Lettera di Anna, dalla Siberia: "Sembra che quel maledetto 24 febbraio non debba finire mai"
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Lettera di Anna, dalla Siberia: "Sembra che quel maledetto 24 febbraio non debba finire mai"

Anna scrive le sue considerazioni sulla guerra. Le racconta a Meduza dalla Khakassia, una repubblica della Federazione Russa che si trova molto lontano da Mosca, nella Siberia orientale.

Lettera di Anna, dalla Siberia: "Sembra che quel maledetto 24 febbraio non debba finire mai"
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23 Dicembre 2025 - 22.05


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Anna scrive le sue considerazioni sulla guerra. Le racconta a Meduza dalla Khakassia, una repubblica della Federazione Russa che si trova molto lontano da Mosca, nella Siberia orientale.

Il suo racconto, accanto ai tanti altri già proposti dal giornale online – storie dalla Russia e dall’Ucraina – dice meglio di molti reportage quanti strappi stia producendo un conflitto nato dall’invasione russa, inizialmente presentata come una semplice operazione di polizia. La famigerata “operazione speciale” che avrebbe dovuto portare Putin a Kiev nel giro di pochi giorni.

«Come ha influenzato la guerra la mia vita? Da un lato apparentemente non è successo nulla, ma dall’altro ha distrutto tutta la mia vita. Capisco che nulla sarà mai più lo stesso: stiamo scivolando in una sorta di impero stalinista, dove tutti hanno il sedere nudo ma con un senso di grandezza del Paese.

Sono disgustata dalla vita, mi sento in colpa per quello che sta succedendo, mi vergogno di essere russa, ora dico che sono siberiana. Questa è una scusa terribile. Penso che gli ucraini non ci perdoneranno mai e che, proprio come una volta odiavamo tutti i tedeschi da bambini perché fascisti, così odieranno noi tutti, senza chiedersi se ciascuno di noi fosse favorevole o contrario alla guerra. “Russo” è uno stigma vergognoso.

Nel nostro villaggio ci sono stati i mobilitati e i volontari. In tutto venti persone, o poco più. Di tutti, uno si trova ora in Ucraina. Uno è in prigione per aver rifiutato di partecipare all’operazione militare speciale, un altro da due anni si nasconde da qualche parte.

Mi spiace per loro? Non lo so. Dico solo: perché? Perché hai bisogno di una terra straniera, perché sei andato a seimila chilometri a uccidere? Per soldi? Per la patria?

Cosa penso degli ucraini? Onestamente, ammiro il loro coraggio. Penso che siano discendenti dei loro nonni, quelli che hanno sconfitto il nazismo. Non possono essere spezzati. E il loro presidente è un vero uomo: non è scappato, non ha abbandonato il suo popolo.

E penso a come le persone comodamente sedute in Europa credano che Zelensky debba accettare le condizioni di Putin, in altre parole capitolare per far finire la guerra. Per il nostro presidente l’appetito vien mangiando: dopo ci saranno i nazisti kazaki, i nazisti da qualche parte in Germania, e anche loro dovranno essere smilitarizzati e denazificati. Come vi pare una prospettiva del genere? Dove scappare?

Pensavo che Trump avrebbe schiacciato Putin. È tutto triste. A volte vorrei scrivere qualcosa di incoraggiante per gli ucraini, ma capisco che non ho nemmeno il diritto di chiedere loro perdono, perché tutti gli omicidi e gli attentati vengono fatti anche a mio nome.

Molti pensieri, troppi. Anche se sono passati quasi quattro anni, sembra che il 24 febbraio non debba finire mai».

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