La "preistoria" di Dublino non la si supera con il securismo della destra
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La "preistoria" di Dublino non la si supera con il securismo della destra

Ha sacrosanta ragione Mattarella nell’affermare che le regole di Dublino sono “preistoria”. Ma non sono “preistoria” ma attualità le sciagurate politiche securiste portate avanti dall’Europa sul fronte migranti

La "preistoria" di Dublino non la si supera con il securismo della destra
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

22 Settembre 2023 - 14.48


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Ha sacrosanta ragione il Capo dello Stato nell’affermare che le regole di Dublino sono “preistoria”. Ma, ci permettiamo di aggiungere, non sono “preistoria” ma attualità le sciagurate politiche securiste portate avanti dall’Europa sul fronte migranti. Non è solo mancanza di solidarietà, come più volte Mattarella ha giustamente rimarcato, è anche altro. E d’inquietante. E’ l’affermarsi di una visione dell’Europa come Fortezza che deve difendersi dall’”invasione” dei nuovi barbari: i migranti. 

Superare Dublino, ma per fare cosa?

Molto appropriato ci pare il redazionale de il Foglio: “Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ragione a dire che le regole di Dublino su migranti e richiedenti asilo nell’Unione europea “sono preistoria”. Mattarella ha ricordato che erano state scritte per “un altro mondo”, quando “non c’era una migrazione di massa” e ora “sono una cosa fuori dalla realtà”. Secondo il presidente della Repubblica, è necessario “uno sforzo insieme, prima che sia impossibile governare il fenomeno migratorio, in modo da affrontarlo con nuove formule”.

Il fallimento di Dublino non è certificato solo dalla situazione a Lampedusa: da gennaio a luglio la Germania ha ricevuto 175 mila richieste di asilo, più degli sbarchi in Italia. E’ la dimostrazione che le falle di Dublino, grazie alla valvola di sfogo dei movimenti secondari che fungono da ricollocamento informale di migranti tra paesi europei, non danneggiano più di tanto il nostro paese. Ma il nuovo Patto su migrazione asilo che i ventisette stanno negoziando non rappresenta una “formula nuova”.

Con l’obiettivo di limitare i movimenti secondari, il pacchetto è un “Dublino rafforzato”: prevede molta più responsabilità in cambio di poca solidarietà per i paesi di primo ingresso. Il Patto codifica l’approccio “Europa fortezza”, che era stato sperimentato nelle isole greche a partire dal 2016: i migranti devono essere tenuti nelle mure della fortezza. Attorno alle mura, l’Ue affida a regimi autoritari e volubili – come quello tunisino di Kais Saied – il compito di guardiano. Basterà un piccolo intoppo – come l’assenza di accordi di rimpatrio o un ricatto di Saied – e il nuovo Patto non funzionerà più, facendo nuovamente tremare la fortezza. Una formula veramente nuova sarebbe stato un governo europeo delle migrazioni, dai ricollocamenti all’integrazione. Francia e Germania erano pronte a fare un passo in quella direzione: chi impedisce di uscire dalla preistoria sono gli alleati di Giorgia Meloni nei governi di Polonia e Ungheria”.

Niente da eccepire. E’ la fotografia della realtà.

Quel video “illuminante”

Suscita preoccupazione l’estratto del video recentemente condiviso sulla pagina Facebook dell’Ambasciata italiana a Dakar, nel quale la Presidente del Consiglio Italiano, Giorgia Meloni, afferma che chi varca in maniera irregolare il confine italiano sarà detenuto e successivamente rimpatriato, senza tener conto della motivazione di ingresso. La selezione della sequenza, così come la sua pubblicazione, si configura come un messaggio, non solo giuridicamente infondato, ma in netta contraddizione con le indicazioni e le attività svolte dalla cooperazione italiana, che vanta nel paese una presenza storica e riconosciuta, la cui immagine rischia in questo modo di venire lesa”. Lo sottolinea in una nota la Rete delle Ong (Aoi, Cini, Link2007).

