Nelle stanze luminose del Palazzo Europa la frase di António Costa continua a rimbalzare con un’eco inedita: «Non possiamo accettare la minaccia di interferenze nella politica europea». Non è solo un monito, né la solita schermaglia diplomatica: è la spia di una crescente inquietudine dentro le istituzioni dell’Unione. La sensazione, sempre più condivisa, è che l’Europa stia entrando in una fase in cui due potenze esterne — gli Stati Uniti guidati da Donald Trump e la Russia di Vladimir Putin — stiano spingendo nella stessa direzione, alimentando l’ascesa dei movimenti nazionalisti e sovranisti di estrema destra con venature fasciste e naziste.
Il punto di rottura è arrivato quando la nuova strategia di sicurezza nazionale americana ha riservato parole insolitamente benevole ai cosiddetti “movimenti patriottici” europei. Una definizione che, sul piano della retorica, appare inoffensiva, ma che nei fatti indica una costellazione politica ben precisa: formazioni spesso attraversate da nostalgie fasciste, da pulsioni neonaziste come nel caso dell’AfD tedesca, da una cultura politica intrisa di razzismo, omofobia e disprezzo sistematico delle minoranze.
Forze che contestano apertamente non solo l’Unione, ma l’idea stessa di democrazia liberale e che rivendicano progetti di sovranità autoritaria, con un’agenda che minaccia le basi della convivenza civile.
In molti governi dell’Unione, questa benevolenza americana viene letta come una deviazione inquietante: un inatteso sostegno internazionale a movimenti che, in più di un Paese, si sono distinti per legittimare retoriche di esclusione, attacchi ai diritti delle donne e delle persone LGBT, teorie complottiste e una visione organicista della nazione che nei momenti più gravi della storia europea ha prodotto tragedie.
Se Washington appare muoversi con una nuova assertività ideologica, Mosca è impegnata da anni in una strategia paziente, costruita attraverso canali finanziari, rapporti politici e una vasta macchina mediatica. Le inchieste internazionali hanno documentato prestiti erogati in circostanze controverse, intermediari vicini al Cremlino che hanno offerto appoggi politici e campagne di disinformazione mirate a legittimare esattamente gli stessi movimenti che oggi ricevono l’attenzione della nuova leadership americana.
Il racconto russo è coerente: un’Europa decadente, corrotta, minacciata dalla diversità e resa fragile dall’immigrazione. Una narrazione che i gruppi ultranazionalisti europei utilizzano da anni per costruire consenso.
Il pericolo percepito a Bruxelles non sta semplicemente nella somma di due interferenze esterne, ma nella loro convergenza. Un presidente americano che parla con simpatia dei movimenti “patriottici” offre a queste formazioni una legittimità istituzionale mai avuta prima. Una potenza come la Russia, che da più di un decennio le sostiene direttamente o indirettamente, trova improvvisamente un clima politico internazionale che ne amplifica gli effetti.
Due spinte diverse, ma rivolte verso lo stesso obiettivo: la crescita di forze politiche che contestano i diritti civili, rifiutano il pluralismo e promuovono modelli di società basati sulla gerarchia etnica, culturale o religiosa.
In molte capitali europee questo processo è già visibile. In Francia si rafforza una destra radicale che propone misure di discriminazione legale. In Germania l’AfD cresce nonostante le sue frange più estreme siano state più volte monitorate dai servizi di sicurezza per ideologie dichiaratamente neonaziste.
In Italia, Austria, Paesi Bassi, Ungheria e Slovacchia la retorica identitaria e anti-LGBT è diventata parte del discorso politico mainstream. In tutti questi casi, i movimenti presentati come “patriottici” si caratterizzano per un’aggressività crescente contro migranti, minoranze etniche, diritti delle donne e libertà dei media.
I funzionari europei osservano con preoccupazione un contesto in cui questi partiti non solo si rafforzano, ma si normalizzano. L’attacco ai controlli di legalità, la delegittimazione delle corti costituzionali, il tentativo di ridurre lo spazio dei media indipendenti diventano proposte politiche plausibili. Ciò che un tempo appariva come estremismo confinato ai margini della società ora si presenta come un’opzione politica rispettabile, sostenuta dall’esterno e alimentata da un clima internazionale che sembra premiare chi scardina i principi democratici più elementari.
In questo scenario, Bruxelles percepisce il rischio che l’Unione, già provata da crisi successive, entri in una fase nuova e più insidiosa: una fase in cui il progetto europeo non è soltanto sfidato dall’interno, ma schiacciato da un doppio asse esterno che sostiene, legittima e amplifica forze intenzionate a smantellare i fondamenti stessi della democrazia liberale. Una morsa che stringe lentamente e che potrebbe ridefinire il futuro politico del continente.