Presentato all’Università Statale di Milano “Canzoni da osteria”, nuovo album di Francesco Guccini
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Presentato all’Università Statale di Milano “Canzoni da osteria”, nuovo album di Francesco Guccini

E si comincia da Bella Ciao, se non ora quando, con l’omaggio alle donne iraniane che l’hanno cantata in italiano.

Presentato all’Università Statale di Milano “Canzoni da osteria”, nuovo album di Francesco Guccini
Francesco Guccini
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11 Novembre 2023 - 13.18


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di Giordano Casiraghi

Le sue canzoni ci hanno accompagnato per decenni, ma oggi che il mondo sta cambiando vertiginosamente si rischia che quei testi primordiali finiti anche nelle antologie scolastiche – da Auschwitz a Dio è morto – non vengano più letti e nemmeno ascoltati come canzoni dalle nuove generazioni. Francesco Guccini, ormai ottantatreenne, ha convocato stampa e studenti nell’Aula Magna dell’Universita statale a Milano. Stampa e televisioni allertate per accogliere il più anziano dei cantautori, forse il più grande. Tutti convenuti per salutare l’uscita del nuovo disco Canzoni da osteria, uscito per BMGesclusivamente in formato fisico.È la naturale prosecuzione di un progetto iniziato con Canzoni da intorto pubblicato esattamente un anno fa. Disco che gli è valso Disco di Platino e vincitore della Targa Tenco per la categoria “Interprete di canzoni”. Nondimeno è stato l’album fisico più venduto del 2022.

L’attesa in Aula Magna si fa lunga, Guccini si fa attendere, forse per il traffico o forse per qualche intervista personalizzata di troppo, sta di fatto che dopo un’oretta sui tempi previsti Guccini è sul palco. Prima di lui il Coro Alpino Orobica offre un assaggio di quello che il nuovo disco propone: si tratta di Bella Ciao in una interpretazione che lascia tutti rapiti. Nel disco l’interpretazione è quella di Guccini per una canzone che rappresenta gli oppressi di tutto il mondo e dappertutto viene cantata in italiano. Guccini la dedica in particolare alle donne iraniane che l’hanno cantata durante la protesta a margine della morte di Mahsa Amini picchiata a morte per non aver indossato correttamente il velo. E Guccini precisa anche che si è preso la licenza di cambiare un termine alla canzone, non più “l’invasor” ma “l’oppressor”. Sul palco a porre domande al “maestrone” della canzone italiana i professori Andrea Borghini e Maurizio Cordella, oltre al finale con una cinquina di domande da giornalisti e studenti.

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Nel corso dell’incontro durato ben oltre un’ora, Guccini ha risposto su più argomenti, l’ultimo dei quali riguardava proprio l’attuale situazione italiana e lui senza scomporsi ha risposto che si ritiene soddisfatto, anche se avrebbe cose da dire, che poi in ogni caso avendo ormai 83 anni non finirà certo in galera. Però ricorda che lo onora della sua amicizia il cardinal Matteo Maria Zuppi arcivescovo di Bologna:  «Ma si spera sempre che succeda qualcosa, per il resto sono soddisfatto». E questo soddisfatto lo ripete più volte, in maniera certamente ironica. Guccini che ricorda Bologna, anche se lui si ritiene più di Modena e adesso indissolubilmente legato a Pavana, la casa dei nonni dove ha visto arrivare gli americani che hanno liberato l’Italia insieme ai partigiani: «A proposito la canzone Bella Ciao non veniva cantata dai partigiani, semmai dalle mondine. Ebbene, a Bologna non si andava mai a letto, era una città sempre sveglia. Si passava da un posto all’altro e a ogni ora della notte potevi trovare osterie aperte per mangiare. Ricordo che quando venivano amici da Milano a trovarmi ne restavano sorpresi di questa vitalità della città». 

