Ortorespiro – parte 2, il tempo dell’incompiuto
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Ortorespiro – parte 2, il tempo dell’incompiuto

Ortorespiro – parte 2 è la mostra di Roberto Catani presentata a Jesi all’interno di Ratatà – Festival di illustrazione, fumetto, disegno ed editoria indipendente, a cura di Nottenera, realizzata grazie al sostegno del Comune di Jesi.

Ortorespiro – parte 2, il tempo dell’incompiuto
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Maria Calabretta Modifica articolo

31 Dicembre 2025 - 11.50


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Ortorespiro – parte 2 è la mostra di Roberto Catani presentata a Jesi all’interno di Ratatà – Festival di illustrazione, fumetto, disegno ed editoria indipendente, a cura di Nottenera, realizzata grazie al sostegno del Comune di Jesi.

L’allestimento, progettato da LaMuuf, accoglie un corpus di tavole che dialoga con lo spazio della Chiesa di San Bernardo, mentre i testi critici di Michele Gentili e Michela Rosetti accompagnano e approfondiscono la ricerca dell’artista.

In occasione della mostra, abbiamo incontrato Roberto Catani per raccogliere un suo commento sul progetto espositivo.

La mostra Ortorespiro – parte 2 non racconta una storia lineare, ma sembra fermarsi sul confine della trasformazione. Come sei arrivato a questa idea?

Il percorso è nato dall’esigenza di raccontare un personaggio che non si conforma, che rifiuta di diventare ciò che ci si aspetta. Non volevo che le tavole servissero a “spingere” la narrazione verso una fine, perché la trasformazione di Pinocchio non è centrale: ciò che conta è l’istante in cui esita. Ho capito che il gesto del disegno poteva diventare il luogo stesso di questa sospensione, e da lì è nato tutto.

Pinocchio qui rifiuta di diventare un “bambino vero”. Cosa rappresenta questa scelta nel tuo lavoro?

Per me il burattino è l’esempio di una libertà che non si piega alle regole sociali, politiche o culturali. Non è più la storia del bambino incompleto che cerca una forma finale, ma quella di un personaggio che abita l’incompiuto. Questo rifiuto non è provocazione fine a sé stessa: è un modo di interrogare il concetto stesso di crescita e adattamento.

La balena nella mostra non è mai un antagonista. Come l’hai pensata?

La balena è una presenza costante, quasi un sistema in cui Pinocchio si muove. Non urla, non minaccia, non cerca il conflitto. Esiste e ingloba, e in questo senso è una forza che trasforma lo spazio stesso in cui il personaggio vive. È inquietante proprio perché non fa nulla: la sua quiete obbliga a guardare le cose da un’altra prospettiva.

Il disegno manuale domina l’allestimento, con pastelli, gessi e carboncini. Quanto conta per te il gesto artigianale?

Molto. Ogni segno conserva il tempo del suo fare, le imperfezioni diventano memoria, non difetti. In un’epoca digitale in cui tutto tende a essere levigato e perfetto, io volevo che il gesto restasse visibile. Il segno manuale trattiene l’errore, la fatica, l’incertezza: è una forma di presenza, quasi una testimonianza del pensiero che si manifesta lentamente.

Le tavole sembrano ripetere lo stesso pensiero in modi leggermente diversi. Perché questa scelta?

La ripetizione mi permette di esplorare una variazione infinita dello stesso tema. Non c’è progresso lineare, c’è permanenza: un pensiero che torna, si corregge, si contraddice. È un modo di pensare attraverso il disegno, dove il ritorno è più importante della meta.

L’allestimento nella Chiesa di San Bernardo sembra enfatizzare il tempo sospeso. Quanto lo spazio influenza l’esperienza dello spettatore?

Lo spazio non è solo cornice: è parte dell’opera. La Chiesa dilata il tempo, rende la permanenza più tangibile. Chi attraversa le tavole non deve solo guardare, ma sostare, respirare. Il luogo diventa parte del processo di percezione, e chi lo visita entra nel ritmo stesso del lavoro.

Il silenzio della mostra richiama il suono dei tuoi cortometraggi. Come dialogano immagine e suono nel tuo lavoro?

Anche quando il suono non è presente fisicamente, lo penso mentre disegno. Spesso un’immagine nasce da un ritmo o da un suono immaginato. Nei miei corti, il suono guida il movimento e definisce la forma: qui, invece, il silenzio diventa una componente narrativa. È una presenza che obbliga a rallentare, a entrare in sintonia con la pausa del gesto.

Il tema della malinconia attraversa il tuo lavoro, ma qui sembra rivolgersi al futuro. È così?

Sì, in questo lavoro la malinconia riguarda ciò che non si decide di diventare. È un sentimento consapevole, che però lascia spazio a una piccola speranza. Non è rassegnazione, è la possibilità di abitare una condizione instabile, di accettare il diritto a restare.

Cosa vuoi che lo spettatore porti con sé dopo aver visitato  Ortorespiro – parte 2?

Vorrei che restasse con la sensazione di essere entrato in uno spazio che respira, che rallenta. Che capisca che alcune storie non vogliono finire, che la sospensione non è un difetto ma una scelta. Non cerco comprensione immediata: voglio che l’osservatore si prenda il tempo di abitare il pensiero del burattino e della balena.

Possiamo considerare questa mostra un gesto di resistenza?

Sì, ma una resistenza silenziosa. Non urla, non si oppone frontalmente, ma persiste. Il fatto di restare, di rifiutare la conclusione, in un mondo che spinge sempre verso il risultato, è già un atto significativo. È una resistenza al tempo accelerato e al conformismo, e si manifesta nel gesto stesso del disegno.

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