Un grande intellettuale libanese e la road map di Francesco per archiviare le guerre
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Un grande intellettuale libanese e la road map di Francesco per archiviare le guerre

Febbraio ormai se ne è andato, ovviamente senza che alcuno statista occidentale abbia speso una parola sull’anniversario, il quinto, della firma del Documento sulla Fratellanza Umana, che ebbe luogo il 4 febbraio del 2019 ad Abu Dhabi

Un grande intellettuale libanese e la road map di Francesco per archiviare le guerre
Francesco con Ahmad al-Tayyeb - Grand Imam di Al Azhar
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

1 Marzo 2024 - 02.30


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Febbraio ormai se ne è andato, ovviamente senza che alcuno statista occidentale abbia speso una parola sull’anniversario, il quinto, della firma del Documento sulla Fratellanza Umana, che ebbe luogo il 4 febbraio del 2019 ad Abu Dhabi. Fu la prima volta di un papa nella penisola arabica. E produsse la firma di un documento congiunto tra il papa e la suprema autorità teologica dell’Islam sunnita, il rettore dell’Università islamica di al Azhar, lo sceicco Ahmad al Tayyeb. Sono sicuro che se quel giorno Francesco e al Tayyeb si fossero giurati eterno odio, in molti avrebbero ricordato,  eccome, il loro reciproco “impegno”. 

Questo sconcertante silenzio non dà ragione a Giuseppe Stalin, che disse che la “carta sopporta tutto”. Direi piuttosto che quel documento, che loro seppero firmare dopo l’orrore dell’Isis e delle sue abiette azioni, ci dice chiaramente che i problemi dell’oggi hanno una soluzione, se solo volessimo. Ma vogliamo? 

C’è un grande intellettuale arabo, e cristiano, che nella sua Beirut, ormai impaurita dal possibile coinvolgimento nel conflitto mediorientale pur essendo notoriamente e disperatamente sul lastrico da anni, che non ha dimenticato Abu Dhabi. Ed ha onorato la firma del Documento pronunciando un discorso che merita di essere letto. Questo grande intellettuale arabo e cristiano, che si chiama Antoine Courban e insegna all’università dei gesuiti di Beirut, l’università Saint Joseph, appartiene alla famiglia ortodossa: non so quanti cattolici libanesi abbia scritto al riguardo. Ma pur sapendo che potrei sbagliarmi affermo che mi sembra che non siano tanti. 

La ferocia delle notizie che giungono da tutto il Medio Oriente, partendo da Gaza ovviamente, per un giorno mi sembra che possa cedere il passo alla consapevolezza di quel che potrebbe essere, sebbene non sia. E quel che potrebbe essere è l’accettazione da parte delle comunità di fede coinvolte di questo storico documento. 

Riassumo al massimo i punti di questo testo del professor Antoine Courban che presento ai lettori di Globalist. Il primo è questo, ciò che il Documento non fa: «Il Documento di Abu-Dhabi non aderisce all’ottimismo storico. Al contrario, ci ricorda che la storia è tragica, attraverso i suoi riferimenti a tutte le miserie umane che non pretende di risolvere con un colpo di bacchetta magica. Non pretende di sradicare il “male”, che non può fare nulla in questo mondo senza libertà.» E’ questo per me uno dei tratti decisivi del documento.  

L’importanza di ciò che non fa non è certo maggiore di ciò che fa:  «Il documento del 2019 segue le orme di diverse dichiarazioni universali il cui scopo dichiarato è quello di stabilire un ordine politico equo per la convivenza. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1793 afferma chiaramente il suo fondamento “In nome dell’Essere Supremo e della Ragione Universale”. La Dichiarazione del 1948, invece, evoca indirettamente il fondamento dei diritti che proclama attraverso il concetto di dignità che apre il suo preambolo. Tutti i grandi pensatori delle religioni monoteiste parlano della misura in cui Dio ha onorato l’uomo. Fin dai Padri della Chiesa, il punto di vista cristiano è che la “gloria di Dio” sulla terra si chiama dignità dell’uomo.  La Dichiarazione di Abu-Dhabi (2019) è una sorta di preambolo al preambolo della Dichiarazione dei diritti umani (1948). Annuncia i suoi fondamenti con un lungo elenco che si apre con due principi trascendenti: In nome di Dio, che ha creato tutti gli esseri uguali nei diritti, e In nome dell’anima umana innocente, che Dio ha proibito di uccidere. Segue un elenco di referenti, i fondamenti di ciò che deve essere proclamato: i poveri, gli orfani, le vedove, gli esuli, i rifugiati, i popoli violentati e tutti coloro che hanno perso la pace e la convivenza comune. Sottolineando la libertà e la fraternità donate da Dio, il preambolo di Abu-Dhabi conclude “In nome della Giustizia e della Misericordia, fondamenti della prosperità e pietre angolari della fede”. Abbiamo così un documento il cui fondamento abbraccia l’intero destino dell’umanità e riconcilia, per così dire, cielo e terra, Dio e uomo.» E lo fa correggendo l’errore illuminista che ha fatto emergere un Ego umano in guerra con l’Io divino. Dunque «fonda un umanesimo integrale nel quale l’uomo non è lo schiavo servile né il nemico feroce di Dio.»

Questa riconciliazione tra cielo e terra, tra Dio e uomo, è il punto che mi ha maggiormente colpito del testo del professor Courban.  E’ una riconciliazione vera perché, come giustamente sottolinea l’autore più avanti, si fonda sulla libertà: « L’uomo è libero, ma è anche responsabile, cioè risponde delle sue azioni davanti a un organo regolatore, esso stesso fondamento dell’ordine politico. Nell’enciclica Fratelli Tutti, Papa Francesco utilizza l’immagine del Buon Samaritano per ricordare a Caino che ogni essere umano è custode di suo fratello.  La fratellanza di Abu-Dhabi apre la strada a un ordine politico in cui un “contratto di fratellanza” convaliderebbe il “contratto sociale” dei tempi moderni. Ma è più di un contratto sociale. Riconcilia l’uomo con Dio, con la natura e con se stesso. Essere atei non significa privare la natura umana della sua sacralità.» C’è un ateo che sa negare questa affermazione? 

Trovo in questo punto un incoraggiamento che giunge dall’Oriente credente ma che dovrebbe saper smuovere l’Occidente oggi meno credente. Ma è per questo, per questa sua identità di orientale, che sa aggiungere:  «La fratellanza di Abu Dhabi protegge le religioni dalle grinfie delle ideologie. Questa è una sfida per noi oggi, dall’Ucraina al Mar Arabico, passando per il Vicino e Medio Oriente».

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