Perché Occupy Wall Street non si fermerà
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Perché Occupy Wall Street non si fermerà

Richard Wolff, uno degli ispiratori del movimento, spiega che le proteste sono l'evoluzione di quarant'anni di diseguaglianze. E chi rischia di più è Obama.

Perché Occupy Wall Street non si fermerà
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2 Gennaio 2012 - 17.27


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di Andrea Marinelli

Dalle prime tende piantate a Zuccotti Park lo scorso 17 settembre sono passati poco più di tre mesi, che sul bilancio del 2011 hanno avuto però un impatto considerevole. Nato nel cuore del distretto finanziario newyorkese per contestare il sistema politico ed economico americano, lo spirito del movimento si è rapidamente diffuso in tutti gli Stati Uniti, facendo esplodere la rabbia e l’insoddisfazione della popolazione nelle grandi città e nelle piccole comunità.

A spingere le persone a riempire le piazze d’America sono state l’esasperazione causata dall’enorme disuguaglianza economica che divide il paese, lo sdegno per l’intromissione delle aziende sulle scelte politiche del paese e la rabbia per aver visto i colpevoli di una crisi economica globale devastante restare impuniti. «Questa è la fine di un lungo processo, non solo il risultato della crisi economica», racconta Richard Wolff, noto economista della New School di New York e professore emerito della University of Massachusetts, in un caffè dietro Union Square.

«Quello che abbiamo con Occupy Wall Street è il prodotto di almeno trenta o quaranta anni di evoluzione. Quaranta anni fa il divario fra ricchi e poveri era molto minore negli Stati Uniti rispetto all’Europa. Ora qua è il maggiore in assoluto. Con la crisi del 2007 è cambiato qualcosa psicologicamente, la gente ha visto che anche i ricchi incontravano difficoltà, un’immagine che ha offuscato l’idea americana che con il duro lavoro tutti un giorno potranno essere ricchi. Il sistema invece non funziona più, neanche per i ricchi, che dopo aver detto per trent’anni di non aver bisogno del governo ora fanno affidamento sullo Stato per salvarsi. Questo è molto difficile da accettare per gli americani, che vedono il governo aiutare le banche ma non la massa delle persone, e si sentono presi in giro».

Oltre a insegnare economia marxiana e a tenere un corso sulla crisi economica, il professor Wolff è uno degli ispiratori del movimento Occupy Wall Street, per cui ha scritto articoli e tenuto discorsi in accampamenti in tutta America, dal Maine alla California. «Due mesi fa ho parlato all’Università del Maine, che si trova nel villaggio di Orono, un sobborgo di Bangor», ricorda. «Dopo lo speech siamo stati nel centro di Bangor e c’era un accampamento di Occupy. Se in una piccola cittadina del nord di 40.000 persone è presente il movimento allora ne comprendi l’eco, l’interesse. Occupy Wall Street rappresenta la risposta a quarant’anni di evoluzione, di disuguaglianza, di crollo del sogno americano».

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Il movimento si è sviluppato su internet durante l’estate, ideato dalla rivista anticonsumista canadese Adbuster e rilanciato dall’influente collettivo di hacker Anonymous, che hanno incoraggiato i propri lettori ad innalzare pacifiche barricate contro Wall Street. «Quello che è cominciato a Zuccotti Park è stato provato almeno una volta all’anno negli ultimi venti. Ne ho fatto parte anche io», spiega il professor Wolff. «Poi qualcuno se ne è uscito con l’idea di montare tende a Zuccotti Park e questa volta il seme ha attecchito. Il merito era del suolo, delle condizioni, che hanno contribuito a produrre il successo di Zuccotti Park. Per questo motivo il movimento è cresciuto così rapidamente, toccando in due mesi trecento città in tutta America». Queste condizioni, spiega il professor Wolff, sono da ricercare nel «salario reale, che è rimasto invariato dal 1978. In trent’anni non è cambiato nulla e gli americani hanno risposto lavorando di più, il 20% delle ore in più rispetto all’Europa, secondo i dati dell’Ocse. Inoltre i lavoratori americani sono stati i pionieri del debito, accumulandone più che in qualsiasi altro paese. Questa è un’economia matura, senza crescita. Gli americani sono stati gettati nell’acqua gelida del declino economico senza preparazione psicologica. I ragazzi oggi non credono che riusciranno ad avere la stessa qualità della vita dei propri genitori, ed è la prima volta nella storia americana. Gli immigrati venivano qua per trovare una vita migliore, ma non è più così dagli anni settanta e c’è voluto parecchio per farlo entrare in testa agli americani, che ora sono furiosi».