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In collaborazione con l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, le Ong italiane lavorano da anni insieme alla società civile senegalese per definire modalità e contenuti dei nostri messaggi di comunicazione sulle migrazioni, nel rispetto dei principi di accountability, trasparenza e tutela dei diritti. “Da tempo abbiamo quindi scelto di non usare il termine “clandestino”, che – come ci ha anche ricordato recentemente la Corte di Cassazione (sentenza del 16 agosto 2023), e prima l’Associazione Carta di Roma – è un termine giuridicamente improprio per definire chi tenta di raggiungere l’Europa e non ha ancora avuto la possibilità di chiedere una forma di protezione e contiene inoltre un giudizio negativo, che può diffondere odio e discriminazione – continua la nota -. L’estratto del discorso scelto per la pubblicazione sulla pagina facebook dell’Ambasciata italiana a Dakar sembra contraddire numerose convenzioni internazionali sottoscritte dal nostro Paese in materia di protezione e asilo, vanificando gli sforzi e le risorse impiegate dalla cooperazione italiana per creare un rapporto di fiducia con la società civile e i partner locali e per sensibilizzare tanti giovani sui rischi della migrazione informale, sull’apertura di canali legali di ingresso, sui requisiti per le domande di protezione e su progetti di sviluppo locale”. Le Ong ricordano che la comunità internazionale ha lavorato duramente per stabilire un quadro giuridico globale che protegga i diritti delle persone in cerca di asilo e dei rifugiati, ed è essenziale che l’Italia rispetti questi obblighi legali e morali. “Chiediamo che il Governo italiano riferisca in Parlamento sull’accaduto e si esprima su questo tema nel rispetto delle Convenzioni da esso stesso sottoscritte” conclude la nota. 

Cartoline da Tunisi

Così Matteo Garavoglia per Linkiesta: “Le piazze vuote in Tunisia sono ormai destinate a non fare più notizia. Da quando il presidente della Repubblica Kais Saied si è assicurato i pieni poteri le rivendicazioni di piazza si sono fatte via via meno partecipate. Una desolazione che ha coinvolto non solo la capitale Tunisi ma anche altre città, come Sfax.

Una desolazione che, tuttavia, quando ha riguardato la seconda città più importante del Paese ha fatto parecchio rumore. Questa volta non ha avuto a che fare con gli aspetti politici, economici o sociali del piccolo Stato nordafricano ma i motivi sono prettamente migratori.

Nella notte tra sabato 16 e domenica 17 settembre infatti una pesante operazione delle autorità tunisine ha sgomberato la piazza di Bab Jebli, uno dei punti più centrale di Sfax che da qualche mese era diventato anche il ritrovo e il “rifugio” per centinaia persone di origine subsahariana.

Circondata da un parco, diventato una casa a cielo aperto per altrettanti richiedenti di protezione internazionale provenienti dal Sudan, e dalla medina della città, Bab Jebli da qualche mese è il crocevia di tante storie di violenza che hanno interessato a vario titolo i subsahariani che in Tunisia avevano trovato un lavoro, studiavano o semplicemente stavano aspettando di partire verso Lampedusa e Pantelleria.

L’origine dei soprusi subiti dalla popolazione nera risale allo scorso febbraio, quando Kais Saied l’ha accusata di volere compiere «una sostituzione etnica» nel Paese. È poi proseguita a luglio, momento in cui sono cominciate vere e proprie deportazioni di massa verso le zone desertiche con la Libia e l’Algeria da parte delle forze di sicurezza tunisine.

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Si stima che più di milleduecento persone, tra cui donne incinte e bambine, siano state abbandonate lungo la frontiera senza accesso ad acqua o cibo. Una situazione precaria che perdura ancora oggi e che aveva portato anche a diversi episodi di violenza da parte di cittadini tunisini nei confronti di subsahariani e sudanesi.

La decisione di evacuare la piazza è stata presa soprattutto per dare un segno di ordine e controllo rispetto a una situazione che la popolazione locale stava considerando insostenibile.

Sfax è di fatto il punto più strategico per le partenze lungo la rotta centrale del Mediterraneo e la soluzione trovata dalle autorità è stata semplice: centinaia di persone presenti fino a sabato a Bab Jebli sono state prelevate e lasciate lungo la strada di El Amra, una delle zone più famose da dove iniziano le traversate. Una distesa di coltivazioni di ulivi intervallate da piccoli villaggi dove i migranti attendono pazientemente il loro turno per partire.

Constatato il fatto, in Tunisia è cominciata a circolare una domanda: come si è arrivati a tutto questo?

Mentre nel Paese la crisi economica, politica e sociale continua a minare le condizioni di vita della popolazione, nel 2023 il piccolo Stato nordafricano ha superato la Libia per numero di partenze. Secondo gli ultimi dati forniti da Agenzia Nova, più di ottantacinquemila persone sono arrivate in Italia dalla Tunisia, un incremento di oltre il trecentosessanta per cento rispetto all’anno scorso.

Numeri che spiegano l’urgenza per l’Unione europea (e in particolare l’Italia) di stringere accordi con Saied dal punto di vista migratorio e le numerose visite che hanno poi portato alla firma del Memorandum d’intesa il 16 luglio scorso alla presenza della Commissaria Ue Ursula von der Leyen, la prima ministra Giorgia Meloni e il premier olandese Mark Rutte.