Essendo il titolo del disco Canzoni da osteria Guccini si sofferma su quel mondo che certamente appartiene al passato, ma tiene a precisare: «Passo come grande esperto osterie, ma non è così. Frequentavo l’osteria dei poeti che chiudeva alle otto di sera e poi venivamo cacciati via. Il nome del posto che ci aveva illusi altro non era che il cognome della famiglia dei gestori: Poeti. Avevo poi scritto Canzone delle osterie di fuori porta, ma si tratta essenzialmente di un’osteria fuori Bologna dove mi esibivo con Deborah Kooperman e un cantante greco. Ci andavamo tutte le sere almeno per un anno e mezzo. Noi preferivamo le osterie ai Whisky a Go Go dove andavano i “fighetti”. Noi ci accontentavamo di un bicchiere di vino e portavamo in questi posti frequentati da vecchietti semialcolizzati un po’ di gioventù e qualche ragazza, sempre ben vista. Ma le osterie erano anche luoghi tristi, un bicchiere di vino rosso Sangiovese e bianco Trebbiano, non c’era scelta. Insieme magari si prendeva un uovo sodo e si andava avanti per ore. Poi i vecchi gestori hanno lasciato il posto ai figli e lì sono arrivate bottiglie di vario tipo, magari ti offrivano il vino con il profumo di bosco. Altra storia, ma quelle canzoni me le ricordo ancora e ho voluto metterle in questo disco».  

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Nel disco, dopo Bella Ciao, arriva la milonga Jacinto Chiclana di Astor Piazzolla e Jorge Luis Borges, Amore dove sei di Giorgio Laneve e Marcello Minerbi con sonorità klezmer. A seguire Maria la guerza un allegro valzer, El caballo negro con incalzante arpeggio argentino, La tietache venne interpretata da Mina, Il canto dei battipali, canto di lavoro degli operai provenienti dalla laguna di Venezia, Hava nagila canzone popolare ebraica, ovviamente scelta molto prima della guerra che vede per l’ennesima volta lo scontro tra Israele e Palestina. In proposito Guccini ricorda la vignetta che Sergio Staino (applausi in sala) gli aveva confezionato per la canzone Il vecchio e il bambino, dove li si vedeva allontanarsi tenendosi per mano, il vecchio con la bandiera d’Israele e il bambino con quella palestinese. The Last Thing On My Mind di Thomas Paxton è una dolce ballata country blues, La Chacarera del 55 ci porta in argentina e qui non poteva non esserci Flaco Biondini alla chitarra. La Maduneina dal Baurgh ‘d San Pir,in dialetto, una canzone che ricorda la vecchia Bologna. È invece una canzone folk americano Cotton fields e per amore del tango, che era il ballo di quando era giovane, Guccini propone la malinconica Sur per chiudere con 21 aprile brano scritto dall’amico Alexandros Devetzoglou (presente in sala) per raccontare e far vivere nella memoria il violento colpo di stato dei colonnelli greci del 21 aprile 1967. 

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Francesco che non manca di lanciare un monito anche al Premio Tenco che non è più quello di una volta, quello di Amilcare Rambaldi e nemmeno quello guidato da Enrico De Angelis. Oggi si cerca visibilità e su quel palco non è più solo canzone d’autore. Era quello il mondo dove è cresciuto Guccini che ricorda l’esperienza del Cantacronache in opposizione all’imperante canzonetta italiana del dopoguerra che era veramente brutta. Guccini, e se lo chiede come mai, quelle canzoni orribili se le ricorda ancora, come quella della casetta in Canadà. Ma oggi Guccini è tante cose, è soprattutto scrittore di romanzi gialli insieme a Loriano Macchiavelli, è scrittore in proprio di libri che rimandano alla memoria storica di un periodo che non c’è più. Aveva iniziato con Croniche epafaniche, primo libro del 1989. Oggi andrebbero inseriti tra i testi scolastici a partire dalle medie inferiori. Non sarà così, intanto l’Aula Magna a Milano colma di studenti ha tributato affetto e stima per il cantautore italiano, il più amato di sempre.

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