Un criminale, di guerra e non solo, che vuole essere “graziato” senza essere prima giudicato colpevole. Una pretesa degna del peggiore autocrate. E indegna, se accettata, di quella che continua a ritenersi l’unica democrazia in Medio Oriente.
Un “condono condizionato” per Netanyahu? Il presidente israeliano farebbe bene a dire di no
Annota Ravit Hecht su Haaretz: “Il presidente Isaac Herzog non accetterà la richiesta di grazia presentata da Benjamin Netanyahu nella forma in cui è stata presentata. Non farà nulla che possa consentire una “riforma” della magistratura o contraddire il parere del Dipartimento Grazia del Ministero della Giustizia, che si consulterà con la procura dello Stato che ha incriminato Netanyahu.
Herzog non si opporrà nemmeno al parere del suo consulente legale. Non accoglierà la richiesta di Netanyahu, che in realtà non è una richiesta di grazia, ma una richiesta senza precedenti di ottenere il privilegio di sospendere il suo processo per corruzione. Allo stesso tempo, è chiaro che Herzog sta cercando di porre fine alla saga del processo a Netanyahu, un risultato che molti in entrambi gli schieramenti politici vorrebbero vedere realizzarsi.
Questi due poli creano un ampio spazio amorfo, una sorta di entità chiamata “grazia condizionale”, che dovrebbe essere sottoposta a un severo esame presso l’Alta Corte di Giustizia. Oltre alle varie domande che una situazione del genere solleverebbe, come ad esempio se il processo continuerebbe durante la fase condizionale, la domanda principale è: quale sarebbe effettivamente la condizione? Cosa dovrebbe offrire Netanyahu in cambio della sospensione del suo processo? Il primo ministro ha già avviato i negoziati relativi alla sua sfacciata richiesta quando ha lasciato intendere che la sospensione del suo processo potrebbe fermare la legislazione aggressiva contro la magistratura e i media. Non sarebbe azzardato chiedersi se la recente intensificazione degli attacchi contro queste due istituzioni, fiore all’occhiello del campo democratico, sia stata progettata per ottenere un prezzo più alto in cambio.
Ma questo non funzionerà con il presidente. Come minimo, se Netanyahu vuole la grazia, deve consentire una commissione d’inchiesta statale per indagare sugli eventi del 7 ottobre e ammettere una certa responsabilità per le azioni per cui è stato processato. (La grazia, ovviamente, va a un criminale che riconosce i propri errori).
Anche se Netanyahu sta dicendo all’ala destra che non accetterà tali richieste, per lui questo sarebbe un ottimo affare. Come raccomandato dai suoi stretti collaboratori, porrebbe fine al processo ed eviterebbe una condanna nel caso dei “regali sontuosi”, dove una condanna è considerata piuttosto probabile. Un accordo del genere, in cui ammetterebbe la propria colpevolezza, abbandonerebbe il tentativo di indebolire la magistratura e sosterrebbe l’istituzione di una commissione d’inchiesta statale, è un buon affare? Potrebbe salvare Israele dalla sua terribile situazione? No.
Herzog, che la storia ha posto in un momento critico con un potere considerevole, sa forse meglio di chiunque altro che qualsiasi accordo con Netanyahu non vale la carta su cui è scritto e che ogni stretta di mano con lui ha un risultato certo: la perdita di un dito.
Ancora più importante, il messaggio che qualsiasi politico potente può dirottare i sistemi governativi o altri sistemi critici, promuovendo al contempo incitamenti sconsiderati contro di essi per motivi personali, è un messaggio molto pericoloso. Istituire una commissione d’inchiesta statale per indagare su orrori come quello del 7 ottobre non è un favore concesso in cambio di qualcosa. È un obbligo dello Stato nei confronti di tutte le vittime e delle loro famiglie e il minimo riconoscimento della sua responsabilità per il loro destino.
Netanyahu sta dimostrando che intende ampliare la sua gamma di metodi per consolidare il suo potere e intensificare il tentativo di minare la magistratura; ora sta aumentando il suo controllo sulle agenzie di sicurezza. Come dimostra ogni giorno, se rimarrà al potere, lo farà a tutti i costi.
