Libia, le mani dei signori della guerra sugli aiuti umanitari
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Libia, le mani dei signori della guerra sugli aiuti umanitari

Libia, i signori della guerra si litigano gli aiuti umanitari internazionali.

Libia, le mani dei signori della guerra sugli aiuti umanitari
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

24 Settembre 2023 - 01.34


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Libia, i signori della guerra si litigano gli aiuti umanitari internazionali.

Da un rapporto  di Amnesty International: “Le Forze armate arabe libiche (Faal), il gruppo armato che ha il controllo di fatto della Libia orientale, compresa la città di Derna, deve immediatamente annullare le limitazioni imposte ai mezzi d’informazione e facilitare l’arrivo degli aiuti umanitari alle popolazioni colpite dalle inondazioni.

Dopo che migliaia di abitanti di Derna, insieme a molti soccorritori, erano scesi in strada per chiedere le dimissioni di politici locali e nazionali e di individuare le responsabilità per il crollo di due dighe che aveva causato l’inondazione, le Faal hanno iniziato a operare arresti e a limitare l’accesso della stampa a luoghi e fonti.

Jamal El Gomati, un creatore di contenuti social, è stato arrestato per aver espresso critiche alle autorità durante le sue dirette da Derna. È risultato scomparso per tre giorni, dal 17 al 19 settembre, prima che venisse scarcerato per intercessione di un alto comandante delle Faal.

Quanto agli aiuti, il 19 settembre un portavoce delle Nazioni Unite ha affermato che il loro team “non aveva l’autorizzazione a procedere”. In generale, gli aiuti arrivano con lentezza a causa degli innumerevoli posti di blocco delle Faal. A una squadra medica proveniente dalla Libia occidentale e una squadra internazionale di soccorritori è stato detto di lasciare la zona.

Le persone sopravvissute e i difensori dei diritti umani stanno chiamando ripetutamente in causa anni e anni di malgoverno, di dispute fra governi rivali e di controllo del territorio da parte di milizie e gruppi armati, che hanno fatto sì che le vite e il benessere della popolazione civile venissero completamente trascurati.

Un pubblico ministero del governo di Tripoli ha visitato le zone colpite dalle inondazioni promettendo un’indagine. Ma dato il clima d’impunità dominante in Libia è inimmaginabile che la giustizia interna favorisca la verità e la giustizia.

Conflitti e divisioni in Libia

La Libia è soggetta a conflitti armati e divisioni politiche dal 2011, con governi paralleli sostenuti da milizie e gruppi armati che non rendono conto a nessuno e che si autoproclamano legittimi. A Bengasi, la seconda città più grande della Libia, le Faal controllano il territorio e svolgono funzioni simili a quelle governative. L’uso, da parte delle Faal, di tattiche brutali per reprimere le proteste, limitare la società civile indipendente e mantenere saldamente il potere è ampiamente documentato.

L’11 settembre 2023 una catastrofe ha colpito Derna, Sousse, Bayada e altre zone della cosiddetta “Montagna verde”, dopo che la tempesta “Daniel” (un ciclone tropicale mediterraneo noto come “medicane”) ha causato il crollo di due dighe nella città di Derna, che non ricevevano manutenzione da decenni. Amnesty International ha chiesto una rapida mobilitazione globale per sostenere le operazioni di soccorso in favore di tutte le comunità colpite, senza discriminazione, prestando particolare attenzione ai gruppi a rischio, tra cui rifugiati, persone migranti e sfollate.

Le Faal e i loro gruppi armati affiliati e le forze di sicurezza hanno impedito a centinaia di persone di etnia tawargha di tornare in un campo profughi a Bengasi, dove avevano vissuto per anni e da dove erano stati evacuati il 10 settembre prima della tempesta. Secondo gli attivisti e le attiviste, altri residenti sono stati autorizzati a tornare nelle loro case nella stessa zona”.

Così AI.

Caos armato

Di grande interesse è il report a firma Federico Manfredi Firmiana, Associate research fellow dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale).

