Non sfugge ad analisti, commentatori e politici il più complesso, se non rischioso, effetto collaterale della Brexit: il ristabilimento di un confine marcato e invalicabile fra Irlanda del Nord ed Eire. Quest’ultima pienamente e felicemente integrata nell’Unione Europea, l’altra, invece, ancora fragile negli equilibri raggiunti rispetto a Londra. Proprio oggi Theresa May a Bruxelles ha confermato che c’è accordo tra Londra e il governo irlandese sulla frontiera tra Dublino e Belfast dopo Brexit.
Ma questa è una storia lunga. Che proviamo a raccontarvi.
Con l’accordo del venerdì santo, stipulato a Belfast il 10 aprile 1998, si chiudeva una sanguinante ferita da sottosviluppo in pieno nord del mondo. Era quella che lacerava l’Irlanda. Sull’isola di smeraldo si combatteva una guerra secolare, che prometteva di prolungarsi nel nuovo ordine mondiale. Era caduto il muro di Berlino, la Germania si era riunificata, ma l’Irlanda restava spaccata. Perché le divisioni erano all’interno stesso della coscienza nazionale. Le due comunità dell’Ulster, protestante e cattolica, si confrontavano da sempre senza addivenire ad un ricomposizione. Per gli oltranzisti, Dublino aveva tradito accettando l’Home Rule del 1920, con cui il Primo Ministro Lloyd George concedeva l’indipendenza alle 26 contee del sud. Per i protestanti, l’Ulster doveva continuare a far parte del Regno Unito.
Immagini dell’Irlanda, al passato prossimo. Da un lato l’eleganza di Grafton Street, a Dublino, il centro commerciale, tappezzato di vetrine che espongono il meglio della produzione isolana: maglioni da marinaio di Aran, camicie di Kinsale, pizzi di Limerick e cristalli di Waterford. Dall’altro la desolazione dei ghetti cattolici di Londonderry e Belfast, nell’Ulster. E più ancora, un altro di quei reperti elettronici prodotti dall’era della televisione: uno speaker che esplode in diretta davanti alla telecamera, nel documentario di Marcel Ophuls A Sense of Loss, del 1972.
Dinanzi a questi lancinanti contrasti si perdevano anche i riferimenti culturali. Si appannava la memoria del genio di Oscar Wilde, William Butler Yeats, George Bernard Shaw e James Joyce. Insufficiente anche la nuova iconografia culturale dei giovani, che in tutto il mondo inneggiavano agli U2 e a Bono.
Ma parlare dell’Irlanda richiede l’abbandono di quel romanticismo che porta a simpatizzare per i perdenti. Soprattutto di fronte al terrorismo che si esprimeva con esplosioni e raffiche di Armalite (il micidiale fucile mitragliatore prediletto dall’IRA).
Le radici dell’irredentismo irlandese, al di là delle leggende celtiche e della vittoria di Guglielmo d’Orange sul cattolico Giacomo II nella battaglia di Boyne del 1690, vanno cercate in quella fucina delle democrazie moderne che fu la Rivoluzione Francese del 1789. La liberté dei parigini incendiò di nuove prospettive politiche l’aspirazione dublinese alla Saoirse, in gaelico “libertà”. Il primo autentico alfiere ne fu Theobald Wolfe Tone, vivace avvocato protestante, le cui idee dovevano profondamente influenzare il pensiero repubblicano irlandese. Partito da posizioni moderate e lealiste, arrivò a sostenere la fondazione di colonie inglesi nelle isole allora scoperte nei mari del sud, «per porre un freno alla Spagna in tempo di pace e danneggiarla seriamente in tempo di guerra.» In seguito, però, Tone scrisse che la Rivoluzione Francese «cambiò in un istante la politica dell’Irlanda.» Nel 1791, contribuì alla fondazione della Società degli Irlandesi Uniti, con l’obiettivo di una grande sollevazione popolare anti-inglese. Per l’occasione, si stabilirono due principi destinati a tornare nei secoli successivi di irredentismo. Il primo: ogni guaio per l’Inghilterra era un’opportunità per l’Irlanda. Il secondo: per ottenere ciò, valeva la pena di collaborare con i nemici di Londra. La sollevazione capeggiata da Tone nel 1796 prevedeva il supporto di una forza da sbarco francese. Quest’ultima terminò in un disastro e il patriota fu condannato a morte.
Nell’Ottocento, l’irredentismo irlandese si trascinò all’estero, in continente americano, a seguito dell’emigrazione massiccia che si ebbe dopo la carestia del ‘46 e del ‘48. Nel 1858, fu fondata negli Stati Uniti la Fratellanza Feniana. Il nome derivava dal fian, la torma di guerrieri che seguiva il leggendario re irlandese Finn MacCool.
