Alla fine don Gallo affondò la Cei di Bagnasco
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Alla fine don Gallo affondò la Cei di Bagnasco

Il presidente della Cei Angelo Bagnasco viene sonoramente contestato a Genova durante i funerali di don Gallo, è un fatto storico, e ora la sua leadership vacilla.

Alla fine don Gallo affondò la Cei di Bagnasco
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28 Maggio 2013 - 16.09


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Di Francesco Peloso

È stata una settimana non facile quella che si è appena conclusa per il presidente della Cei Angelo Bagnasco. Prima l’assemblea generale dei vescovi italiani con il Papa, un appuntamento atteso che ha riservato sorprese non tutte positive per l’arcivescovo di Genova. L’incontro in San Pietro fra il Papa e la Chiesa italiana è stato segnato anche da una cordialità nei gesti da parte del Pontefice nei confronti del ‘suo’ episcopato, dall’altra parte, però, hanno fatto pure scalpore una serie di richiami severi che Bergoglio ha rivolto alla Cei con la richiesta di vigilare su carrierismo, rapporti con il potere, attaccamento al denaro e alla propria funzione. Poi il Pontefice ha fatto capire chiaramente che 226 diocesi per l’Italia sono troppe, dunque occorre ridurle. Bagnasco ha frenato su questo punto, “sono molte, non troppe”; vedremo, ha detto l’arcivescovo, cosa deciderà la Congregazione dei vescovi in Vaticano, ma le premesse non sembrano eccellenti. Quelle diocesi, ha spiegato ancora Bagnasco, rappresentano “la storia d’Italia”, cioè il portato antico del cattolicesimo italiano. E proprio questo, però, è un punto dirimente.

Il baricentro della Chiesa si è repentinamente spostato a sud, un sud del mondo che per altro non è più solo periferia economica e sociale, ma anche motore dei cambiamenti e soprattutto riserva vitale della Chiesa che oggi chiede di poter contare di più, vuole anzi essere il centro irradiatore del messaggio evangelico. Una svolta tanto clamorosa quella decisa nel recente conclave, che la Chiesa italiana abituata a un rapporto preferenziale con la sede di Pietro sembra fare fatica ad assorbire. Per altro tutta la fase pre conclavaria è stata segnata dalle polemiche crescenti di molti cardinali contro l’eccesso di italianità della Curia romana.

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Tuttavia negli ultimi giorni il punto più critico è stato raggiunto durante i funerali di don Andrea Gallo. Che il sacerdote fosse una figura difficile da gestire per le gerarchie ecclesiastiche non è certo una novità, eppure è risultato evidente che l’arcivescovo di Genova facesse fatica a trovare le parole giuste per celebrare un prete che comunque è riuscito a diventare un modello e un riferimento per un’intera città e non solo. Alcuni passaggi sono sembrati stonati nelle affermazioni di Bagnasco, in primis il riferimento ai buoni rapporti fra il cardinale Siri e don Gallo. Siri resta infatti nell’immaginario di molti l’esponete di una Chiesa che di fatto si è opposta alla svolta conciliare, leader ultraconservatore del passato.

Non solo: anche la sottolineatura compiuta più volte da Bagnasco circa il fatto che avrebbe celebrato i funerali di don Gallo come è avvenuto per ognuno dei sacerdoti della sua diocesi, pur se formalmente corretta, è risultata un po’ fredda, quasi a voler ridurre l’eccezionalità della figura del sacerdote. Così come l’esperienza storica della comunità di San Benedetto al porto, è sembrata poco valorizzata dal cardinale. Una somma di particolari che hanno dato la sensazione di una Chiesa incapace di ricordare – al di là dei contrasti – un prete che aveva raccolto intorno a sé un consenso straordinario.

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I fischi e le contestazioni hanno quindi fatto emergere una spaccatura e una dualità presente anche nel nostro Paese, fra diversi modelli di Chiesa e a farne le spese, anche in termini di credibilità, è stato certamente l’arcivescovo di Genova.

In generale, inoltre, se sul piano più politico o ideologico la figura di Don Gallo resta difficilmente digeribile dalla Chiesa, per altro verso l’azione di strada del sacerdote s’incontra con alcuni degli insegnamenti cardine di Francesco. Quest’ultimo solo pochi giorni fa, ha detto che la Chiesa non deve opporre delle “dogane” a quanti cercano conforto al suo interno, in tal senso ha fatto l‘esempio di una ragazza madre che chiede il battesimo di suo figlio. A tale richiesta, secondo il Papa, non si può opporre il dogma, ma anzi bisogna aprirsi al bisogno, la Chiesa deve essere accogliente e comprendere, per esempio, che quella gravidanza portata a termine con difficoltà è il vero bene da tutelare. Sono quei concetti di prossimità, tenerezza e amore ripetuti spesso dal papa argentino che non devono restare però un’astrazione retorica. Il Papa, insomma, chiede ancor prima di un mutamento delle strutture, un’evangelizzazione che si proietti nel mondo, come ha spiegato lui stesso durante l’incontro con i movimenti ecclesiali che pochi giorni fa hanno riempito San Pietro e via della Conciliazione.

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È il confronto fra due modalità differenti, quella dell’apertura ai più deboli e alle periferie – ancora rilanciata ieri dal papa – e quella di un rispetto un po’ rigido delle norme dottrinali per il timore che la fede si annacqui troppo, perda la sua essenza. Ma c’è dell’altro. Anche la ritrosia dimostrata da Bagnasco nel parlare di mafia per il martirio di don Pino Puglisi, è stato sconfessato apertamente da Bergoglio ieri all’angelus quando il Papa ha ripetuto la parola “mafia” più volte indicandola anzi come una delle cause delle forme di sfruttamento e schiavitù contemporanea. Resta sul tavolo il problema della presidenza della Cei, per ora Bagnasco resta al suo posto, ma il futuro è aperto a varie soluzioni. Del resto sembra che Bergoglio voglia procedere per gradi: prima viene una nuova concezione di Chiesa, una sorta di riscrittura del magistero, poi il cambiamento delle strutture che, pur restando necessarie, non dovranno avere più la stessa centralità del passato.

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