Bazar-Libia, dove possono sparire tonnellate di uranio: e questo sarebbe un "porto sicuro"...
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Bazar-Libia, dove possono sparire tonnellate di uranio: e questo sarebbe un "porto sicuro"...

Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) ha denunciato la scomparsa di circa 2,5 tonnellate di uranio naturale da un sito in Libia

Bazar-Libia, dove possono sparire tonnellate di uranio: e questo sarebbe un "porto sicuro"...
Materiale nucleare sparito in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Marzo 2023 - 17.53


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La Libia, uno Stato fallito dove prosperano i traffici più immondi. La Libia, dove possono scomparire nel nulla 2,5 tonnellate di uranio naturale.

Depositi da svuotare

La notizia: l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha denunciato la scomparsa di circa 2,5 tonnellate di uranio naturale da un sito in Libia, secondo una dichiarazione inviata all’ agenzia di stampa francese Afp. Durante la visita di martedì, gli ispettori dell’organismo delle Nazioni Unite hanno “scoperto che 10 container con circa 2,5 tonnellate di uranio naturale sotto forma di concentrato di uranio (‘yellow cake’) non erano presenti dove erano stati dichiarati dalle autorità, ha scritto il direttore generale Rafael Grossi in un rapporto agli Stati membri.

L’Aiea ha dichiarato che condurrà “ulteriori” verifiche per “chiarire le circostanze della scomparsa di questo materiale nucleare e la sua attuale ubicazione”. Al momento non sono stati forniti dettagli sul sito in questione soprattutto su dove si trovi. 

Bazar-Libia

Scriveva Daniele Raineri su il Foglio del 9 settembre 2011: “Le “garage sale” sono quelle svendite organizzate nel giardino di casa dalle famiglie americane che vogliono, per l’appunto, sbarazzarsi delle cose che occupano il garage. Ora la Libia costellata di arsenali di un regime che non c’è più è diventata, secondo la disperante battuta in circolazione, la “garage sale” del secolo per gruppi irregolari – inclusi quelli legati ad al Qaida. Da due giorni 482 missili terra aria da spalla di fabbricazione russa mancano da uno dei magazzini militari abbandonati dalle truppe di Gheddafi a Tripoli. Una squadra mista della Cnn e della Ong Human Rights Watch s’è imbattuta in “dozzine di contenitori con scritte in inglese e russo e in inventari d’archivio” che testimoniano la presenza di missili Sa-24 Grinch, l’evoluzione russa del micidiale missile Stinger americano, quello che lanciato dalla spalla di un singolo operatore può abbattere un aereo militare, un elicottero, un drone.

Negli anni Ottanta gli Stinger consegnati nelle mani dei mujaheddin afghani annullarono il solo vantaggio che l’Armata rossa aveva sui guerriglieri, il dominio dei cieli, e rovesciarono il corso della guerra. La Cia dovette imbarcarsi in un programma costosissimo di recupero dei missili non usati, con il terrore che finissero nelle mani di qualche attentatore e fossero sparati contro un aereo passeggeri – il pericolo dovrebbe essere ormai passato perché le batterie speciali dei missili non sono così longeve. Il grande effetto collaterale, per gli americani, fu che gli avversari – cinesi, russi, nordcoreani – riuscirono a comprarne alcuni esemplari e a costruirne delle copie funzionanti.

Il Grinch ha prestazioni simili allo Stinger. Grazie al sensore a ricerca di calore che lo guida, ha buone chance di abbattere un aereo militare a quattro chilometri di altitudine. Figurarsi cosa può fare contro un pacioso aereo di linea che viaggia lento su una traiettoria molto più prevedibile. Non è ancora chiaro quanti ne mancano, ma in totale – inclusi quindi anche i missili di diverso tipo – si azzarda una cifra attorno ai ventimila, anche se la Nato in questi mesi ha bombardato e distrutto almeno 600 depositi per disarmare i soldati del colonnello.

Peter Bouckaert, direttore di Human Rights Watch in Libia, dice alla Cnn che “in ogni città notiamo lo stesso schema quando arriviamo, negli arsenali saccheggiati le prime cose a sparire sono i missili terra-aria. Possono valere molte migliaia di dollari sul mercato nero”. E’ la garage sale. Ma gli effetti potrebbero essere drammatici e a lungo termine. “Stiamo parlando di ventimila missili, ho visto automobili stipate – dice Bouckaert – potrebbero trasformare il  nord Africa in una no fly zone”. Considerata la vicinanza delle coste libiche a quelle del sud Europa, il rischio è senz’altro da considerarsi più esteso. L’allarme su una sola cellula armata con missili terra-aria potrebbe costringere al suolo tutto il traffico aereo sul Vecchio continente – l’effetto sarebbe in tutto e per tutto simile alla no fly zone imposta sulla Libia dalle potenze occidentali cinque mesi fa.