Annota l’autore: “Il fragile equilibrio di poteri in Libia è nuovamente a rischio. Politici e uomini forti continuano a competere per potere e fonti di reddito e un nuovo inasprimento delle rivalità è evidente sia nei rapporti tra le autorità dell’est e dell’ovest sia nel frammentato campo occidentale. In un’estate caratterizzata da una concorrenza spesso spietata tra le figure più in vista della scena politica e militare, a Tripoli sono scoppiati violenti scontri armati tra milizie rivali e decine di persone sono rimaste uccise.

Il dialogo tra l’Alto Consiglio di Stato e la Camera dei Rappresentanti per l’organizzazione di elezioni presidenziali e parlamentari non ha fatto progressi, in parte perché i politici libici hanno un interesse a posticipare il voto. Continua nel frattempo il braccio di ferro tra il generale Khalifa Haftar e il primo ministro Abdul Hamid Dbeibah per gli introiti petroliferi. Il generale ha recentemente minacciato una nuova azione militare contro Tripoli se la ripartizione delle entrate petrolifere non diventerà più adeguata alle sue aspettative[2]. Il rappresentante speciale per la Libia Abdoulaye Bathily persevera nei suoi sforzi per l’organizzazione di elezioni libere e democratiche ma i poteri forti del paese lo hanno ormai marginalizzato.

Nella prima settimana di agosto intensi scontri armati a Tripoli hanno provocato almeno 55 morti e oltre 100 feriti. I combattimenti sono iniziati il 14 agosto nella periferia ovest di Tripoli, dopo che le Forze speciali di deterrenza al-Radaa hanno arrestato il colonnello Mahmoud Hamza, comandante della Brigata 444. Queste sono le stesse milizie che si sono scontrate a Tripoli nel mese di maggio. Entrambe sono formalmente integrate nelle forze di sicurezza dell’ovest della Libia: la Brigata 444 è sotto la guida del ministero della Difesa mentre le Forze speciali di deterrenza agiscono come organo di polizia nella capitale e controllano l’aeroporto internazionale di Mitiga, l’omonima prigione e i quartieri circostanti. Dopo due giorni di scontri le Forze speciali di deterrenza hanno annunciato che la mediazione di Dbeibah ha reso possibile un accordo per il rilascio di Hamza. I combattimenti si sono così placati. Un ex inviato speciale degli Stati Uniti in Libia ritiene che Dbeibah stia utilizzando la Brigata 444 per consolidare il controllo su alcune delle infrastrutture più importanti della capitale, provocando così l’opposizione delle Forze speciali di deterrenza, che non vogliono cedere terreno a una milizia rivale[6]. In ogni caso, l’episodio è indicativo di quanto le rivalità per il potere in Libia siano fonte di crescente insicurezza. La missione di supporto delle Nazioni Unite (Onu) in Libia aveva già preso atto, nelle settimane precedenti, che rapimenti, arresti arbitrari e sparizioni di cittadini e personaggi pubblici stavano creando un “clima di paura” in Libia.

La lotta per il potere tra i leader libici è inoltre evidente nei processi politici in corso: dietro pressione della comunità internazionale per l’organizzazione di elezioni presidenziali e parlamentari, i politici più in vista della scena politica libica continuano a cercare di prendere tempo per incrementare la propria influenza. Sanno di avere scarso appoggio popolare e non vogliono rischiare di perdere il potere in elezioni democratiche. La Camera dei Rappresentati basata a Tobruk, nell’est della Libia, e l’Alto Consiglio di Stato a Tripoli stavano nominalmente negoziando l’organizzazione delle elezioni da diversi mesi, spesso ostacolando più o meno apertamente il lavoro delle Nazioni Unite.

Dopo l’ennesimo fallimento dei negoziati fra le due istituzioni rivali, avvenuto nel mese di giugno in Marocco, il dialogo tra il presidente della Camera dei Rappresentanti Aguila Saleh e il presidente dell’Alto Consiglio di Stato Khaled Mishri si è spostato a sorpresa verso un nuovo obiettivo: la costituzione di un nuovo governo di unità come precondizione per le elezioni[9]. In principio la missione Onu in Libia ha accolto la proposta con scetticismo: la costituzione di un nuovo governo di unità non è di certo un processo politico di facile attuazione. La proposta è apparsa come l’ennesima tattica dilatoria, oltre che un malcelato tentativo di scalzare Dbeibah dal posto di primo ministro. Nelle settimane successive Mishri e Saleh si sono mostrati sempre più critici nei confronti di Dbeibah. Poi anche Haftar ha dichiarato di sostenere la proposta di un governo ad interim.