La strada maestra per annullare il processo a Netanyahu è il tradizionale patteggiamento. E qualsiasi grazia deve insistere su un principio: ritirarsi dalla vita pubblica e smettere di distruggere le istituzioni dello Stato. In caso contrario, che il processo continui”, conclude Hecht.
Netanyahu, spalleggiato dall’amico Trump, non lo accetterà mai.
La richiesta di grazia di Netanyahu non è riconciliazione, è una resa dei conti per la democrazia israeliana
A spiegarlo molto bene, sempre sul quotidiano progressista di Tel Aviv, è Nehemia Shtrasler.
Osserva Shtrasler: “La sfacciataggine del primo ministro Benjamin Netanyahu è senza limiti. È anche convinto che siamo tutti stupidi. Non c’è altra spiegazione per la breve lettera che ha allegato alla richiesta di grazia presentata al presidente Isaac Herzog, una lettera piena di bugie, inganni e frodi.
In essa spiega che la richiesta è un enorme sacrificio da parte sua: “Il mio interesse personale è quello di condurre il processo e dimostrare la mia innocenza fino alla completa assoluzione”. Ma è disposto a rinunciare all’assoluzione in nome dell’“interesse pubblico”. Un martire convinto che abbiamo dimenticato che egli mette sempre i suoi interessi personali (potere, onore, denaro e annullamento del processo) ben al di sopra dell’interesse pubblico.
In seguito, si presenta come qualcuno il cui unico desiderio è quello di “raggiungere la riconciliazione tra le parti della nazione”. Madre Teresa avrebbe potuto prendere appunti. Dice addirittura: “Non ho alcun dubbio che porre fine al processo contribuirà a placare le fiamme del dibattito che lo circonda”. In altre parole, la persona che ha appiccato il fuoco improvvisamente vuole spegnerlo. Colui che ha creato una frattura nella nazione, propagato l’odio e attivato la macchina del veleno vuole essere il grande conciliatore.
Ma anche dopo la sua ripugnante lettera e la richiesta di grazia, che non è altro che una richiesta di annullare il suo processo, è giusto adottare un approccio di yikov hadin et hahar – “la legge deve essere applicata senza pietà, senza flessibilità e senza concessioni” – e chiedere la continuazione del processo fino alla sua conclusione?
Chiunque lo richieda considera qualsiasi compromesso come una bancarotta morale e la fine dello Stato di diritto. Chiunque voglia continuare il processo fino alla sentenza è anche sicuro che Netanyahu sarà condannato, ma questo non è affatto certo.
È impossibile sapere cosa decideranno i giudici del tribunale distrettuale e cosa accadrà durante il ricorso alla Corte Suprema. Dopo tutto, gli attacchi contro i giudici non faranno che peggiorare e non c’è modo di sapere cosa accadrà quando continueranno ad assorbire i colpi malvagi, le minacce e i torrenti di odio.
Da un lato, è chiaro che se l’imputato fosse certo di essere assolto da tutte le accuse, non chiederebbe la grazia. In altre parole, c’è incertezza da entrambe le parti, e c’è anche il forte desiderio dell’opinione pubblica di uscire dal caos e porre fine alla distruzione dei sistemi giudiziario e democratico.
Il problema è che Netanyahu non ha effettivamente presentato una richiesta di grazia, ma piuttosto una richiesta di porre fine al processo qui e ora, senza ammettere nulla né esprimere rimorso. Ecco perché la grazia è impossibile. Sarà possibile solo se confesserà alcune delle accuse, quelle relative alla frode e all’abuso di fiducia, e a condizione che, in cambio della fine del processo, gli venga vietato di fare politica per almeno sette anni.
Coloro che si oppongono a un accordo del genere sembrano dimenticare l’enorme danno che Netanyahu ci ha causato dall’inizio delle indagini sui reati per cui è sotto processo. Ha minato la polizia, la Procura dello Stato, i tribunali e i media.
