Frank Sinatra: il mito di the Voice non tramonta
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Frank Sinatra: il mito di the Voice non tramonta

In questi anni Frank Sinatra è stato celebrato con mostre e concerti dappertutto. La carriera, i successi e gli amori di un’icona internazionale della musica.

Frank Sinatra: il mito di the Voice non tramonta
Frank Sinatra
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14 Maggio 2024 - 02.01


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La classe, il talento, il fascino, ma soprattutto la voce di Frank Sinatra: unica. Capace di ammaliare chi lo ascoltava trascinandolo in un vortice di emozioni tanto da fargli meritare il soprannome di “The Voice”. Una voce calda, potente, profonda, che dava alle canzoni che interpretava un valore aggiunto, rendendolo un artista apprezzato e conosciuto in tutto il mondo

Per più di 60 anni in cima alle classifiche e con 21 Grammy awards vinti, Sinatra è stato il più longevo degli artisti americani. Ha venduto 600 milioni di dischi e inciso oltre 2000 brani. Ha resistito alle mode e al cambiamento dei tempi col suo stile inimitabile e col suo swing coinvolgente, diventando col passare degli anni il crooner per antonomasia e una vera e propria icona internazionale della musica. Nato povero a Hoboken, nel New Jersey, da padre siciliano e madre ligure, appassionato di Bing Crosby, agli studi preferì la musica perciò si trasferì a New York. Fu Tommy Dorsey che gli aprì le porte verso il successo, prendendolo nella sua celebre orchestra. E fu subito boom.
Il giovane Frank sconvolse le regole del divismo fino a quel momento molto ingessate (anni 40) e divenne il primo mito (dopo di lui vennero Presley e i Beatles) dei teenagers che correvano ai suoi concerti per osannarlo.

Scene successivamente viste e riviste ma che per la prima volta si verificarono con lui. Quel giovanotto allampanato che passava da un recital all’altro fra l’entusiasmo dei fan, conquistò rapidamente anche il pubblico cinematografico. Sono stati una cinquantina i film che lo hanno visto protagonista tra cui il famoso “Da qui all’eternità” di Zinnerman che gli valse l’Oscar nel ’53 e “L’uomo dal braccio d’oro” di Preminger con cui sfiorò la statuetta. Eclettico e capace di attraversare tutti i generi dello spettacolo è fra i pochissimi che sulla “Walk of fame” di Hollywood ha tre stelle: una per la musica, una per il cinema e un’altra per la televisione per la quale ha condotto show memorabili.

Doti naturali da capo e carisma da vendere, Frank Sinatra era solito circondarsi da amici con cui condividere la social life e il lavoro. Ispirandosi così al “Rat Pack” (la banda dei topi) formato da Humphrey Bogart, Spencer Tracy e David Niven al quale aveva partecipato, radunò attorno a sé un gruppo di colleghi, i vari Dean Martin, Sammy Davis Jr., Peter Lawford, Shirley MacLaine e Joey Bishop, che iniziò a diventare molto popolare esibendosi spesso a Las Vegas, dove diventò una delle attrazioni che resero la città tra i principali poli statunitensi dell’intrattenimento. “Questo è il mondo di Frank- diceva Dean Martin- siamo già fortunati ad esserci dentro”. Il Clan sinatriano, poi ribattezzato “Rat Pack” in omaggio al gruppo dello scomparso Bogart, svolse anche un ruolo pubblico di rilievo.

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Sostenne infatti la candidatura di John F. Kennedy, cognato di Peter Lawford, alla presidenza degli Stati Uniti e giocò un ruolo importante nella lotta alla segregazione razziale negli alberghi e casinò del Nevada, evitando di frequentare quelli che si rifiutavano di servire Sammy Davis Jr. in quanto nero. Vista la popolarità del gruppo, molti locali adottarono un atteggiamento più tollerante, pur di poter vantare la presenza di ospiti così celebri. Il Rat Pack interpretò anche diversi film, tra cui “Colpo grosso” (1960) di cui c’è stato il remake con George Clooney e Brad Pit “Ocean’s Eleven” (2001), “Pepe” (1960), “Tre contro tutti” (1962), “I 4 di Chicago” (1964), quest’ultimo senza Lawford e Bishop, ma con Bing Crosby ad affiancare Sinatra, Martin e Davis Jr..

Sex simbol per più di una generazione, “Ol’ Blue Eyes” vecchi occhi azzurri come lo chiamava la stampa specializzata nelle cronache rosa e scandalistiche, ha avuto una innumerevole serie di amori celebri e tempestosi che hanno attraversato la sua vita trascorsa tra flirt con attrici e dive come Lana Turner, Judy Garland, Lauren Bacall, Juliet Prowse, Angie Dickinson, Kim Novak e Marilyn Monroe che poi presentò a Kennedy e ben quattro matrimoni alle spalle. E’ stato sposato con Nancy Barbato da cui ha avuto tre figli Nancy, Frank jr e Cristina, poi con Ava Gardner considerata la donna più bella del mondo negli anni 50, successivamente con una giovane Mia Farrow futura signora Allen e da ultimo con Barbara Blakery già moglie del più giovane dei fratelli Marx, Zeppo.