Gli eventi in Libia hanno preso un’altra piega nel mese di agosto, quando l’Alto Consiglio di Stato ha eletto un nuovo presidente, Mohammed Takala, che ha così scalzato dal potere Mishri, che guidava questa istituzione dal 2018. L’inaspettata sconfitta di Mishri in una votazione interna all’Alto Consiglio di Stato rappresenta sul corto raggio una vittoria per Dbeibah: Mishri era diventato uno dei suoi principali detrattori nelle fila delle istituzioni dell’ovest, e con la sua uscita di scena i colloqui tra l’Alto Consiglio di Stato e la Camera dei Rappresentanti per la costituzione di un governo di unità sono sostanzialmente tornati al punto di partenza. Dbeibah ha forse giocato un ruolo importante dietro le quinte per estromettere Mishri dalla guida dell’Alto Consiglio di Stato: secondo indiscrezioni avrebbe utilizzato soldi pubblici per promuovere candidati rivali[13]. Va comunque sottolineato che Takala non è un suo uomo: in passato, infatti, Takala aveva prestato il suo supporto a un altro acerrimo rivale dell’attuale primo ministro.

Il cambio di presidenza dell’Alto Consiglio di Stato richiede in ogni caso un periodo di assestamento prima della ripresa dei negoziati con la Camera dei Rappresentanti. La prospettiva di elezioni nel 2023 è così definitivamente sfumata. Anche la costituzione di un nuovo governo di unità appare difficile sul corto raggio. In questo contesto, la posizione di Saleh a Tobruk non sembra più sicura come in passato: ci sono ormai dubbi sui rapporti fra Saleh e Haftar, nonostante il presidente della Camera dei Rappresentanti e l’uomo forte dell’est siano nominalmente alleati[15]. Questi sviluppi sono indicativi di quanto la scena politica libica rimanga fluida e suscettibile a rapidi capovolgimenti.

In parallelo continua il dialogo informale a porte chiuse tra Dbeibah e Haftar, che include come principali interlocutori delle due parti un nipote di Dbeibah, Ibrahim, e uno dei figli di Haftar, Saddam. Con la mediazione degli Emirati Arabi Uniti questo dialogo ha portato nel luglio 2022 a un tacito accordo sulla ripartizione dei proventi del petrolio tra le autorità dell’est e dell’ovest[16] (in precedenza, Haftar aveva più volte bloccato le esportazioni di petrolio dell’est per fare pressione su Tripoli). L’accordo tra Dbeibah e Haftar ha permesso la piena ripresa delle esportazioni di idrocarburi della Libia, rendendo possibile un periodo di forte crescita economica e relativa stabilità.

Ma recentemente Haftar ha messo in dubbio l’accordo con Tripoli, sostenendo che la ripartizione dei proventi del petrolio non è stata sufficientemente equa. Il 3 luglio il generale ha minacciato di intraprendere una nuova azione militare qualora le autorità di Tripoli non avessero provveduto a costituire un “alto comitato finanziario” per la sovrintendenza della distribuzione delle entrate petrolifere entro la fine di agosto. Tre giorni dopo le autorità di Tripoli hanno deciso di istituire l’Alto comitato finanziario richiesto da Haftar: il nuovo organo comprende membri delle principali istituzioni libiche, fra cui la Camera dei Rappresentanti, l’Alto Consiglio di Stato e il governo di Tripoli[19]. Sia Haftar sia Dbeibah hanno ottenuto la nomina di loro uomini di fiducia.

Le tensioni, tuttavia, non si sono attenuate. L’11 luglio il rapimento di un ex ministro delle Finanze dopo il suo arrivo all’aeroporto internazionale di Tripoli ha provocato manifestazioni di protesta in due dei principali giacimenti petroliferi della Libia, Sharara ed El-Feel, entrambi sotto il controllo di forze di Haftar. L’ex ministro Faraj Bumatari è uno dei possibili candidati alla presidenza della Banca centrale: il suo sequestro e la conseguente chiusura dei giacimenti sembrano essere legati a dissidi sulla possibile nomina di un nuovo presidente della Banca centrale. In ogni caso, il rilascio di Bumatari il 16 luglio ha portato a una ripresa delle operazioni nei giacimenti petroliferi di Sharara ed El Feel.

