Nagorno-Karabakh la pulizia etnica contro gli armeni mentre il mondo tace
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Nagorno-Karabakh la pulizia etnica contro gli armeni mentre il mondo tace

Sono ormai oltre 100mila in fuga, oltre il confine dell’Armenia: il disegno di pulizia etnica del Nagorno-Karabakh è evidente realtà.

Nagorno-Karabakh  la pulizia etnica contro gli armeni mentre il mondo tace
La fuga degli armeni dal
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Settembre 2023 - 17.51


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Nel silenzio complice della comunità internazionale, il Nagorno- Karabakh muore. Cancellato dalle armate azere. 

Pulizia etnica 

Scrive Luca Geronico per Avvenire: “Sono ormai oltre 100mila in fuga, oltre il confine dell’Armenia: il disegno di pulizia etnica del Nagorno-Karabakh è evidente realtà. Dopo l’«operazione anti-terrorismo» realizzata in 24 ore di furiosi bombardamenti dall’Azerbaigian, che hanno risolto il “conflitto congelato” da oltre 30 anni, l’ordine di evacuazione forzata della popolazione civile prosegue inesorabile. Macchine malconce, autobus e trattori stracolmi: tutto serve a fuggire con solo quello che si ha addosso attraverso corridoio di Lachin riaperto dopo nove mesi di blocco messo in atto dalle forze di Baku. Restrizioni «contro il terrorismo» nella vergognosa inazione della comunità internazionale. Il governo di Erevan ora manda dei bus per accogliere i profughi, ma alla frontiera il generale Levon Mnatsakanyan, ex comandante delle forze separatiste armene, è fermato ed arrestato: pure lui, come l’ex premier Vardanyan, accusato di terrorismo.

L’allarme parte dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) Filippo Grandi per il numero di sfollati superiore a 100mila persone” è grande. “Molti sono affamati, esausti e hanno bisogno di assistenza immediata”, ha sottolineato Grandi sui social, dove ha riferito che, nonostante l’Unhcr e altre organizzazioni abbiano intensificato il loro sostegno all’Armenia, “l’aiuto internazionale è necessario urgentemente”.  

Erano 120mila gli armeni dell’enclave contesa e che non ne resterà nessuno nel giro di pochi giorni lo confermano indirettamente le Nazioni Unite: «Siamo pronti a far fronte a più 120mila persone: è molti difficile dire quanti alla fine si troveranno in questa situazione» afferma Kavita Belani, rappresentante Acnur in Armenia. «Dopo nove mesi di blocco, saranno pieni di ansia, spaventati e vorranno delle risposte», aggiunge. E una missione Onu arriverà in Nagorno-Karabakh questo fine settimana: è la prima da 30 anni. Emergenza per cui anche Caritas Italiana è mobilitata «con la Caritas locale, per far fronte alle prime necessità», afferma il direttore don Marco Pagniello. Si prevede che alla fine saranno almeno 40mila gli armeni che, senza parenti che possano ospitarli, necessiteranno di un alloggio. Emergenza umanitaria e ricerca di pesantissime responsabilità politiche: «Avevamo avvertito la comunità internazionale che sarebbe avvenuto» denuncia il premier armeno Nikol Pashinyan. Ma sono in molti nella diaspora armena a denunciare come prima causa della fine del Nagorno-Karabakh la sua irresponsabile condotta politica. L’attacco dell’Azerbaigian, con uno strapotere di uomini e mezzi rispetto alle forze dell’autoproclamata repubblica del Nagorno, è avvenuto mentre gli armeni partecipavano per la prima volta ad una esercitazione con un contingente statunitense.