Accanto a quella sotto i riflettori c’è stata poi la vita nascosta, legata ai suoi rapporti più o meno palesi con la mafia italo americana che lo avrebbe aiutato a fare carriera. Sinatra negò sempre pubblicamente le accuse, anche durante un processo del 1981 nel quale venne chiamato a testimoniare e dal quale uscì pulito. Anche in seguito non fu mai ufficialmente incriminato per reati di tipo mafioso.

Restano comunque numerosi lati oscuri come le foto che lo ritraggono col “fan” Carlo Gambino, i rapporti amicali con Sam Giakana con cui mise a punto il progetto Las Vegas, nuova città del gioco d’azzardo e il rapimento lampo del figlio che insieme ai si dice mai realmente provati, ispirarono Mario Puzo nel tratteggiare il personaggio del cantante John Fontane ne “ll Padrino”.

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Il song book di “The Voice” è pieno di brani entrati nella storia della musica, canzoni senza tempo che hanno superato la barriera della generazione di riferimento per diventare degli evergreen intramontabili. Roba di classe, ritmata, sentimentale con cui Sinatra creava quell’appeal pop trasversale che nessuno è riuscito mai più ad eguagliare. Pezzi come “I’ve Got Under Me Skin” e “Night and Day”di Cole Porter, “The Shadow of Your Smile” di Webster, “Fly Me To The Moon” di Howard, “Come Fly With Me” di Cahn e Heusen, “That’s Life” di Gordon e Kay, “The Girl of Ipanema” di Vinicius de Moraes e Carlos Jobim, “The Lady is the Tramp” di Rogers e Hard e “New York New York” di Kander ed Ebb per citarne solo alcuni dei più noti del suo repertorio arrangiati dai fidati Nelson Rieddle, Count Basie, Don Costa e Quincy Jones.

Per non parlare poi di quei brani che hanno stradominato le classifiche mondiali. Ovvero “Somethin’ Stupid” cantato insieme alla figlia Nancy e soprattutto “Strangers in the Night” e “My Way”, i suoi capolavori, i cavalli di battaglia, il marchio di fabbrica Sinatra. Il primo del ’66, fu fondamentale per la sua carriera. Arrivò in un momento in cui il cantante, pur essendo sempre sulla cresta dell’onda, era da tempo lontano dalla chart USA per il boom dei dischi dei gruppi della British invasion. Riarrangiato da Nielson Rieddle appositamente per lui (il brano in origine era di un cantautore croato ed era stato riadattato da Bert Kaempfer per la colonna sonora di un film), “Strangers in the Night”, sconosciuti nella notte, fece subito centro rilanciandolo a livello internazionale (in Italia fu primo per dieci settimane). Celebre nel finale del pezzo l’improvvisazione di Sinatra in stile scat sulla melodia, con le sillabe «doo-be-doo-be-doo», che a furor di fan, il cantante prolungò di una decina di secondi nella versione rimasterizzata degli anni 80.

“My Way” invece (in italiano tradotta con “A modo mio”) che è diventata la canzone simbolo di “The Voice” e che lo accompagnerà fino alla fine, gli fu “cucita” addosso nel ’69 da Paul Anka, che aveva acquistato i diritti del brano originario “Comme d’habitude” da Claude Francois a Parigi. E’ la storia di un uomo che traccia un bilancio della sua vita e non ha molti rimorsi poiché ha sempre vissuto a modo suo. Il tema calzava a pennello per Sinatra, ma lui tentennava. A convincerlo fu sua figlia Nancy a cui piaceva molto quel testo che riteneva appropriato alla figura del padre, da sempre incarnazione del mito americano del self-made man. Ed ebbe ragione, perché “My Way” enfaticamente cantata dal caro e inossidabile “Ol’ Blue Eyes” accompagnato dal crescendo incalzante della musica, divenne un successo stratosferico ancora oggi riproposto in tutto il mondo.

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Dopo l’ultima trionfale tournèe in Giappone, il concerto per i Mondiali di calcio in America e la consegna del Grammy alla carriera, valletto d’eccezione Bono Vox degli U2, Frank Sinatra uscì definitivamente dalle scene e si ritirò a Malibù in una villa sulla spiaggia, con vista sull’oceano nel’96. Tra la fine dell’anno e i primi mesi del 1997 venne colpito da tre infarti e poi da un ictus. Gravemente debilitato da un anno e mezzo di agonia, Sinatra muore nella serata del 14 maggio 1998 assistito dai familiari nella camera del Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles, la clinica dei vip dello spettacolo dove era ricoverato. Aveva chiesto, a modo suo, che venisse staccata la spina della macchina che lo teneva in vita, sorridendo per l’ultima volta alla moglie Barbara. Ma non ce ne fu bisogno, perché l’ultimo infarto, il quarto, gli fu fatale. Aveva 83 anni.

Il funerale fu trasmesso da quasi 100 canali televisivi in tutto il mondo, preceduti da speciali che ripercorsero le incredibili vicende di “The Voice”. Nella notte tra il 14 e il 15 maggio tutte le luci di Las Vegas si spensero in suo omaggio, per la prima e unica volta, mentre a New York, l’Empire State Building si illuminò di blu in onore dei suoi mitici occhi.

Fu sepolto a fianco dei suoi genitori nel piccolo cimitero di Cathedral City a Palm Springs, sotto una semplice lapide rettangolare di pietra, sulla quale era stato inciso “The best is yet to come” (Il meglio deve ancora venire), titolo emblematico di uno dei suoi più grandi successi.

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