La mattina del 2 giugno 1866 vi fu una curiosa ma nondimeno cruenta battaglia combattuta in territorio canadese, a Ridgeway. Un gruppo pittoresco di uomini armati avanzò sventolando una bandiera verde, recante l’immagine di un’arpa irlandese e la sigla IRA, che faceva così la sua prima comparsa. Dei giovani studenti intervennero volontariamente per difendere il territorio da quegli strani invasori. I canadesi persero venti uomini ed ebbero quaranta feriti. Un’episodio rappresentativo dello spirito d’improvvisazione all’insegna del quale si svolsero gran parte delle avventure irredentiste irlandesi. Ne furono protagonisti alcuni componenti della Fratellanza Feniana, intenzionati a includere l’attacco ai canadesi in un più vasto quanto fantomatica piano di insurrezione anti-britannica. L’uomo che li guidava, il colonnello John Roberts, dichiarò solennemente che prima del finire dell’estate «la verde bandiera sventolerà indipendentemente nella brezza della libertà e noi avremo una base di operazioni dalla quale potremo non solo emancipare l’Irlanda ma annientare l’Inghilterra.» In realtà, il movimento ebbe vita breve.
La comunità irlandese invece andò consolidandosi nella vita economica e politica americana. Oggi negli Stati Uniti si trova una popolazione di origine irlandese cinque volte maggiore di quella autoctona dell’isola di smeraldo. Le umili origini dei primi arrivati sono andate migliorando, sino a fornire all’establishment statunitense membri della classe dirigente. Una success-story culminata con l’elezione di John Fitzgerald Kennedy alla presidenza. Il risvolto paradossale è stato quello di indebolire l’attitudine pro-repubblicana degli irlandesi d’America, sempre più lontani dal duro tenore di vita dei ghetti cattolici dell’Ulster. Il che non impediva nel 1972 al Senatore democratico Edward Kennedy, fratello del defunto presidente, di richiamare autorevolmente l’attenzione internazionale sull’orrore della cosiddetta Domenica di Sangue, il 30 gennaio di quell’anno, quando i paracadutisti dell’esercito inglese massacrarono tredici uomini, sette dei quali con meno di 19 anni, durante una marcia per i diritti civili a Londonderry.
Le fasi determinanti del tortuoso cammino percorso dall’irredentismo irlandese restano comunque tre: il riconoscimento dell’indipendenza per l’Eire, la fondazione del Sinn Feinn e il ruolo dell’IRA nel successivo processo di guerra civile permanente.
All’inizio del secolo, si avvertiva l’esigenza di un movimento politico che esprimesse in forma compiuta le aspirazioni nazionali. Nel 1905 Arthur Griffith, un tipografo che aveva vissuto in Sudafrica, fondò il Sinn Feinn, che in gaelico significa “noi da soli”, intendendo l’istanza indipendentista. Nell’aria si agitava già l’Home Rule, che avrebbe concesso all’isola lo stato di sovranità nazionale. Ma nel Nord, i protestanti risposero associandosi nei Volontari dell’Ulster, con il fine esattamente opposto. In circa un decennio di contrasti, maturarono le condizioni per la Sollevazione di Pasqua del 1916. Durante la sommossa, un gruppo di nazionalisti si asserragliò nell’ufficio postale di Dublino, sotto la guida di Patrick Pearse, un maestro di scuola dalle aspirazioni militariste che firmò i suoi comunicati come “Comandante Generale dell’Esercito Repubblicano Irlandese (Irish Republican Army)”. La sigla dell’IRA tornava a fare la sua comparsa cinquant’anni dopo la battaglia di Ridgeway.
Mentre maturavano le condizioni per la guerra civile, le posizioni del Sinn Feinn e dell’IRA apparivano sempre più inconciliabili. Il primo era un partito, con un programma essenzialmente costituzionale. L’IRA invece era un’aggregazione di individui animati da indefinite passionalità. C’erano socialisti, comunisti, oppure semplicemente repubblicani desiderosi di vedere la bandiera tricolore -arancio, bianco e verde- sventolare su tutta l’isola. Un sogno presto infranto con la concessione dell’indipendenza a Dublino, che lasciava l’Ulster unito a Londra. Inoltre, la riunione del primo Dail, il parlamento, venne considerata un tradimento anche dal Sinn Feinn, che inaugurò una consuetudine di rigido astensionismo. Nel linguaggio degli irredentisti, non esisteva l’Eire, ma le 26 contee del sud, separate dalle 6 del nord.
«Tutto il movimento non aveva mai pensato di vincere una guerra. Solo di iniziarla» ammise Cathal Goulding, che nel 1962 fu nominato capo di stato maggiore dell’IRA. Il marchio di fabbrica dell’irredentismo irlandese era infatti uno spirito rivoluzionario animato più da improvvisazioni e momenti umorali che da un progetto politico a lunga scadenza.
