Cronaca di una sera d'angoscia per guerre mai così vicine
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Cronaca di una sera d'angoscia per guerre mai così vicine

La tensione ad Agrigento per il passaggio in cielo di tanti aerei militari, tanti come mai, seppur il cielo sul Mediterraneo è scenario di esercitazioni.

Cronaca di una sera d'angoscia per guerre mai così vicine
Aerei militari
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

26 Marzo 2024 - 14.57


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“E’da notti che ho sogni indefiniti. Mi sveglio più volte e la mattina apro gli occhi cercando di ricominciare”. Laura è un’amica, lei è stata tra i tanti che ieri sera, ad Agrigento, ha vissuto con angoscia e con paura il passaggio in cielo di tanti aerei militari, tanti come mai, seppur il cielo sul Mediterraneo da quelle parti è ricorrente scenario di esercitazioni: da un lato Birgi, dall’altro Sigonella. 

Angoscia e turbamento accentuati dal buio e dalle notizie e dalle immagini che ci schiacciano in un tempo vicino alla rovina, come mai vissuto.U no dietro l’altro, amiche e amici li incrocio sui social, a chiedere, a chiedersi cosa mai volevano dire quegli aerei nella notte. Se c’era un nesso tra quello che si consuma e che si minaccia sull’altra sponda del Mediterraneo, dove si muore di guerra e di fame. Se c’era un legame con quell’altra guerra, apparentemente lontana e che invece dovremmo considerare maledettamente vicina, minacciosa, possibile regista di stravolgimenti che potrebbero fare irruzione nelle nostre vite. 

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  Ha ragione un altro amico, Salvatore. Pure lui, come me, vive lontano da quel mare e da quel cielo, ma come me ha il cuore e la mente che già di buonora, tutti i giorni, sorvolano come un antico drone quegli spazi amati, gli affetti che ci apparterranno sempre. “La cosa tanto segretamente temuta – scrive Salvatore, ricordandomi Pavese – accade sempre”. 

“La guerra che la generazione alla quale apparteniamo ha vissuto solo come ricordo ancora recente dei nostri genitori – è la riflessione di Enzo – finora è stata vissuta solo come ipotesi remota da assegnare all’impossibile”. 

   Ecco, ricorda bene Enzo. Per la nostra generazione c’è stata una prima guerra non vissuta ma che ricorreva sempre nei racconti di genitori e nonni, anche quando ci ammonivano a considerare il valore del nostro tempo senza guerra. Tanti piccoli aneddoti, che magari ci facevano sorridere, perché il grosso degli orrori, fame compresa, ci veniva risparmiata. E allora era nonna, che per l’intera durata della guerra aveva avuto il marito in prigione nella lontana Ceylon, a raccontarci la guerra per apprezzare la pace e la minestra.   

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Poi la nostra generazione ha avuto un’altra guerra, fu lontana, resa ancora più lontana da tempi nei quali l’informazione soffriva del peso del mondo che il buon Dio volle diviso per Continenti. Fu il Vietnam, guerra lontanissima,certo, ma guerra che riuscimmo a sentire vicina, che riuscì a farci indignare. 

Partecipammo a quella reazione corale e globale che ora manca, come mi dice, con tristezza, l’amico Enzo, tornando sull’angoscia di ieri sera: “Non c’è alcuna reazione corale collettiva che si opponga a questa artificiale ineluttabilità, solo qualche voce che, seppure autorevole come quella del Papa, resta isolata e inascoltata”.

E così, viviamo nell’angoscia per il rombo di un aereo che segue il rombo di un aereo e di un aereo ancora. Con le notti che danno forma ai cattivi pensieri del giorno. Viviamo facendo il conto se mai potrebbe avverarsi che la guerra richiami i nostri figli o i nostri nipoti.  

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