L’ex procuratore generale e giudice della Corte Suprema Menachem Mazuz ha affermato che le azioni di Netanyahu “erano volte a distruggere le istituzioni giuridiche, creando un pericolo concreto: il crollo della democrazia israeliana”. Se non raggiungeremo un patteggiamento, la distruzione che egli propaga continuerà ad aumentare fino a quel momento.
Già quattro anni fa, nel gennaio 2022, l’ex procuratore generale e giudice della Corte Suprema Prof. Aharon Barak si era rivolto all’allora procuratore generale Avichai Mendelblit (su richiesta di Netanyahu) per promuovere un patteggiamento con la motivazione che dovevamo “ricomporre la frattura nella nazione”. Anche allora, come oggi, c’era una forte opposizione a un accordo.
Ma immaginate quanto avremmo guadagnato se Netanyahu fosse scomparso dalle nostre vite già nel 2022. Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich non sarebbero stati nominati membri del gabinetto, la riforma giudiziaria non sarebbe stata avviata e un leader diverso, che ha a cuore il Paese, avrebbe chiesto, indagato e forse impedito il 7 ottobre.
Sebbene sia vero che porre fine al processo in cambio di un’ammissione di colpa e di una pausa forzata di sette anni dalla politica non sia l’epitome della giustizia, nella vita è più importante essere intelligenti che avere ragione. Bisogna anche sapere quando limitare le perdite, prima che crescano e rovinino tutto. L’interesse pubblico è- conclude Shrasler – quello di salvare Israele dalle mani malvagie dell’uomo più spregevole nella storia del popolo ebraico”.
Mani sporche di sangue
Da una nota ufficiale dell’Unicef: “Secondo le notizie, a Gaza, dal 10 ottobre, quando il mondo sperava che la violenza incessante e l’angoscia di oltre un milione di bambini potessero finire, sono stati uccisi più di 70 bambini. Il cessate il fuoco deve tradursi in una reale sicurezza per i bambini, non in ulteriori perdite. Ogni bambino ha il diritto di vivere. L’uccisione dei bambini deve finire ora.
Secondo le notizie, lo scorso sabato due fratelli, di 8 e 11 anni, sono stati uccisi mentre andavano a prendere la legna per tenere al caldo le loro famiglie. Mercoledì altri due bambini, di 8 e 10 anni, sono stati uccisi nelle loro tende improvvisate. Queste non sono statistiche. Questi erano bambini, che dovrebbero giocare, studiare, sognare un futuro”.
E c’è chi osa, senza arrossire di vergogna, chiamarla pace. E oscurare la mattanza di Gaza perché il “piano Trump” sta funzionando.
Su questo occorrerebbe una rivolta morale, non solo professionale, di chi opera nel campo della comunicazione. La stampa mainstream non vedeva l’ora di cancellare Gaza, e i crimini d’Israele, dalle prime pagine o dai titoli dei Tg. Il” piano Trump” è funzionale a questo. Monda le coscienze, fa dire che, sia pure con mille difficoltà, la situazione a Gaza è migliorata. Andassero a dirlo ai 2milini di gazawi che sotto diluvi incessanti e un freddo glaciale vivono in tende sulle macerie di quelle che erano state le loro case.
Questa sarebbe “pace”. E pace esisterebbe nella Cisgiordania violentata dalle squadracce fasciste dei coloni, supportate dall’esercito israeliano?
Quella in atto è un tentativo di rimozione collettiva che oggi si arricchiusce (sic) di un’altra pagina nefanda: la presentazione di quattro disegni di legge (di maggioranza e di alcuni parlamentari dem) che fanno propria la definizione di antisemitismo elaborata molti anni fa dall’Ihra – International holocaust remembrance alleance – che qualifica come antisemita ogni critica radicale ( senza definire cosa sia “radicale”) a Israele e verso il sionismo quale sua ideologia fondativa.
Se diventerà legge, ciò vorrà dire che chiunque critichi Israele è antisemita, e come tale può essere perseguito, penalmente o per via amministrativa.
A questo siamo arrivati. Una ignominia da stato di polizia, un attacco frontale alla libertà di espressione.
Netanyahu plaude. Da Gasparri e soci ce lo saremmo aspettati. Ma da parlamentari di un partito progressista e di sinistra…
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