Questa rabbia ha portato all’occupazione di Zuccotti Park e di altre centinaia di piazze. Un gruppo eterogeneo di migliaia di persone si è unito per contestare l’avidità dell’America delle aziende, scandendo il coro “we are the 99%”. «Improvvisamente il mondo intero è stato ripensato in termini di 1% e 99%. Il movimento è passato da un pugno di persone alla prima pagina del New York Times e questo significa che c’è una risposta di massa. Ogni giorno c’è un articolo sul 99%, tutti pensano così. Il movimento sta cambiando tutto», afferma il professor Wolff, che si dichiara un esponente della sinistra americana e ammette di vivere il momento migliore della propria vita. «Per capire il movimento di Occupy bisogna capire che è la prima volta in trenta o quaranta anni che emerge una sinistra organizzata, che comincia a trovare due cose: una buona audience, con la popolazione intenzionata ad accettarne l’esistenza, e una forma organizzativa. Per il capitalismo in questo paese è una combinazione molto pericolosa. Questo è Occupy Wall Street, un movimento che mostra organizzazione, anche se è molto orgoglioso di non essere organizzato. Questo paese ha bisogno di credere che non esista una sinistra, che invece c’è ed è anche grande. Dal momento che si finge che non esista, la sinistra è libera di muoversi ed è ora nelle condizioni migliori degli ultimi 50 anni. Siamo alla fine del declino e ora comincia la ricostruzione».

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Il diffuso sostegno popolare ottenuto dagli indignati si è però spesso scontrato con le autorità cittadine. I manifestanti hanno puntato molto sulla forma pacifica di questa protesta per non distogliere l’attenzione dagli obiettivi del movimento. «Ma non sarà sempre così», incalza il professor Wolff, «la violenza qua è iniziata dallo Stato e continuerà, visto che il governo non ha modo di confrontarsi con le condizioni che hanno prodotto Occupy Wall Street. L’unica arma del governo è la repressione. Qua a New York lo sgombero è stato un atto di violenza da parte del sindaco Michael Bloomberg. I manifestanti non creavano problemi ma sono stati sfrattati con violenza e l’immagine che rimarrà agli americani è quella dei bulldozer del governo che distruggevano la biblioteca dell’accampamento. A Zuccotti Park le persone parlano apertamente di pace e vengono attaccate dalla polizia. Ovviamente si arrabbiano. La polizia lo sa e cerca di provocare. Oltre alla repressione ora si cercherà di sviluppare un movimento di destra, per indirizzare questa rabbia da qualche altra parte. Diranno che ci proteggono dagli immigrati che vengono in particolare dall’America Latina, come in Italia succede con albanesi e marocchini».

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La forza di Occupy Wall Street «è l’originalità, l’energia, l’entusiasmo», continua il professor Wolff, convinto che il movimento «stia cambiando il panorama politico americano. Quando ho parlato a Zuccotti Park all’inizio di ottobre non avevo mai visto nulla di simile prima. Durante la preparazione del discorso abbiamo discusso di un megafono, ma mi hanno detto che la polizia non li permetteva. Poi mi hanno spiegato il microfono umano. Ero in cima agli scalini, con tutte le persone di fronte. Se sei un professore hai sempre di fronte gli studenti, ma il problema è la distanza fra te e loro. Dovevo dire non più di sei o sette parole alla volta, poi la gente davanti le ripeteva, e le parole andavano dietro, alle persone in fondo. Avevo molta più attenzione di quanta ne avessi mai avuta prima, perché tutti si sforzavano di sentire le parole e volevano capirne il significato, perché avevano il compito di riferirle alle persone dietro di loro».

Durante questi tre mesi di proteste si è parlato spesso dell’impatto che il movimento potrebbe avere sulle elezioni presidenziali del prossimo novembre, con i democratici che avrebbero potuto cavalcare l’entusiasmo di Occupy Wall Street. «Quando nella seconda metà di ottobre il movimento è divenuto popolare, il partito democratico ha mandato persone da Washington, in particolare lo speaker della Camera Nancy Pelosi, per cercare di portare i dimostranti di Occupy con Obama, che non ha più l’esercito di volontari di tre anni fa», rivela il professor Wolff. «Il partito cercava persone e a Washington pensavano di reclutare i manifestanti. Il movimento però li ha rimandati a casa, spiegando di non essere con Obama. I tentativi sono durati per diverse settimane, si sono incontrati con tutti i leader, ma niente. Qualcuno tornerà con Obama, ma non troppi, e lui potrebbe anche perdere per questo motivo». Le parole del professor Wolff fanno luce anche su uno dei segreti di Occupy. «Ci sono leader riconosciuti», ammette, «ma preferisco non farne i nomi. C’è una profonda diffidenza verso i leader, è molto difficile per gli americani comprendere la leadership».

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