In un altro importante sviluppo, Haftar ha nominato suo figlio Saddam a capo di una nuova potente divisione dell’Esercito nazionale libico, costituito dall’unione di alcuni dei principali distaccamenti militari preesistenti[21]. La mossa ha ulteriormente consolidato il potere della famiglia Haftar nell’est della Libia.

Contestualmente, la Banca centrale libica ha annunciato di essersi riunificata dopo quasi un decennio di divisione.  Era dal 2014 che le autorità dell’est della Libia utilizzavano una Banca centrale parallela con sede a Bengasi. Le autorità rivali dell’est e dell’ovest della Libia hanno approvato la riunificazione delle due filiali, che è giunta dopo un processo durato 19 mesi, sotto la supervisione della società di contabilità Deloitte. La Banca centrale di Tripoli ha mantenuto negli anni la responsabilità per la distribuzione delle entrate petrolifere tra le diverse istituzioni statali. La riunificazione con la filiale di Bengasi suggerisce un allentamento del braccio di ferro tra Dbeibah e Haftar.

Anche se la riunificazione della Banca centrale rappresenta uno sviluppo apparentemente positivo, il dialogo fra Dbeibah e Haftar ha chiari limiti: se i due leader hanno dimostrato più volte di potersi mettere d’accordo su decisioni istituzionali volte a facilitare la ripartizione dei proventi del petrolio è comunque improbabile che riescano a raggiungere un compromesso per formare un governo di unità con un ruolo per entrambi. È inoltre evidente che Haftar sarebbe pronto a far cadere il governo di Dbeibah qualora le circostanze lo rendessero possibile. Nei prossimi mesi sono quindi probabili altri importanti cambiamenti sulla scena politica libica, nel contesto di rivalità e trattative per un nuovo governo ad interim e in vista di possibili (anche se improbabili) elezioni.

Mentre i leader libici si contendono il controllo delle istituzioni, i traffici illeciti e gli abusi contro migranti e richiedenti asilo si stanno aggravando. Un recente rapporto sulle economie illecite in Libia ha stabilito che l’Esercito nazionale libico di Haftar è sempre più coinvolto in traffici di carburante, droga ed esseri umani[24]. Nell’ovest della Libia, invece, il controllo dei traffici illeciti è frammentato tra diversi gruppi armati rivali, che hanno acquisito monopoli semi-stabili in diversi settori; alcuni dei loro leader hanno ottenuto posizioni di rilievo nelle istituzioni libiche, come nel caso del ministro degli Interni Emad al-Trabelsi. Un’inchiesta congiunta di Der Spiegel ed El País ha poi rivelato il ruolo delle forze di Haftar nel naufragio di Pylos, in Grecia, che ha provocato la morte di circa 600 persone lo scorso giugno: la brigata Tariq Ben Zeyad e l’unità degli “uomini rana” della Marina libica, in particolare, sarebbero coinvolte nel traffico di migranti e richiedenti asilo[26]. Entrambe sono sotto il controllo di Haftar e del figlio Saddam. La brigata Tariq Ben Zeyad, già accusata ripetutamente di crimini di guerra da Amnesty International e altre organizzazioni è fra l’altro diventata responsabile anche dell’intercettazione di migranti, dopo accordi informali tra Haftar e governi europei. Questo starebbe a indicare che la brigata Tariq Ben Zeyad guadagna due volte, sul traffico di migranti e sul controllo delle frontiere marittime..”.

La Libia, dodici anni dopo la sciagurata guerra voluta dalla Francia, sostenuta dagli Usa, subita dall’Italia: uno Stato fallito, dove a dettar legge sono milizie e tribù in armi, spesso in combutta con i trafficanti di esseri umani. Un paese spaccato in due. Che neanche un ciclone che ha spazzato via interi villaggi e città, come Derna, ha riunificato. 

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