Padre Sorge: "Chi vuole cancellare Bella Ciao cova l'odio degli sconfitti"
Top

Padre Sorge: "Chi vuole cancellare Bella Ciao cova l'odio degli sconfitti"

Il gesuita se la prende con i fascisti e i loro sodali: "Basta con tanta volgarità e bassezze in una parola inciviltà"

Papa Francesco e Padre Sorge
Papa Francesco e Padre Sorge
Preroll

globalist Modifica articolo

23 Aprile 2020 - 16.41


ATF

Chi vuole cancellare il 25 aprile “vive con il risentimento e con l’odio di chi è rimasto sconfitto militarmente”. Padre Bartolomeo Sorge, gesuita politologo, in una intervista dà voce alla “profonda delusione” per come viene sentita quella che dovrebbe essere la festa di tutta l’Italia e invece è vissuta tra divisioni e accese polemiche. Basta con “tanta volgarità e bassezze”, in una parola ” inciviltà”, dice padre Sorge rispondendo a chi propone di fare di quella giornata il giorno delle vittime delle guerre e del coronavirus (Ignazio La Russa, Fdi) o a chi, anche con la propaganda social, vuole cancellare ‘Bella ciao’ nel giorno dei ‘partigiani scimmie’.
“Questa – osserva il gesuita che ha vissuto gli anni della Resistenza – è la reazione tipica di chi è stato sconfitto militarmente ed è rimasto con il risentimento e con l’odio e vuole avere la rivincita. E’ una situazione viscerale che non è storica e neanche civile e per questa riduttività del fenomeno alla lotta militare i nostalgici dell’uno e dell’altro gruppo si avversano tra loro”. Avverte padre Sorge: “Questa non è la vera Resistenza che invece è fatta dalla reazione popolare, dalla coscienza del popolo italiano. Da qui bisogna ripartire o ci saranno sempre reazioni viscerali. Quel che colpisce nel tono è la volgarità, la bassezza: è una vera incivilita’”.
Padre Sorge, più che rabbia, esprime “delusione, perché dopo tanti anni di cammino democratico di libertà, vedere che c’è gente che si abbassa a questo livello è uno specchio di quello che è la base sociale, frammentata, culturalmente e moralmente non sviluppata. L’Italia è questa, è una questione di educazione morale. Non si tratta di dire cancelliamo ‘Bella ciao’ – osserva il gesuita riferendosi alle provocazioni di queste ore dei neofascisti anche sui social – è questione di crescita morale che non c’è stata o rischia, nella crisi presente, di andare indietro”.
Padre Sorge guarda agli anni in cui la Resistenza era una autentica festa: “Per decenni abbiamo festeggiato la Resistenza con gioia, ma in questi ultimi anni la crisi della società liquida ha mandato in crisi anche i valori della Resistenza”.
Padre Sorge va alle radici delle divisioni sul 25 aprile: “Il problema è che la Resistenza è stata un movimento storico ambivalente: c’è stata la resistenza armata, aspetto militare, e la Resistenza civile, aspetto culturale e morale. Oggi abbiamo ridotto la Resistenza all’aspetto militare, il che vuole dire due fronti contrapposti: i nazifascisti da una parte e i partigiani dall’altra. Sono nemici violenti. Un fronte ha vinto, nella Resistenza armata, e l’altro ha perso. Questo porta a risentimento, avversione, voglia di rivincita, odio”.
Da qui la denuncia del gesuita: “Noi abbiamo ridotto la festa del 25 aprile alla lotta armata mentre c’è tutto un altro aspetto del fenomeno che è civile culturale morale che di natura sua non è divisiva ma è unitaria e consiste nella riscoperta di valori che il fascismo aveva rinnegato per tanti anni: la libertà di parola, di pensiero, finalmente riconquistavamo i diritti e i doveri perduti e questo ha portato alla Costituzione repubblicana del 1948”.
Per superare le divisioni, dice padre Sorge indicando ‘l’errore di fondo”, dobbiamo “rivalutare la Resistenza senza ignorare quella armata ma completandola con la rivoluzione culturale che ha portato all’ unità del popolo italiano”. Sabato prossimo il gesuita vivrà il 25 aprile “in prigione perché isolato dal virus, da sacerdote pregherò per l’Italia, e cercherò con il mio impegno sociale di mandare avanti la battaglia per ricomprendere l’unita’ del fenomeno. La Resistenza va vissuta per le conquiste di democrazia e libertà per l’intero popolo. Mi batterò fino all’ultimo”.

Native

Articoli correlati