Nel 1915 vi furono contatti con i tedeschi negli Stati Uniti. L’approccio fu effettuato dall’organizzazione patriottica Clann na Gael. Sir Roger Casement, un irlandese della contea di Antrim insignito del cavalierato per servizi consolari presso il governo britannico, fu delegato a recarsi in Germania per trattare una fornitura di armi. In cambio, avrebbe dovuto convincere gli irlandesi prigionieri di guerra a formare una brigata di rinnegati per combattere i loro precedenti compagni d’armi delle file anglo-francesi.
Era il momento del grande orrore sul fronte occidentale. Tra la prima e la seconda battaglia del saliente di Ypres, i soli inglesi persero, fra morti, feriti e dispersi, 381.982 uomini. L’intera “generazione dorata” che avrebbe dovuto fornire a Sua Maestà la nuova classe dirigente e che al contrario si dissolse nell’incubo dell’attacco tedesco col gas. Fra l’altro, era in campo anche un giovane portaordini, Adolf Hitler, che scrisse: «Mentre la morte avanzava nelle nostre file, quella canzone ci raggiunse e noi passammo parola: Deutschland, Deutschland uber alles.» Patrick Pearse, l’uomo che doveva guidare l’assalto all’ufficio postale di Dublino durante la sollevazione di Pasqua del 1916, osservò che sul fronte occidentale: «Il vecchio cuore della terra ha bisogno di essere scaldato dal rosso vino dei campi di battaglia.» Agghiacciante poesia del cinismo che è una misura dell’odio irlandese: il sangue versato era britannico.
L’atteggiamento anti-inglese durante le due guerre mondiali doveva costare all’Irlanda parte della simpatia americana. Gli Stati Uniti, pure in qualità di ex coloni affrancati da Sua Maestà, intervennero sempre al fianco della loro antica patria.
Dal canto suo, Sir Roger Casement portò a buon fine i contatti con i tedeschi. La nave nazista che trasportava le armi venne però intercettata e il patriota imprigionato.
Dopo la sua ascesa al potere, Hitler mostrò scarso interesse per la questione irlandese, coerente con i suoi intenti di non interferire all’interno della sfera di influenza britannica. Ma con lo scoppio delle ostilità, il sogno del Führer di un’alleanza anglo-tedesca fu infranto. Guai per l’Inghilterra, opportunità dell’Irlanda. Nonostante l’attitudine dichiaratamente anti-fascista dell’IRA, due suoi esponenti, Sean Russell e Frank Ryan, si trovarono a giocare un ruolo essenziale in un piano rocambolesco. All’inizio della guerra, Russell si era rifugiato in America dopo il fallimento di una campagna di attentati in Gran Bretagna. Arrestato per misura precauzionale in occasione della visita di Giorgio VI negli Stati Uniti, venne estradato. Ma le restrizioni di guerra non gli consentivano di tornare in Irlanda. Russell si rivolse allora ai tedeschi, che lo inviarono in Germania. Qui incontrò Frank Ryan, che aveva combattuto in Spagna nella brigata Lincoln Washington. I due irlandesi incontrarono il ministro degli esteri nazista Joachim von Ribbentrop e l’ammiraglio Canaris, capo dell’Abwehr, il potente servizio segreto militare del Terzo Reich. Fu deciso di mettere a disposizione dei due uno degli Uboote, i sottomarini tedeschi, da potere essere utilizzato per qualsiasi azione ritenessero utile agli interessi irlandesi. Fu chiamata in codice “operazione Colomba”. E si risolse nell’ennesimo disastro. A cento miglia dalle coste natie, Russell ebbe un attacco di ulcera perforata e morì. Il sottomarino tedesco tornò in patria. Ryan trascorse il resto della guerra in Germania, dove si spense nel giugno 1944 accompagnato da cattiva fama. Altrettanto fallimentari furono i tentativi tedeschi di impiantare una rete di spie in Irlanda.
Nel 1925 una delegazione dell’IRA si recò a Mosca per chiedere aiuti a Stalin. Il dittatore, secondo uno degli irlandesi presenti, Gerald Boland, avrebbe domandato: «Quanti preti avete impiccato?» «Nessuno» fu la risposta. E Stalin: «Allora voialtri non siete affatto seri».
Né, in anni più recenti, vi sono state affinità fra l’IRA e gli altri movimenti terroristici di estrema sinistra. Gli irlandesi consideravano nichilisti borghesi i militanti della banda Baader-Meinhof, della Rote Armee Fraktion e delle Brigate Rosse. Sono invece assodati i legami con l’ETA basca, alimentati anche da un curioso progetto politico. Uno degli esponenti dell’IRA, Ruairi O’Bradaigh aveva vagheggiato di una Federazione Celtica, comprendente irlandesi, gallesi, scozzesi, bretoni (francesi della Bretagna) e abitanti di una libera Euskadi (la terra basca). Il riscontro di quest’intesa, furono gli attentati che recavano la doppia firma dell’IRA e dell’ETA.