Un allontanamento graduale dal 2018, cioè da quando il governo di Erevan ha guardato sempre più insistentemente a Occidente irritando la Russia, suo tradizionale alleato e garante. Un “giro di boa” diplomatico ma senza avere maturato necessarie garanzie di aiuti da parte di Washington. Uno strappo ormai insanabile: ieri il ministro della Difesa armeno Suren Papikyan ha disertato la riunione dei ministri della Difesa dei Paesi della Csi in corso a Tula, in Russia. Dopo che il contingente di pace di 2mila soldati russi, dal 2020 schierato in Nagorno-Karabakh non ha fatto nessuna resistenza all’operazione degli azeri, l’isolamento dell’Armenia nella regione appare evidente. «Dato che la missione è ora sul territorio dell’Azerbaigian, questo sarà oggetto della nostra discussione con la parte azera» ha fatto sapere il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov preannunciando di fatto un prossimo disimpegno totale della Russia. Il voto di condanna del Parlamento europeo non darà certezze all’Armenia che ora, sempre più stretta fra Azerbaigian e Turchia, potrebbe essere oggetto di nuove rivendicazioni territoriali. Dall’Aia il procuratore del Tpi Moreno Ocamo parla di «genocidio». E di certo sarà pure “genocidio culturale” contro le testimonianze culturali dei cristiani del Nagorno-Karabakh”.

Così Mariano Giustino per HuffPost: “Temono per il loro futuro e stanno ora compiendo un tragico esodo di massa dalla loro patria verso l’Armenia. L’esodo degli armeni del Nagorno Karabakh ricorda quello scritto nella Bibbia.

Il Signore disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo inEgittoe ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire verso un paese bello e spazioso dove scorre latte e miele.

L’appello di Papa Francesco

Sulle notizie preoccupanti giunte dal Nagorno-Karabakh si è soffermato anche Papa Francesco. Durante l’udienza generale dello scorso 20 settembre, il Pontefice ha ricordato che “la già critica situazione umanitaria è ora aggravata da ulteriori scontri armati”. Il Papa ha rivolto un accorato appello “a tutte le parti in causa e alla Comunità internazionale, affinché tacciano le armi e si compia ogni sforzo per trovare soluzioni pacifiche per il bene delle persone e il rispetto della dignità umana”.

Testimonianze dall’inferno

Ne scrive, in un bel reportage, Sabato Angieri, inviato de il Manifesto a Goris (confine Armeno-Azero): «Nei prossimi giorni non rimarranno armeni nel Nagorno-Karabakh», ha dichiarato il premier armeno, Nikol Pashinyan, ieri. Alla frontiera l’afflusso di mezzi stipati di persone in fuga da Stepanakert e dagli altri centri dell’Artsakh non si è interrotto per un istante e, anzi, si è verificato l’aumento esponenziale previsto a inizio settimana.

Alle 8 del mattino di ieri, e in soli quattro giorni, si è raggiunta la cifra di 65.036 sfollati armeni del Nagorno-Karabakh passati attraverso la frontiera armena. Oltre metà della popolazione dell’enclave indipendentista armena prima dell’ultima offensiva azera.

A Kornidzor, il piccolo campo con quattro tendoni della Croce rossa non basta più, il flusso umano ha completamente soverchiato le capacità del centro. Oltre 20mila persone affamate, spaurite e in molti casi bisognose di cure, in sole 24 ore hanno convinto le autorità a rimodulare l’accoglienza.

Ieri al tramonto per la prima volta dall’inizio della crisi si potevano vedere persone camminare sperdute per il centro di Goris, diventato il nuovo punto di primo contatto. «Di cosa avete bisogno di più?», chiediamo a un volontario con la pettorina bianca crociata di rosso. «Tempo. Guardate da soli quanta gente c’è, sappiamo solo che dobbiamo trovare un modo per far mangiare tutti, farli dormire al caldo e farli sentire accolti…sono nostri fratelli e sorelle».

Un ragazzino, forse neanche quattordicenne, ci ascolta con gravità mentre parliamo, alla fine dell’intervista un uomo (forse il padre) richiama l’attenzione del coordinatore dei volontari. Il giovane si nasconde a metà dietro l’uomo, diventa un po’ rosso. «No, sei troppo giovane, non posso farti fare il volontario, dai una mano ai tuoi piuttosto».

A metà giornata le agenzie di tutto il mondo battono un comunicato: «Samvel Shahramanyan, presidente della repubblica non riconosciuta dell’Artsakh, ha firmato un decreto sullo scioglimento dell’entità indipendentista armena della regione».