Un memorandum che ha causato più di un malumore in seno al Parlamento europeo ma che non è ancora stato implementato nelle sue parti più urgenti, come ad esempio i duecentocinquantacinque milioni di euro previsti immediatamente a favore della Tunisia. Diversi analisti hanno notato in questo dettaglio il possibile aumento improvviso degli arrivi a Lampedusa, i quali non sono destinati a diminuire nel breve periodo.

In un quadro già ampiamente frammentato, ha fatto anche notizia il divieto di ingresso nel Paese a una delegazione ufficiale del parlamento europeo la scorsa settimana. La visita, la quale mirava a incontrare diversi esponenti della società civile nel mirino della presidenza della Repubblica, è stata bloccata dal ministero degli Affari esteri senza dare spiegazioni.

Un chiarimento è arrivato direttamente da Saied che, oltre a fornire la versione ufficiale del governo, ha fatto intendere che il clima in Tunisia è decisamente cambiato: «Alcuni canali stranieri stanno cercando di dare notizie sbagliate mentre dovrebbero prestare attenzione alla loro situazione e coloro che parlano di libertà di stampa e di espressione dovrebbero informare noi sulla situazione nel loro Paese. Devono smetterla di intromettersi nei nostri affari interni perché la Tunisia non interviene nei loro».

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La denuncia dell’attivista

L’attivista per i diritti umani e capo della ong Osservatorio tunisino per i diritti umani, Mustapha Abdelkebir, ha messo in guardia contro una rinnovata crisi dei migranti africani alla frontiera dopo che un gruppo di 140 migranti è entrato nei giorni scorsi, di notte, a Tataouine, mentre un altro il gruppo è rimasto bloccato al confine.  In una dichiarazione su Facebook, Abdelkabir ha affermato che ogni giorno decine di migranti attraversano il confine con la Tunisia e ha denunciato la morte di due migranti caduti in un profondo pozzo di un’azienda a Ben Guerdane mentre attraversavano la frontiera. Secondo il capo dell’Osservatorio tale situazione potrebbe aggravarsi a causa della mancanza di coordinamento tra la parte tunisina e quella libica e la mancata attuazione da parte di quest’ultima del recente accordo tra i due Paesi per salvare i migranti africani e impedire loro di attraversare il confine, dalla Tunisia alla Libia e viceversa.

Centinaia di migranti provenienti da Paesi africani erano rimasti bloccati alla frontiera nei mesi scorsi, la situazione poi si era risolta grazie all’intervento delle autorità tunisine e libiche, in particolare attraverso l’intervento della Mezzaluna Rossa tunisina per quanto riguarda la Tunisia.

Cosa avrebbe fatto don Pino

Cita più don Pino Puglisi e attacca il governo sulla gestione degli sbarchi dei migranti l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice. 

L’alto prelato lo fa in una lettera riportata da Repubblica  e spazia a 360 gradi attorno alla spinosa questione. Utilizza anche toni forti, fa quadrato attorno alle navi Ong. Per Lorefice si sarebbe creata appositamente una “finta emergenza migranti” e ricorda le gesta di don Pino Puglisi. Se ci fosse stato lui, sostiene, avrebbe presenziato sul molo di Lampedusa per far sentire la sua misericordia e sostegno ai “disperati”.

Lorefice ha esordito dicendo quel che, secondo lui, avrebbe fatto don Pino Puglisi in questo momento storico. “Certamente lui reagirebbe di fronte al disorientamento e alla frustrazione di migliaia di fratelli sopravvissuti al viaggio e alle violenze, ma per essere poi lasciati senza cibo né acqua o ancora addirittura respinti con cariche e manganellate per ordine di coloro che hanno deciso di creare la finta emergenza. Don pino non resterebbe in silenzio”. Prende posizione anche sulle Ong che secondo lui sarebbero falsamente accusate di essere la “spinta del fenomeno dello sbarco dei migranti”.

“L’unica via è quella dell’incontro – ha anche detto sui social monsignor Lorefice -. Dobbiamo custodire un cuore umano. Nel volto di ogni uomo, gli uomini si devono rincontrare con la consapevolezza che ci viene anche dalla nostra visione biblica. L’uomo è immagine di Dio e come tale porta in sé l’unico richiamo ad essere rispettato e accolto. A maggior ragione se questo volto è sfigurato dalla sofferenza e dall’oppressione”.

Parole sante. 

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