Fumosi i rapporti con i palestinesi. Al di là di comuni sessioni di addestramento in tecniche di guerriglia e terrorismo, fra i due gruppi restava un’incomprensione di fondo. Sul piano operativo, uno sponsor efficace dell’IRA è stato il colonnello Gheddafi. Dopo il suo colpo di stato incruento del 1969, appuntò le simpatie su tutti i movimenti da lui ritenuti “anti-imperialisti”. Un primo segnale delle sue inclinazioni verso l’IRA venne nel marzo 1973. Nella Baia di Waterford, la marina irlandese intercettò il cargo Claudia, battente bandiera della Germania Federale, con a bordo cinque tonnellate di armi imbarcate a Tripoli e destinate all’Ulster. Qualcosa cambiò tuttavia quando a cercare contatti con Gheddafi furono un giornalista del nord, Patrick Turley, e un rispettabile affarista di Dublino, Walter Hegarty. Secondo loro, la chiave di svolta per l’intera isola era un accelerato sviluppo economico. I libici potevano essere utili non per forniture di armi ma per lo sfruttamento delle riserve di petrolio al largo delle coste irlandesi. Contemporaneamente, si trovarono a Tripoli due delegazioni, una moderata e una dell’IRA. Fu sufficiente perché Gheddafi capisse la complessità della situazione in Irlanda e prendesse le distanze dal terrorismo isolano. Salvo poi riavvicinarlo dopo il bombardamento americano del l986.
In almeno un’occasione, alla metà degli anni ‘70, i servizi d’informazione riportarono che una delegazione dell’IRA aveva incontrato funzionari del governo comunista cinese.
Potrebbero chiamarla “la città degli arcobaleni”. Se ne formano di continuo nel cielo di Londonderry, o soltanto Derry, come la chiamano gli irredentisti irlandesi dell’Ulster. È la città a maggioranza cattolica dove nel 1969 cominciarono i Troubles (guai), ovvero gli incidenti a catena che proseguono oggi, rendendo pressoché invivibile l’Irlanda del Nord.
Derry sorge sul Foyle, nel punto in cui il fiume si allarga nel Mar d’Irlanda formando un loch. Vista dalla riva orientale, i suoi contrafforti di pietra del diciassettesimo secolo e le montagne alle spalle, sembra un paesaggio fiabesco. Non altrettanto per il ghetto cattolico di Bogside. Fu qui che covò la rivolta nei primi mesi del 1969. Giovani disoccupati impazzavano per le strade colpendo a prima vista gli agenti di polizia della RUC (Royal Ulster Constabulary). I migliori impieghi pubblici erano preclusi ai cattolici. La discriminazione persistette durante il grande sviluppo tecnologico degli anni ‘60 e ‘70, quando i nuovi posti specialistici e dirigenziali nelle imprese andarono in prevalenza ai protestanti. In un clima non dichiarato di apartheid, comunque la popolazione cattolica non si identificava affatto con l’IRA. La posizione dominante era quella di un’emancipazione collettiva nell’Ulster, che facesse superare le anacronistiche contrapposizioni fra la parti. La struttura militare dell’Irish Republican Army ha infatti sempre rivelato la carenza di un progetto politico chiaro. Irlanda unita e libera, ma poi?
Ruairi O’Bradaigh abbozzò un disegno denominato Eira Nua (Nuova Irlanda). Esso prevedeva una repubblica federale composta dalle quattro province originarie: Ulster, Munster, Leinster e Connaught, ciascuna con propri parlamenti e poteri esecutivi. Il governo centrale si sarebbe dovuto limitare alla difesa e alla politica estera. Inutile sottolineare che lo stesso progetto sta fallendo nell’ex URSS. Elemento principale del progetto di O’Bradaigh era che il Dail Uladh (il parlamento dell’Ulster) avrebbe dovuto includere tutte e nove le contee storiche, non solo le sei assegnate dall’Home Rule. In questo modo il rapporto fra la popolazione si sarebbe riequilibrato a favore dei protestanti, che così non avrebbero più dovuto temere la perdita d’identità.
La proposta fu annunciata il 5 settembre 1971, senza che alterasse lo stato delle cose nell’Irlanda del Nord. Ma era l’inizio di una sorta di road map, termine coniato successivamente per definire la pace fra israeliani e palestinesi. L’ultima tappa era l’accordo del venerdì santo.
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Enzo Verrengia Modifica articolo
4 Dicembre 2017 - 15.33
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