobilistico o aeronautico: un aereo o un’automobile in avaria possono essere riparati, si possono definire programmi di manutenzione, parti di ricambio. Una missione spaziale deve garantire decenni di funzionamento in orbita, esposta a uno degli ambienti operativi più ostili ove un prodotto ingegneristico umano abbia mai funzionato, senza possibilità di effettuare alcuna riparazione o manutenzione. Abbiamo lanciato sonde ai confini del Sistema Solare, vicinissime al Sole, presto nell’ultra-freddo delle Lune di Giove, il tutto utilizzando le migliori tecnologie del tempo, ma spesso pescandole tra quelle conosciute e testate e dunque necessariamente anche “obsolete”. Esemplare la missione Rosetta, grazie alla quale siamo atterrati su una cometa, primi nella storia dell’umanità. Sette miliardi di chilometri percorsi in dodici anni di volo, dei quali due e mezzo a satellite spento. Siamo arrivati sulla cometa nel 2014, ma la missione venne approvata nel 1993: considerando che molti degli equipaggiamenti di bordo sono stati realizzati con materiali e processi produttivi che vantavano almeno una decina d’anni di impiego, significa che molti strumenti di volo furono realizzati con tecnologie del 1985. Un altro mondo: le email non esistevano, di lettori DVD o chiavette USB nemmeno l’ombra, in macchina la musica si ascoltava solo con le audiocassette, ma almeno Vasco Rossi ci regalava Cosa succede in città. Oggi cerchiamo di comprimere il più possibile il tempo di “incubazione” di una tecnologia, per permetterci di avere a bordo le soluzioni più innovative, economiche e sostenibili che il panorama industriale europeo ci metta a disposizione.

Perché rivendica sempre l’autonomia dell’ente che rappresenta?

L’Agenzia Spaziale Europea è sostenuta dai governi di ventidue paesi con l’obiettivo, come dicevo, di garantire l’accesso allo spazio e la sua esplorazione per soli scopi pacifici. Facendo questo, l’ESA raggiunge anche un secondo obiettivo, altrettanto importante: quello di rafforzare la competitività, l’indipendenza e la sostenibilità dell’intero substrato industriale dei suoi Stati Membri. Il successo tecnico, scientifico e commerciale delle nostre missioni contribuisce alla creazione di una società più sostenibile, più inclusiva e più resiliente, a beneficio di tutti i cittadini europei. 

Può ancora esistere una relazione virtuosa tra umanesimo e meccanicismo scientifico, soprattutto in epoca digitale?

Oggi l’Homo Sapiens si sta costruendo le tecnologie non soltanto per lasciare il proprio pianeta, ma addirittura per insediarsi su altri mondi del Sistema Solare: la Luna prima, Marte poi. Mai come oggi dobbiamo riportare la nostra cultura umanistica e il nostro essere “umani” al centro dell’educazione dei nostri figli. Dobbiamo incoraggiarli a esercitare il pensiero critico, a porsi domande, a dubitare, a validare le fonti da cui provengono le informazioni, a leggere il pensiero di uomini e donne di formazione e cultura diverse dalla loro, per sviluppare poi una propria libertà di giudizio e affermare un’acquisita individualità, anche e soprattutto rispetto alle “macchine”, siano esse robot o Internet stesso. Solo così proteggeremo i nostri figli dalla tecnocrazia arida e dannosa, fiume di informazioni senza conoscenza né coscienza, senza morale né etica. Il pensare, l’amare, il dubitare ci manterranno liberi. 

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