Il SA-24 Grinch è anche in cima alla lista dei desideri dell’Iran. Pochi anni fa gli Stati Uniti negoziarono con i russi la sospensione della vendita al Venezuela perché temevano che il presidente Hugo Chávez lo avrebbe subito passato ai tecnici di Teheran – particolarmente ansiosi di mettere le mani su un buon sistema contraereo, come si può facilmente comprendere. 
Gilles de Kerchove, coordinatore antiterrorismo dell’Unione europea, lunedì scorso ha parlato della possibilità concreta che alcuni missili siano stati ceduti ad al Qaida nel Maghreb. I governi di Ciad e Nigeria hanno detto che alcune armi sono già state contrabbandate dalla Libia nei loro paesi, inclusi missili terra aria SA-7, quindi di una generazione più obsoleta. Lo scorso aprile il generale americano Carter Ham, che dal comando africano del Pentagono (Africom) ha diretto le operazioni in Libia, ha detto: “Per un po’ di tempo questo scenario sarà una preoccupazione”. 
Parecchio understatement per ora, ma il sito LiveLeak ha un video in cui una colonna della brigata Tripoli, l’unità di ribelli islamisti che ha conquistato il compound di Gheddafi di Bab al Aziziya, entra in un deposito militare vicino all’aeroporto della capitale e lo svuota di tutto.

Bouckaert ha lavorato con la stessa identica missione – identificare i pericoli potenziali per la popolazione locale – anche nell’Iraq del 2003, quando dopo l’invasione americana gli iracheni saccheggiarono gli arsenali. “La differenza è che in Iraq i depositi erano molto più piccoli di questi libici, anche se con quel materiale i terroristi hanno fatto migliaia di bombe per anni”. In Iraq le critiche contro i saccheggi furono violente fin da subito. In Libia i media sembrano più lenti di riflessi”.

Da il Fatto Quotidiano del 21 febbraio 2015: “Sono state milizie che combattono contro l’esercito regolare a trafugare armi chimiche negli arsenali del regime di Muammar Gheddafi che contengono “iprite e gas nervino Sarin” e che potrebbero quindi “cadere nelle mani dello Stato islamico” . Secondo quanto scrive Asharq Al-Awsat – autorevole quotidiano filo-saudita basato a Londra – erano nascoste in alcuni depositi nelle province centrali e meridionali della Libia, e un “responsabile militare libico”, sotto anonimato, ha parlato al giornale di “grandi quantitativi” utilizzati dai miliziani “nella loro guerra contro l’esercito”. Secondo testimoni citati da Asharq Al-Awsat, inoltre, un gruppo armato di guardia a un’azienda chimica a Jufra, 600 chilometri a sud est di Tripoli, ha trasferito gas mostarda a Misurata a bordo di carri armati. Il sito cita fonti “locali” facendo riferimento alla città libica sul mare, bastione delle milizie islamiche che appoggiano il Parlamento rivoluzionario di Tripoli (Gnc), non riconosciuto internazionalmente.  Un video, aggiunge il quotidiano, “sembra mostrare miliziani che conducono test con armi chimiche in una regione montagnosa vicino alla città di Mizda, circa 160 chilometri a sud di Tripoli. Si vede sparare “un proiettile, da cui si sprigionano fiamme seguite da una nube di denso fumo bianco che copre un’ampia area”.

Al quotidiano la fonte militare ha inoltre spiegato che “prima della sua morte, Gheddafi aveva approssimativamente un migliaio di tonnellate di materiale per la realizzazione di armi chimiche e circa 20mila tonnellate di gas mostarda”. La distruzione di parte dell’arsenale chimico di Gheddafi iniziò dopo la firma della Convenzione sulle armi chimiche nel 2004. Anche per via della rivolta contro Gheddafi esplosa nel 2011, solo il 60 per cento delle armi chimiche del regime è stato distrutto”.

Per avvicinarci al presente. 

Di grande interesse è un report di Angelo Ferrari per l’Agi del 22 novembre 2022: “I conflitti e il proliferare di gruppi armati jihadisti  – annota Ferrari – ha dato nuovo impulso al traffico illegale di armi nel Sahel. Un traffico che, secondo gli analisti del settore, prende le sue origini in Libia, ma coinvolge altre fonti di approvvigionamento. La conseguenza è un’escalation di violenze in tutta la regione.  A certificarlo un rapporto della rivista Africa Defense Forum (Adf), che spiega come dopo una relativa diminuzione di questi traffici, la ripresa dei combattimenti, che si sono fatti sempre più cruenti nel Sahel, ha portato con sé la necessità, per i gruppi armati e i jihadisti della regione, di approvvigionarsi di nuove armi attraverso canali illegali e clandestini, ma anche attraverso attacchi diretti alle scorte degli eserciti regolari.