Tutti aspettavano una comunicazione ufficiale, ma il desiderio che nelle trattative in corso con l’Azerbaigian si trovasse una formula che almeno lasciasse aperto uno spiraglio alla più irrazionale speranza non era mai morto. La dichiarazione di Shahramanyan l’ha troncato di netto.

«1) Sciogliere tutte le istituzioni e le organizzazioni statali sotto la loro subordinazione dipartimentale entro il 1° gennaio 2024 e la Repubblica del Nagorno-Karabakh (Artsakh) cessa di esistere; 2) La popolazione del Nagorno-Karabakh, compresa quella che si trova al di fuori della Repubblica, dopo l’entrata in vigore del presente Decreto, si familiarizza con le condizioni di reintegrazione presentate dalla Repubblica dell’Azerbaigian, al fine di prendere una decisione indipendente e individuale in futuro sulla possibilità di rimanere (tornare) in Nagorno-Karabakh».

Il comunicato termina con una frase che sembra voler dire «non vi state sbagliando, è finita»: «Il presente decreto entra in vigore subito dopo la pubblicazione».

David scorre con il dito sullo schermo dello smartphone, sta leggendo il testo del comunicato e i commenti di parte armena. «Quindi è ufficiale?», chiediamo. «Da quando abbiamo rifiutato di combattere non c’era altra fine possibile». Poi si ferma, laconico, guarda per terra: «Spero che qualcuno a Erevan sappia cosa stanno facendo…ora restiamo solo noi».

Anche lui, come tantissimi qui, pensa a Syunik, all’eventualità che l’Azerbaigian non si accontenti di aver riconquistato il Nagorno-Karabakh ma attacchi il territorio armeno per aprire il cosiddetto «corridoio di Zangezur» e collegare il grosso del territorio azero con l’exclave del Nakhchivan. Poi mostra un altro messaggio dal telefono: «Il ‘Comitato nazionale’ dell’opposizione ha dato segni di vita. Ha indetto una protesta per il 30 settembre alle 17».

«Parteciperai?». «Alcuni capi di queste manifestazioni sono i vecchi politici corrotti che ritornano, quelli legati a Mosca. Nessuno vuole più Pashinyan, nessuno. Ma al momento non sembra ci sia alcuna figura politica in grado di sostituirlo. Tra gli ultranazionalisti, i filo-russi e chi è solo stanco di tutta questa merda non saprei che dirti». Ma Mosca nella regione è l’unica che può difendervi davvero, obiettiamo. «Si è visto come ci hanno difeso. Russia o Turchia non fa differenza, te lo dico io. Se dovessero attaccarci vorrà dire che si sono messi d’accordo a priori».

Intanto, da Mosca, il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, giudica «estremamente ostile» nei confronti di Mosca «la decisione di Erevan di ratificare lo Statuto di Roma», il trattato sulla Corte penale internazionale (l’istituzione che ha emesso un mandato d’arresto per Putin).

Ma l’Armenia propone un accordo bilaterale alla Russia. Anche perché, come ha ribadito Yeghishe Kirakosyan, rappresentante dell’Armenia per le questioni legali internazionali, «parlare di un possibile arresto del presidente della Federazione russa in caso di una sua visita in Armenia è irragionevole». Ma la diplomazia è in un’altra galassia rispetto a Goris, qui si sa solo una cosa: «Abbiamo perso».

Tragedia post-sovietica

Riflette Pierre Haski, direttore di France Inter, su Internazionale: “È una tragedia post-sovietica, ma anche il riflesso dell’inquietante deriva del mondo attuale. La storia racconterà la dissoluzione dell’autoproclamata repubblica di Artsakh, il Nagorno Karabakh, annunciata il 28 settembre dai suoi leader sconfitti. Ma ricorderà soprattutto una nuova pulizia etnica di massa, pratica medievale che va avanti di guerra in guerra.  

Le immagini dell’esodo degli armeni dall’enclave del Nagorno Karabakh, riprese dall’esercito azero, sono sconvolgenti. Più della metà dei 120mila abitanti del territorio sono già diretti verso l’Armenia, l’unico rifugio possibile. Queste persone si lasciano alle spalle tutto, con la certezza che non potranno mai tornare a casa. 