Secondo Hassane Koné, ricercatore senior presso l’Institute for Security Studies (Iss), “la presenza militare nel nord del Niger e lo scoppio della seconda guerra civile in Libia nel 2014 hanno rallentato il flusso di armi verso sud. Con l’aumento della domanda di armi in Libia, i gruppi jihadisti hanno guardato altrove, intensificando gli attacchi alle caserme dell’esercito in Burkina Faso, Mali e Niger per saccheggiare le loro scorte di armi e munizioni”. Tutto ciò è aggravato, inoltre e nonostante l’embargo sulle armi in Libia, dalla circolazione delle armi appartenenti alle ingenti scorte del regime di Gheddafi, che circolano in particolare nel Sahel. Non è un caso che molti dei gruppi armati ribelli e terroristici abbiano la loro zona di “rifugio” proprio in Libia.

Secondo uno studio condotto da Conflict Armament Research (Car), un’organizzazione investigativa che monitora il movimento di armi, munizioni ed esplosivi nelle zone di conflitto, ci sono molte armi in circolazione all’interno e intorno al Sahel.

L’organizzazione stima in un rapporto che il 17% delle armi sequestrate ai ribelli legati a Boko Haram nel sud-est del Niger sono state dirottate dalle scorte in Ciad, Niger e Nigeria. Inoltre, le armi usate da gruppi estremisti in Burkina Faso e Mali sono state attribuite ai soldati nazionali della regione. “Ci si possono aspettare vittime sul campo di battaglia, ma il rischio sorge quando le armi vengono recuperate da attori non autorizzati che possono quindi facilitarne l’uso improprio o dirottarle su altri scenari”, ha scritto Ashley Hamer, Field Investigator del Car, per Inkstick Media. Hamer, inoltre, stima che quasi la metà delle armi che continuano a circolare nel Sahel e che vengono utilizzate dai terroristi provengano da scorte statali dagli anni ’70 agli anni ’90.

I ricercatori del Car affermano che le armi più recenti esaminate nei sequestri nel Sahel provengono generalmente da quattro fonti principali: traffico illegale attraverso la Libia, perdite sul campo di battaglia dovute a raid contro le forze di sicurezza in Burkina Faso, Ciad, Mali, Niger e Nigeria, pistole e fucili di contrabbando venduti al mercato nero dell’Africa settentrionale e occidentale, deviazione di armi da fuoco ed esplosivi legalmente importati nel Sahel.

Con l’aumento del traffico di armi nel Sahel, sono cresciute anche le risposte delle autorità governative, regionali e internazionali. Nel 2017 l’Unione Africana ha lanciato un’iniziativa denominata “Silenziare le armi” entro il 2020. Il termine è stato superato ed è stato prolungato al 2030. L’Unione Europea ha lanciato l’Operazione Irini nel 2020 per far rispettare l’embargo sulle armi imposto dall’Onu alla Libia dopo la seconda guerra civile libica. L’organizzazione internazionale di polizia Interpol è riuscita ad arginare il proliferare del traffico illegale di armi in Africa attraverso la collaborazione con Afripol e l’Onu. A giugno, l’operazione Trigger VIII ha recuperato 480 armi da fuoco, identificato e smantellato 14 reti criminali organizzate e ha visto arrestare 42 persone per reati connessi al traffico di armi da fuoco.  

Gli esperti raccomandano una maggiore trasparenza e collaborazione nel rintracciare il materiale sequestrato, tra produttori, autorità di importazione ed esportazione, forze dell’ordine e investigatori forensi”.

Così Ferrari.

In conclusione. Dodici anni dopo quella sciagurata guerra voluta dalla Francia e subita dall’Italia, non si vuol prendere atto che la Libia del post-Gheddafi è uno Stato fallito, dove a farla da padroni, quelli veri, sono signori della guerra, trafficanti di esseri umani, banditi di vario genere e caratura, improbabili “tecnici” spacciati per leader politici, signor nessuno come era l’ormai dimenticato Fayez al-Sarraj. Il tutto in un Paese in cui operano, direttamente o per procura, attori esterni che ambiscono a mettere le mani sulla torta petrolifera libica. L’elenco è lunghissimo. Solo per citarne i più attivi: Russia, Turchia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Qatar. Un Paese in cui operano oltre centocinquanta milizie e tribù in armi. Alla faccia del “porto sicuro”. La Libia è un “bazar di armi” aperto a tutti. Basta avere le entrature giuste. 

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