Ancora qualche giorno e senza dubbio saranno partiti tutti, perché nemmeno un singolo armeno vorrà restare sotto il dominio azero. Così la pulizia etnica sarà compiuta, segnando una tragica regressione che niente e nessuno, nel contesto attuale, può fermare. 

Un fallimento totale
La settimana scorsa, in 24 ore di combattimenti, l’Azerbaigian ha riconquistato il controllo dell’enclave che gli sfuggiva da tre decenni. Baku ha utilizzato la forza in un momento in cui non esistono più né gendarmi internazionali né arbitri dei conflitti. 

Quanto accaduto è il prodotto di una tensione secolare che in epoca sovietica era stata congelata, prima di risvegliarsi con la fine dell’Unione Sovietica. La vicenda riguarda la storia, ma anche la geografia e un groviglio di popoli che ignora le frontiere. 

Alla fine degli anni ottanta la morsa sovietica si è indebolita, e nel 1991 l’Unione Sovietica è crollata. È allora che sono riesplosi i vecchi conflitti, con le rivendicazioni territoriali di Armenia e Azerbaigian, che hanno provocato una guerra e un primo esodo. Secondo gli storici all’epoca si è verificata la partenza in massa di duecentomila azeri che vivevano in Armenia e trecentomila armeni residenti in Azerbaigian. 

Nel 1994, dopo la vittoria bellica dell’Armenia, altre centinaia di migliaia di azeri e curdi sono stati costretti a fuggire dai villaggi del Nagorno Karabakh, diventando profughi in Azerbaigian. Fino al 2020 e alla prima vittoria di Baku. Queste vite sconvolte dalle guerre rappresentano la vera tragedia di un mondo che non ha saputo fare passi avanti e permettere la coesistenza di popoli diversi. È stato un fallimento totale. 

Siamo davanti alla fine di questa vicenda? Purtroppo è lecito temere che non sia così. La mappa della regione presenta altre aree calde. L’Azerbaigian controlla anche un’enclave popolata da azeri, il Naxçıvan, nel sud dell’Armenia, vicino al confine con la Turchia. Il governo di Baku pretende l’apertura di un corridoio per collegare i due territori, che dovrebbe passare sul suolo armeno e costeggiare l’Iran. Se gli azeri cercheranno di sfruttare la loro superiorità militare per ottenere questo passaggio, il rischio evidente è quello di una nuova guerra. 

In questo contesto il ruolo dell’Iran è piuttosto interessante: la Repubblica islamica è infatti vicina all’Armenia contro l’Azerbaigian musulmano. La spiegazione è legata alla presenza di una forte minoranza azera in Iran – fino a un quarto della popolazione – e al sostegno di Israele a Baku. 

Questa complessità umana, geografica e strategica rende la regione una terra di conflitto. La pulizia etnica fa parte dell’arsenale di guerra. Ora bisognerà ricostruire un equilibrio per scongiurare un nuovo conflitto”.

Il “sultano” approva

Il presidente turco Recep Tayyp Erdogansi è detto “orgoglioso del fatto che l’Azerbaigian abbia portato avanti in tempi brevi e con il massimo rispetto per i civili” l’operazione militare in Nagorno Karabakhfinalizzata a reintegrare nello Stato azero la regione amministrativa speciale con popolazione a maggioranza armena.

In visita nell’exclave armena del Nakhchivan per l’inaugurazione di un nuovo gasdotto e di un complesso militare, Erdogan si è complimentato con l’omologo azero Ilham Aliyev per aver aperto “nuove possibilità verso una normalizzazione degli equilibri” nella regione.

La Turchia è uno storico alleato dell’Azerbaigian e lo stesso Aliyev ha ringraziato Erdogan per il sostegno ricevuto da Ankara per l'”operazione antiterrorismo”, definizione soft che maschera la pulizia etnica condotta contro gli armeni nel Nagorno Karabakh. D’altronde, di pulizie etniche Erdogan se ne intende e le pratica. Contro i curdi nel Rojava curdosiriano, ad esempio. 

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